Il sarto della stradalunga
di Giuseppe Bonaviri
In copertina La primavera
di Kuzma Petrov-Vodkin
Nota di Salvatore Silvano Nigro
Sellerio Editore Palermo
www.sellerio.it
Narrativa romanzo
Pagg. 173
ISBN: 9788838921506
Prezzo: € 10,00
Potrebbe sembrare a primo
colpo solo una storia di famiglia, quella di Bonaviri,
ambientata in una Sicilia feudale, dove il confine fra la miseria e la
ricchezza dei nobili e dei notabili è netto e invalicabile. L'infanzia di Peppi (Giuseppe, lo scrittore) è certamente descritta anche
per fissare i ricordi, per mantenere quel legame alla natia Mineo
da cui da grande se ne andò. Però è, soprattutto, il ritratto di una civiltà,
quella contadina, oggi ormai scomparsa, un quadro
illuminato dal sole cocente delle estati e dal gelo dell'inverno, popolato da
povera gente che lavora dalla mattina alla sera per ricavare quel poco che le
consenta di non morire di fame, seguendo un percorso immutabile che sembra
relegarla alla dannazione terrena, con l'unica prospettiva della morte come
fine di ogni sofferenza.
In questo senso si
potrebbe ravvisare una somiglianza con le opere di Giovanni Verga, che quasi un
secolo prima descrisse così bene la situazione di estrema indigenza delle
popolazioni della Sicilia. C'è però, secondo me, una differenza sostanziale,
perché nel verismo che connota le novelle o i Malavoglia figura preponderante
la convinzione nell'autore che il dolore della povera gente sia un qualche cosa di naturalmente immutabile, così che i
personaggi diventano comparse di una rappresentazione ripetitiva, senza
atteggiamenti di pietà.
In Bonaviri,
invece, c'è un forte affetto per questa sua gente sfortunata, è presente nel giovane Peppi l'anelito per il
riscatto, con la sublimazione dei sentimenti, dell'amicizia e così il suo
romanzo tende a essere inquadrato, più che nel verismo, nella corrente italiana
del dopoguerra, il neorealismo, che tanti successi tributò alla cinematografia
italiana.
Nella narrazione c'è
quella partecipazione derivante dal fatto di essere membro di questa comunità
di diseredati che è invece assente in Verga, di un'altra classe sociale, di
quella piccola nobiltà di provincia che sa vedere come stanno le cose, ma non
riesce a capire, o meglio ancora non vuole capire, perché la sua unica forza è
nella rassegnata disperazione di questa moltitudine.
Il sarto della stradalunga è un diario di famiglia, costruito intorno alle figure
emblematiche di Pietro, il padre, di Pina, la zia, e di Peppi,
Giuseppe, ognuna delle quali si fa parte narrante, a
integrazione del racconto.
La figura di Mastro
Pietro, il sarto, uomo che, per l'ambiente, è un letterato, sapendo leggere e
scrivere, è il ritratto di una speranza delusa, di quel tentativo di uscire dal
cerchio della miseria, lasciando la campagna per l'artigianato; intorno a lui
ruota un piccolo mondo di diseredati, che gli si rivolgono per chiedere di
scrivere lettere d'amore, con esiti anche ameni, ma è solo un momento di
elevazione, perché poi la realtà di quello stomaco da saziare riprende il
sopravvento e l'impossibilità di farlo in modo adeguato segna indelebilmente
l'animo, rende l'uomo taciturno, spento, perché la speranza di un cambiamento è
definitivamente tramontata.
Non meno importante è la
figura della zia Pina, zitella non per vocazione, ma per necessità economica,
una donna rassegnata che ritrova la sua femminilità e quasi un senso di
maternità nell'amore per i nipoti.
Quanto a Peppi il tutto viene visto con gli occhi di un ragazzo, a
cui troppo presto si chiede di essere uomo per contribuire al magro bilancio
familiare.
Intorno a questi
personaggi chiave gira una piccola umanità, in preda a superstizioni, a
ignoranza e a un'atavica fame. Nessuno è più importante degli altri e nessuno è
importante se non nella misura della sua presenza con cui fornisce il
contributo a darci un'idea di un mondo crudele, con i più poveri, uniti non
solo dalla loro condizione, ma anche dalla solidarietà, da quell'amore per il
prossimo ormai così raro a trovarsi.
E le parole fluiscono
incessanti, con un ritmo blando, una cronaca che si anima ogni tanto dai voli
di fantasia di Pietro che per lui costituiscono l'unica evasione dalla realtà.
Il linguaggio utilizzato
è veramente encomiabile, perché l'autore riesce sapientemente a innestare nel
quadro di desolazione umana le splendide immagini della natura del suo luogo
natio, con tramonti, albe, campi di grano che scorrono davanti agli occhi
increduli, ma soprattutto con un estro poetico di rara efficacia e che mi porta
a concludere che questo più che un romanzo, è un poema, è il canto di uno che
c'era e che riuscì a venirne via, oltrepassando quel confine che, tuttavia, per
certi aspetti, vorrebbe ora ripassare per ritrovare quell'umanità di cui serba
solo il ricordo.
Il sarto della stradalunga è un romanzo bellissimo, uno di quelli da leggere e rileggere per
scoprire ogni volta qualche cosa di nuovo.
Giuseppe Bonaviri, nato a Mineo (Catania) l'11 luglio 1924 e morto a
Frosinone il 21 marzo 2009, è stato il primo dei cinque figli di don Nanè, sarto, e di Donna Giuseppina Casaccio, casalinga.
Frequentò le scuole a Mineo e la sua passione poetica, come afferma lo stesso Bonaviri, venne alimentata dall'atmosfera magica che
aleggiava intorno ad una pietra, detta della poesia, che si trovava presso Camuti (altopiano
famoso per il suo villaggio preistorico) dove si trovava la pietra attorno
alla quale, fino alla fine del 1850, prima dell'Unità
d'Italia, si riunivano numerosi poeti da ogni parte della Sicilia,
per gareggiare scrivendo e recitando versi.
Si iscrisse in seguito presso
l'Università di Catania dove conseguì la laurea in medicina
nel 1949,
svolse il servizio di leva come sottotenente medico a Casale
Monferrato dove scrisse il suo primo romanzo,
Il sarto della stradalunga, che è anche quello
a cui Bonaviri era più legato. L'opera ottenne grande
approvazione da parte di Elio Vittorini e fu pubblicata nel 1954 da Einaudi nella
nuova collana "I gettoni".
Trasferitosi a Frosinone,
lavorò come medico cardiologo, cercando di conciliare la sua
attività professionale con la scrittura.
Scrisse numerosi romanzi nei quali
rappresenta il piccolo mondo paesano della sua terra, sempre attento a cogliere
la dimensione magica
e arcaica della natura: Il fiume di pietra nel 1964, Notti
sull'altura nel 1971,
L'enorme tempo nel 1976, Novelle saracene nel 1980, L'incominciamento
nel 1983,
È un rosseggiar di peschi e d'albicocchi nel 1986, Ghigò nel 1990, Il vicolo blu nel 2003.
Ha anche pubblicato raccolte di poesie: Il dire
celeste nel 1976,
O corpo sospiroso nel 1982, L'asprura nel 1986, I cavalli
lunari nel 2004.
Nel 2006 ha pubblicato Autobiografia
in do minore. Nel 2007
si è raccontato nel documentario Bonaviri
ritratto di Massimiliano Perrotta.
Renzo Montagnoli