Sorgo
rosso
di
Mo Yan
Edizioni
Einaudi
Narrativa
Pagg.
476
ISBN
9788806222154
Prezzo
Euro 14,00
Quasi
un poema epico
Mi
corre l’obbligo di una premessa che ritengo indispensabile,
soprattutto per chi ha conoscenze botaniche limitate come nel mio
caso, tanto che non sapevo assolutamente cosa fosse e come fosse il
sorgo. E’ un cereale simile al mais con un fusto che può
arrivare anche a tre metri d’altezza e che in autunno, a
completa maturazione, assume un bel colore rosso. Per quanto possa
essere indicato per l’alimentazione umana e del bestiame nel
libro di Mo Yan viene utilizzato per produrre una bevanda alcolica,
una specie di vino.
Ciò
premesso, passo a quest’opera la cui lettura non è certo
facile, ma che per molti versi è possibile definire
affascinante. Innanzi tutto il libro è dato dall’unione
di 5 romanzi, ognuno suddiviso in capitoli, e per la precisione e
completezza intitolati, rispettivamente, Sorgo rosso, Vino
di sorgo, Le vie dei cani, Il funerale del sorgo e
Pelli di cane. Sebbene non mi piaccia fornire anticipazioni
della trama - nel caso specifico piuttosto complessa ricorrendo
parecchie volte, forse anche troppe, ai flashback - è tuttavia
indispensabile che fornisca alcuni brevi cenni per comprendere di che
si tratta. Si parla dell’epopea, quasi una saga, di una
famiglia di produttori di vino di sorgo in un arco di tempo del
secolo scorso che va dal banditismo degli anni Venti alla tremenda
invasione giapponese degli anni Trenta e Quaranta per arrivare grosso
modo al periodo immediatamente prima della Rivoluzioni culturale. C’è
un narratore, che è l’ultimo discendente di questa
famiglia, e che racconta le vicende, vere e proprie gesta, dei suoi
nonni e dei suoi genitori. Ogni tanto torna indietro nel tempo, in
genere con abilità, cioè senza ingenerare fastidio, ma
qualche volta l’autore si è lasciato prendere la mano e
allora diventa difficile fare i necessari raccordi. Comunque è
scritto in modo magnifico, alternando sapientemente, a pagine di
notevole violenza, altre in cui la natura provvede a portare in chi
legge un profondo senso di serenità. In particolare ho trovato
una notevole capacità nel descrivere scene di battaglia, quasi
come se davanti ai nostri occhi scorresse un film, ma dove si supera
Mo Yan è proprio nella descrizione della natura, tanto che i
campi di sorgo rosso che ondeggiano al vento, le acque del fiume che
scorrono vicino e i tramonti che paiono pennellate sapienti di un
pittore espressionista finiscono con il diventare un palcoscenico
atto a smorzare gli orrori dei combattimenti, fanno vibrare il cuore
del lettore, che, impietrito dalla follia sanguinaria degli uomini,
ritrova il sentiero che lo riconduce a una vita più
tranquilla, nella consapevolezza che noi non siamo altro che ignari
attori di quella grande commedia che è la vita.
Di
fronte alle emozioni che l’opera può suscitare i piccoli
aspetti negativi dati da qualche flashback non raccordato benissimo
diventano inezie, tanto è il piacere di immergersi in una
narrazione che stupisce e avvince come poche.
Forse
non è un caso se dall’opera è stato tratto un
film, con lo stesso titolo, e con la regia di Zhāng
Yìmóu che si è
aggiudicato L’orso d’oro al Festival di Berlino del 1988,
così come non deve stupire che l’Accademia delle Scienze
di Stoccolma abbia conferito a Mo Yan il Nobel per la letteratura nel
2012.
Il
mio consiglio è di leggerlo senza fretta, di assaporare pagina
per pagina il gusto di un’opera che non ne ha forse
l’ambizione, ma che si riallaccia idealmente ai grandi poemi
dell’antichità, con un tono epico in cui si integra
benissimo qualche richiamo al fantastico, tanto che più d’uno
ha ritenuto di accostarla a Cent’anni di solitudine del
colombiano Gabriel Garcia Marquez.
Se
la Cina può ancora sembrare un paese molto lontano, nonostante
da tempo risulti più facilmente accessibile, fa piacere che da
esso sia arrivato uno scritto capace di unire gli uomini nel nome
della grande letteratura, di quella sempre valida, cioè senza
tempo, a dimostrazione che, se tante cose possono dividerci, l’arte,
soprattutto quando è eccelsa come nel caso di Sorgo
rosso, è sempre in grado di affratellarci.
Mo
Yan (1955,
Gaomi), pseudonimo
dello scrittore cinese Guan
Moye.
Mo
Yan significa, «colui che non vuole parlare» ed è
una sorta di risposta scherzosa alla nonna che lo zittiva
sempre.
Fondatore del movimento letterario «Ricerca delle
radici», è considerato il più rilevante scrittore
cinese contemporaneo.
Dalla sua scrittura evocativa e potente
emerge l’anima senza tempo della grande civiltà cinese,
impregnata di poesia, di violenza, di sentimenti primigeni.
Mo
Yan, originario di Gaomi nella provincia dello Shandong, nasce da una
famiglia numerosa di contadini poveri e, dopo aver terminato i cinque
anni delle scuole elementari, smette di studiare.
In principio
porta al pascolo mucche e pecore e i suoi rapporti con questi animali
sono più frequenti di quelli con le persone; prova cosí
il gusto della solitudine, ma acquista una profonda conoscenza della
natura. Crescendo, unendosi agli adulti partecipa alle attività
lavorative della comunità.
A diciotto anni va a lavorare
in una manifattura di cotone, e facendo capriole tra le balle si
riempie di fili.
Nel febbraio del 1976 abbandona il povero e
isolato paese natale per arruolarsi nell'esercito. Fa il soldato
semplice, il caposquadra, l'istruttore, il segretario e lo
scrittore.
Nel 1997, congedatosi dall'esercito, inizia a
lavorare per un giornale. Nel frattempo si è laureato presso
la Facoltà di Letteratura dell'Istituto Artistico
dell'Esercito di Liberazione Popolare (1984-1986) e ha ottenuto un
Master in Studi letterari e artistici presso l'Università
Normale di Pechino (1989-1991). Inizia a pubblicare nel 1981.
Fra
le sue numerose opere narrative, Einaudi ha finora pubblicato Sorgo
rosso ("grandiosa
epopea che, attraverso le vicende e gli amori del bandito Yu Zhan’ao,
ritrae a tutto tondo un popolo e la sua terra, sullo sfondo dei
grandi eventi storici: dal banditismo degli anni Venti
all’occupazione giapponese, fino alle soglie della Rivoluzione
culturale"), L'uomo
che allevava i gatti (entrambi
del 1997), Grande
seno, fianchi larghi (2002,
censurato in patria per la crudezza), Il
supplizio del legno di sandalo (2005,
"sconvolgente esplorazione d’ogni forma dell’agonia
condotta attraverso un gioco sottile di stili narrativi,
reinterpretati dall’opera cinese classica, che lascia vibrare
l’accordo dissonante dell’eccesso, teso tra il sublime e
il mostruoso") e Le
sei reincarnazioni di Ximen Nao.
Nel
2005 gli è stato assegnato il Premio Nonino.
Delle sue
undici novelle si ricordano Felicità,
Fiocchi di cotone, Esplosioni, Il ravanello trasparente. Tra i
racconti, Il cane e l'altalena e Il
fiume inaridito,
che Einaudi ha pubblicato nella raccolta di racconti L'uomo
che allevava i gatti (2008).
Ha
anche scritto opere teatrali e sceneggiature cinematografiche
come Sorgo
rosso, Il sole ha orecchie, Addio mia concubina.
Il
film Sorgo
rosso (con
la regia di Zhang Yìmóu) è stato premiato con
l'Orso d'Oro al Festival del Cinema di Berlino. Il film Il
sole ha orecchie è
stato premiato con l'Orso d'Argento al Festival del Cinema di
Berlino.
Nel 2005 gli è stato assegnato il Premio Nonino
per la sua intera opera.
Nel
2012 vince il Premio Nobel per la Letteratura con
la seguente motivazione: "who with hallucinatory realism merges
folk tales, history and the contemporary" (con realismo
allucinatorio fonde fiabe popolari, storia e contemporaneità).
Nel 2019 con Einaudi esce I
tredici passi.
Fonti:
Archivio storico Einaudi, Enciclopedia
della Letteratura Garzanti
Renzo
Montagnoli
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