Le
terre del Sacramento
di
Francesco Jovine
Donzelli
Editore
Narrativa
Pagg.
257
ISBN
9788860366443
Prezzo
Euro 23,00
Su
la testa
Le
terre del Sacramento è un dolente romanzo sulla condizione dei
contadini del meridione e rappresenta, idealmente, la naturale
continuazione di Signora Ava.
Là l’epoca era quella dell’impresa dei Mille, in
una versione del Gattopardo
dal punto di vista degli ultimi, e non
dei nobili e dei borghesi; e se la stratificazione sociale di Signora
Ava poteva essere spiegabile,
ma non giustificabile, con Le
terre del Sacramento l’accusa
a chi più ha e continua a volere di più è chiara
e indiscutibile. La vicenda di Luca Marano che impegna la sua parola
per un riscatto dei poveri contadini e viene tradito da una donna
furba e avventuriera sembrerebbe chiudere la possibilità di
qualsiasi riscatto di una infima classe sociale, ma è proprio
il sacrificio di questo inconsapevole sindacalista a dare un tenue
barlume di speranza, perché forse, solo uniti, si può
giungere alla meta. In Signora
Ava il periodo storico era
antecedente di più di mezzo secolo, al momento culminante del
processo di unificazione dell’Italia, con le speranze spezzate
delle classi più deboli; in questo romanzo invece il paese è
già unito, è da poco uscito dalla Grande Guerra, anche
questa infarcita di promesse non mantenute, e corre l’anno
1922, quello della marcia su Roma e dell’avvento del fascismo.
La povera gente della Marsica, oltre ad avere come nemica la miseria,
la tracotanza dei capitalisti e del mondo finanziario, l’indifferenza
di uno stato sempre più prono di fronte al potere economico,
ora ha un nuovo pericolo, il fascismo appunto, mano armata di chi da
sempre comanda per conservare la propria posizione di privilegio.
In
questo romanzo corale, in cui la ribellione dei contadini traditi non
è armata se non dalla pacifica occupazione delle terre
promesse, da loro faticosamente dissodate in virtù della
promessa di essere concesse in enfiteusi, promessa disattesa, la
trama, i protagonisti, perfino l’ambiente e l’atmosfera
formano un grandioso quadro d’insieme che non è solo lo
spaccato di un’epoca, ma è il pianto disperato di chi
soffre da sempre senza riscatto. Forse qualcuno potrebbe trovare una
matrice politica, un’ispirazione socialista, ma la visione di
Jovine esula da qualsiasi preconcetto, è l’urlo di
dolore di chi rivendica la dignità di essere umano, è
la descrizione impietosa di una condizione di sudditanza, è la
narrazione dell’anelito di una moltitudine a una vita migliore.
L’autore
si può far rientrare nella tradizione verista italiana che
inizia all’incirca dopo la metà del XIX secolo e che è
ricca di nomi famosi, da Giovanni Verga a Federico De Roberto, a
Ignazio Silone,
a Rocco Scotellaro, ma se questo è un inquadramento che ha più
a che fare con la letteratura, rimane l’importanza di
quest’opera, come anche del precedente romanzo Signora
Ava, e la sua valenza che va
oltre il periodo temporale e anche oltre il limite territoriale.
Quante genti al mondo sono da sempre, o quasi, vessate? Quanti, ma
infinitamente più pochi, forti delle loro ricchezze accumulate
nel tempo, non solo brigano per difenderle, ma per aumentarle,
impedendo qualsiasi possibilità di riscatto? Chi non ricorda “
El
pueblo unido jamàs serà vencido”?
Ecco, nelle terre del Sacramento il popolo degli italici peones ha
provato a unirsi, ma è stato sopraffatto dalla violenza
fascista con il beneplacito delle autorità dello Stato. Si
potrebbe dire che non c’è speranza e invece il
sacrificio degli altri è lo stimolo per non abbattersi, per
ritentare, per rialzare tutti insieme quelle teste da troppo tempo
abbassate, ed è questo il grande messaggio di questo romanzo.
Le
terre del Sacramento è assolutamente da leggere.
Francesco
Jovine (Guardialfiera,
Campobasso, 1902 - Roma 1950) narratore italiano. Ispirò alla
nativa regione molisana le sue opere più significative: dal
romanzo Signora Ava (1942) alla raccolta di racconti L’impero
in provincia (1945), all’altro romanzo Le terre del Sacramento
(1950, premio Viareggio), sorta di epopea del lavoro contadino e
commossa celebrazione della propria terra. I temi tradizionali del
feudo che va in rovina e del conflitto tra padroni e contadini
vengono rappresentati, all’avvento del fascismo, con una forte
carica polemica e uno stile asciutto che intreccia il rilievo di
caratteri balzachiani alla coralità della struttura. Narratore
di tradizione essenzialmente veristica, J. accolse nelle sue opere le
istanze dell’antifascismo e delle lotte sociali del dopoguerra,
senza tuttavia rinunciare a inflessioni di sottile lirismo. Nei suoi
esiti migliori, egli amalgama felicemente le agitate vicende della
storia e l’aura immobile del mito. Importante, nella Signora
Ava, ma anche nell’Impero in provincia, il delinearsi di un
giudizio riduttivo sul risorgimento, con motivazioni che più
recentemente una parte della critica storica ha fatto proprie.
Renzo
Montagnoli
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