Roma
1943
di
Paolo Monelli
Edizioni
Einaudi
Saggistica
storica
Pagg.
XIV-434
ISBN
9788806246204
Prezzo
Euro 14,00
Un
anno decisivo per l’Italia
Se
uno storico di grande prestigio come Lucio Villari scrive in IV di
copertina
«Opera
di grande giornalismo e di intensa testimonianza morale, "Roma
1943" - pubblicato per la prima volta nel 1945 - resta, a mio
parere, un modello inarrivabile (forse, unico) di cronaca autentica,
di verità essenziale che poco o nulla ha a che vedere con la
tradizione spesso dissimulatrice del giornalismo italiano» c’è
sicuramente da fidarsi ed è per questo motivo che ho letto
questo saggio storico – è così che deve essere
classificato – con un piacere che raramente mi è
accaduto di provare per un lavoro tecnicistico, perché è
evidente, a meno che non si inventi, che un elaborato storico deve
avere un substrato rigorosamente corrispondente a quanto
effettivamente accaduto, ma proprio per questo il più delle
volte, pur essendo interessante, non è tuttavia in grado di
avvincere, di tenere incollato il lettore alle pagine. E invece
questo Roma
1943
si legge come un romanzo fluente, nonostante la presenza di non pochi
incisi, sempre però molto funzionali alla narrazione, che sono
delle vere e proprie illuminazioni relativamente alle caratteristiche
dei protagonisti, alle speranze e anche alle meschinità che si
accavallano, all’incubo di quel che fu la dominazione tedesca e
alla dignità e al coraggio di un popolo, quasi sempre assai
migliore dei suoi comandanti. Il libro inizia con i malinconici
auguri per il nuovo anno scambiati fra Monelli e un suo amico il
primo gennaio del 1943; c’è in giro un’apatia che
contrasta con l’incrollabilità del popolo italiano
strombazzata dai giornali di regime e in fondo è anche
comprensibile, perché, non solo la guerra è in essere
con tutte le sue problematiche da quasi tre anni, ma ormai la
situazione sui vari fronti lascia intendere che di speranze di
vittoria non ce ne sono più. I caduti in battaglia, i
bombardamenti, il razionamento alimentare rappresentano ormai una
costante per una nazione che entrò in guerra solo perché
lo volle il capo, un uomo descritto come malato, vanitoso,
irresponsabile. E il peggio deve ancora venire, perché persa
la Libia ci sarà lo sbarco in Sicilia, indi la caduta del
fascismo il 25 luglio votata dai membri del Gran Consiglio, l’arresto
di Mussolini il giorno dopo appena uscito da villa Savoia dove era
appena andato a conferire con Vittorio Emanuele III per quella
esautorazione maturata in una notte di fuoco in cui il duce, più
che protagonista, pare essere stato un attonito spettatore, e infine
quel maledetto armistizio dell’8 settembre che portò i
tedeschi a occupare Roma e buona parte dell’Italia, una
tragedia di cui fecero spese gli italiani, soggetti di una brutale
repressione.
Monelli
analizza i fatti, descrive gli eventi, ricerca le motivazioni dei
comportamenti, in un crescendo che avvince il lettore che, benché
almeno a grandi linee sappia quel che accadde, ha l’impressione
di trovarsi di fronte a qualche cosa di nuovo, a una visione quasi
cinematografica che va dalla mestizia di due uomini che si fanno gli
auguri il primo gennaio del 1943 alle scene di gioia, all’unanime
sollievo degli esausti romani il 4 giugno 1944 allorché le
avanguardie americane entrarono in città.
Non
si evita nulla, anzi si scava a fondo senza riguardo per i
protagonisti, perché in quanto tali responsabili di ciò
che avvenne in quell’anno, responsabili nel bene e nel male,
dagli arrivisti fascisti senza morale ai crudeli comandanti tedeschi,
alle troppe incertezze del governo Badoglio all’incapacità
degli Alleati di saper cogliere l’occasione per poter
infliggere una sconfitta colossale alle truppe germaniche.
Roma
1943
è un libro di grande interesse, ben scritto, sincero e
veramente avvincente.
Paolo
Monelli (Fiorano Modenese, 15 luglio 1891 –
Roma, 19 novembre 1984) giornalista
e scrittore italiano. Ufficiale degli alpini durante la prima guerra
mondiale, scrisse su quell’esperienza un fortunato libro di
memorie (Le scarpe al sole, 1921). Congedato, intraprese la carriera
giornalistica e fu redattore del «Resto del Carlino», del
«Corriere della sera», della «Stampa».
Scrittore elegante, educato alla scuola della prosa d’arte,
portò nell’esercizio professionale il gusto della parola
«scelta», e in una sorta di repertorio-pamphlet più
volte ristampato (Barbaro dominio, 1921) difese la «purezza»
della lingua contro barbarismi e forestierismi. Al tema della guerra
dedicò altre opere di narrativa: Sessanta donne (1947), Morte
del diplomatico (1952), Nessuna nuvola in cielo (1957). Interessanti,
per la lucidità dell’analisi e la scioltezza
dell’esposizione, alcuni libri di politica, fra cui Roma 1943
(1945) e Mussolini piccolo borghese (1950).
Renzo
Montagnoli
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