Tu non dici parole
di Simona Lo Iacono
Giulio Perrone
Editore
www.giulioperroneditore.it
Narrativa romanzo
Pagg. 204
ISBN: 9788863160413
Prezzo:
€ 15,00
Francisca «ha
capito che esistono parole per i ricchi e parole per i poveri. Le une lette,
scolpite, recitate e – soprattutto – belle, bellissime come cose che non sono
di questa terra. Le altre lorde, bastarde e fetenti dell'alito di chi ha lo
stomaco vuoto»
La lettura di questo romanzo è stata
particolarmente travagliata, perché pagina dopo pagina, pur interessato alla
vicenda, non riuscivo a comprendere il motivo per cui il testo mi avvincesse,
anzi diventasse via via parte di me.
Di conseguenza, mi sono spesso interrotto,
ricominciando ogni volta da capo, con una sensazione di attrazione inconscia
che si rinnovava e che trovava puntualmente un'assenza di risposta alla domanda
continuamente reiterata: perché?
Poi, quasi per caso, nel corso di una ennesima rilettura, ho compreso che l'opera presenta più
significati, ma che quell'andamento lento, quasi dolente, con le parole che
sembrano le componenti di una processione non cristiana, ma eventualmente
pagana - qualora si consideri la preminenza dell'elemento spirituale naturale
-, era la rappresentazione del potere delle parole. Non si tratta solo di mezzo
di comunicazione, ma di un uso dei vocaboli e dei verbi in una sorta di quadro
mistico che recupera il valore fondante e immenso del linguaggio.
La parola non diventa quindi solo
mezzo, non è un oggetto, ma è un soggetto, la protagonista di un intero libro,
con un personaggio, l'esposta Francisca, che avverte
la suggestione della potenza delle parole, profonde, misteriose, evocatrici di
un mondo sconosciuto quelle belle, quelle dei ricchi, e dozzinali, quasi dei
grugniti quelle della povera gente. E allora impadronirsi di quelle belle,
anche se non ne conosce il significato, per Francisca
vuol dire evadere dalla dura realtà giornaliera e ascendere a un olimpo di cui
tuttavia non ha coscienza. Le parole dei ricchi fanno sognare i poveri ed
ignoranti che pensano che il motivo della loro agiatezza risieda in quella
lingua così colta, così sovrannaturale, che ben si sintetizza nella litania di
quel miserere ossessivamente ripetuto durante il sacco del convento.
Per Francisca
quei termini inusuali sono talmente importanti che finisce
con il rubarli, con il sottrarre pagine del breviario, quasi che in tal modo
potesse impadronirsi della ricchezza delle parole.
E così diventa un'ossessione ripetere
quelle già udite pronunciare dalle suore, con quella musicalità del latino che
permette alla ragazza di sentirsi sopra ogni cosa, ma soprattutto estranea alla
durezza di un mondo che a lei non ha riservato una sorte benigna, perché un'ignorante
che biascica, che si permette di pronunciare verbi non suoi non può essere che
una creatura del demonio, insomma una strega, da bruciare, da purificare con il
fuoco.
Diventa così, senza saperlo, nemica
della Chiesa, tutta tesa a conservare per sé il potere delle parole o al più a
lasciarne un po' ai nobili; le classi devono restare al loro posto, un misero,
un meschino non può elevarsi, perché ne andrebbe dell'equilibrio del mondo.
E così, quelle stesse parole che hanno
dato a Francisca la forza di vivere, la condannano,
l'uccidono, perché la loro ricchezza e il loro potere devono restare a chi da
sempre comanda, a chi delle parole ha fatto un uso a difesa dei propri
esclusivi interessi.
Inevitabilmente si arriva al processo
della Santa Inquisizione, in un giorno del carnevale, in cui i giudici
diventano maschere di altre maschere, se stessi, con una sentenza che è già
pronunciata prima di iniziare, perché loro sono i primi colpevoli, complici di
un diavolo che esiste solo in essi, solo parolai, di parole che non escono
dall'anima, in un rito che più pagano di così non potrebbe essere.
Ma allora perché il titolo Tu non
dici parole? E chi è quel Tu?.
Al misero non resta che la liberazione
della morte, che arriva sempre silenziosa, per tutti e quel Tu non dici
parole è rivolto a lei, alla signora in nero con la falce, che non ha
preferenze, ricco o povero, colto o ignorante, tutti li ghermisce in un unico
abbraccio.
Questo romanzo, fatto di parole in
italiano corrente, in italiano dell'epoca (XVII secolo), anche in dialetto ha
la straordinaria proprietà di ammaliare, di far entrare in un'altra dimensione,
in uno spazio-tempo sospeso. Per restare in tema verrebbe da pensare che
l'autrice riesca a stregare, ma è solo la forza delle parole che perfino travolge.
E' inutile che aggiunga che questo
libro è imperdibile.
Simona Lo Iacono è nata a Siracusa nel 1970. Magistrato
da 11 anni, attualmente dirige la Sezione distaccata
di Avola, tribunale di Siracusa.
Ha pubblicato racconti e vinto concorsi letterari di poesia e narrativa.
Collabora a riviste e magazine. Riunisce in casa propria un salotto letterario
ospitando scrittori e artisti.
Cura, sul blog "Letteratitudine"
di Massimo Maugeri (gruppo Kataweb-l'Espresso),
una rubrica fissa a metà tra diritto e letteratura.
Fa parte dell'EUGIUS, l'associazione
europea dei “giudici-scrittori.
Tu non dici parole è il suo primo romanzo e ha vinto la XIV Edizione del premio
letterario Vittorini “opera prima”.
Renzo Montagnoli