La
storia
di
Elsa Morante
Edizioni
Einaudi
Narrativa
Pagg.
XXXII-672
ISBN
9788806219642
Prezzo
Euro 16,00
La
storia da parte di chi l’ha subita
Nella
saggistica storica si parla quasi sempre dei protagonisti e degli
eventi che gli stessi hanno determinato e così gli attori sono
politici, uomini di stato, alti gradi militari, industriali e
banchieri, insomma chi, a vario titolo, viene definito il padrone del
vapore. Ci sono però anche quelli che subiscono questi
eventi, comparse senza volto a cui nei saggi si fa sporadicamente
riferimento, proprio di una massa indistinta che sempre rimarrà
tale, anche quando il fatto si è concluso ed è calato
il sipario sul teatro della vita. E’ a questi sconosciuti che
Elsa Morante ha dedicato La storia, un romanzo di
straordinaria bellezza, di una notevole profondità a dispetto
di una semplicità di esposizione che, senza tralasciare nulla,
dice esemplarmente tutto. Non c’è retorica, né ci
sono eroi, e questo è un altro pregio dell’opera, atteso
che dato il periodo in cui si svolge la trama (dal 1941 al 1947) e
quindi per la quasi totalità durante la seconda guerra
mondiale, sarebbe stato facile, ma non intelligente, abbondare di
retorica e di atti di valore.
La
storia narra di Ida Ramundo, una vedova con un figlio
adolescente di nome Ninnuzzu e un altro, frutto di una violenza
subita per opera di un tedesco ubriaco, di nome Giuseppe, ma chiamato
poi da tutti Useppe. La vita è quella della povera gente,
ancor più misera per il periodo bellico, con Ida, maestra
elementare, che si arrangia come può per mandare avanti la sua
famiglia. Più male che bene si riesce a campare, nell’incubo
dei pericoli della guerra e con il non infondato timore di Ida di
subire delle conseguenze per l’essere in parte ebrea. Poi il
bombardamento sul quartiere romano di San Lorenzo distrugge la casa
in cui Ida e i suoi familiari abitano, così che è gioco
forza adattarsi a un alloggio comune. Si tratta di esseri umani che
non sono protagonisti della storia, ma che la subiscono ogni giorno,
anche con le inquietudini che caratterizzano il dopo guerra, e senza
dimenticare che, ricchi o poveri, ci si può ammalare, ma che
per i poveri non ci sono l’assistenza e le medicine riservate
ai ricchi.
La
trama, tutto sommato, potrebbe sembrare poca cosa, ma è
l’abilità di chi scrive, la sua capacità di
ricreare ambienti, atmosfere e di suscitare emozioni che nobilitano
le pagine, che fanno di una storia la storia di tutti, di tutti
quelli che patiscono le decisioni di chi conta, loro che sono
numericamente assai più numerosi, ma che non hanno nessuna
voce in capitolo, loro che comunque vada a finire la storia in cui
sono semplici comparse non avranno né prebende, né
vantaggi, ma, solo nella migliore delle ipotesi, una sofferenza
minore di quella che di solito patiscono.
Ci
sono pagine che mi hanno commosso, mi hanno inumidito gli occhi,
perché una donna mite come Ida avrà tanto ancora da
subire, come la morte del primo figlio, che scompare in circostanze
drammatiche, e le condizioni di salute di Useppe, nato sottopeso,
minato da una malattia poco conosciuta clinicamente all’epoca
(l’epilessia) che lo isola dagli altri bimbi, ma non gli toglie
quel desiderio di afferrare una vita che giorno dopo giorno gli
sfugge di mano. La povera donna darà i primi segni di
cedimento della sua mente con la morte di Ninnuzzu, per poi avere il
colpo di grazia con la scomparsa di Useppe, a cui sopravviverà
per alcuni anni, ma ormai vinta, un povero essere che tanto ha
combattuto per i suoi figli e che senza di essi non è più
nulla, è svuotata del tutto, senza più volontà,
solo un cuore che batte sempre più piano.
La
storia è un romanzo stupendo, uno di quelli che
restano per sempre nel cuore di chi legge.
Elsa
Morante
è stata una scrittrice, saggista, poetessa e traduttrice.
Figlia di una maestra, Elsa Morante non frequentò la scuola
elementare e imparò da sola a leggere e scrivere. Iniziò
giovanissima a scrivere filastrocche, favole per bambini, poesie e
racconti brevi, e a pubblicare su svariati giornaletti per ragazzi.
Nel 1942 i suoi scritti per ragazzi vennero raccolti in un volume da
lei stessa illustrato e pubblicati da Einaudi con il titolo Le
bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina (poi
riscritto nel 1959 con il titolo Le
straordinarie avventure di Caterina).
Tra il 1935 e il 1940 scrive eleganti cronache di costume per riviste
culturali. Da quell’esercizio giornalistico nacque il primo
volume di racconti, Il
gioco segreto,
che uscì nel 1941. Ma l’opera che l’ha imposta
all’attenzione della critica è Menzogna
e sortilegio (1948,
premio Viareggio), la cui vicenda (la decadenza di una famiglia
gentilizia del sud, attraverso la ricostruzione allucinata che ne fa
una giovane donna sempre rinchiusa nella sua stanza) precisa la
vocazione favolosa e magica della Morante nei suoi termini di
angosciosa separazione dalla realtà.
E,
in forme più turbate e assillanti, il tema della solitudine,
nutrita di miti ambigui e funesti, torna nel romanzo L’isola
di Arturo (1957),
storia della difficile maturazione di un ragazzo che vive come
segregato nel paesaggio immobile dell’isola di Procida,
all’ombra del grande penitenziario.
Dopo
la raccolta di versi Alibi (1958)
e i racconti dello Scialle
andaluso (raccolti
in volume nel 1963), il libro che ha segnato una svolta nella poetica
della scrittrice è Il
mondo salvato dai ragazzini (1968).
Articolato
in testi dalla forma prevalentemente poematica (con strutture
strofiche che ricordano gli esperimenti della neoavanguardia), in
realtà esso accosta organismi letterari di segno diverso, dal
dramma alla satira, dal «manifesto» al documento
ideologico; ma l’elemento unificante di tanta disparità
espressiva è una sorta di tensione vitalistica che libera i
fantasmi della sofferenza claustrale nel credo quasi gioioso
dell’anarchismo e del pauperismo, nella fiducia accordata ai
«ragazzetti celesti», ingenui portatori dell’unica
possibile felicità, quella dell’innocenza astorica e
divinamente barbarica.
Tale
visione utopica è anche alla base del più discusso
romanzo della Morante: quel vasto affresco intitolato La
storia (1974)
che racconta l’odissea bellica dell’Italia e del mondo
(1941-47) riflessa nell’umile microcosmo d’una famigliola
romana, composta da una donna spaurita e immatura, da un ragazzotto,
da un bambino e da un paio di cani. Accusato di ripristinare
anacronisticamente messaggi poetico-consolatori, il romanzo esplicita
invece uno «scandaloso» rifiuto della storia, opponendo
problematicamente il mondo «fanciullo» e «povero»
a un mondo fittizio, generatore di morte e di scempi. Un’ulteriore
prova di forte intensità è il romanzo Aracœli (1982),
dove l’autrice disegna il ritratto dolente di un personaggio
«diverso», disperatamente proteso a ricostruire –
attraverso un viaggio che non è solo della memoria –
l’amata figura materna, perduta e irraggiungibile. Anche in
quest’opera, ma con tratti più angosciati e sconvolti,
la prosa della Morante conferma il carattere fondamentale del suo
fascino sottile: un equilibrio miracoloso tra il candore
magico-evocativo (una sorta di attitudine naturale al simbolo) e la
sinuosa, febbrile capacità di penetrazione psicologica.
Renzo
Montagnoli
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