Il cielo
è rosso
di Giuseppe Berto
BUR Biblioteca Univ. Rizzoli
Narrativa romanzo
Pagg. 404
ISBN 9788817106214
Prezzo € 9,20
Il cielo è rosso è un romanzo che penetra nel cuore con un'iniziale stilettata, ma poi la
lama affonda, progressivamente, pagina dopo pagina, fino a quando, arrivati
all'ultima, ci si accorge che l'intimo dolore e la commozione che prorompono in
modo incontenibile danno un senso a tutta l'opera, facendo conoscere al lettore
il vero significato della parola pietà.
Se Niente di nuovo sul
fronte occidentale è il più bel libro
contro la guerra, questa opera prima di Berto non è certo inferiore, quasi una
parabola dell'uomo impotente di fronte a eventi troppo grandi per lui.
E' un romanzo
corale, imperniato su quattro orfani sopravvissuti a un terribile bombardamento
della loro città nel corso del secondo conflitto mondiale. Sono niente più che
dei ragazzini che all'improvviso devono maturare in fretta per poter
sopravvivere in un mondo sconvolto dalle rovine, dall'abbrutimento, dalla fame,
dal vuoto che le bombe hanno creato dentro di loro.
Tre provengono da
un quartiere degradato, popolato da gente povera, o addirittura misera, e
perciò sono avvezzi da tempo ad arrangiarsi, a combattere quotidianamente per
non soccombere, ricorrendo anche a mezzi non leciti o comunque riprovevoli.
L'altro è fuggito dal collegio di preti dove i suoi genitori, benestanti, lo
hanno mandato per studiare e per stare lontano dai rischi dei bombardamenti.
La differenza di
classe diventa quindi un altro spunto di Berto
per un'analisi
approfondita della stessa, con la trovata, geniale, di praticare un percorso di
progressivo avvicinamento. Così l'ingenuo Daniele, posto di
fronte alla nuova realtà, cercherà di adeguarsi ai suoi tre amici, i
quali, con altrettanta difficoltà, proveranno ad andargli incontro.
E' una storia di
miseria e di sentimenti, di illusioni e delusioni, in cui il singolo rifulge in
quanto parte del gruppo.
Ma è anche una
vicenda di sconfitti, di ragazzi che non conosceranno la gioventù gaia e
spensierata, troppo occupati a lottare per vivere. Una
sola resterà, Carla, la più pragmatica, la non idealista, disposta a fare la
prostituta per tirare avanti; eppure anche lei conoscerà la sconfitta, perdendo
prima Tullio e poi Daniele, i due ragazzi di cui subisce l'ascendente.
In questo quadro
crepuscolare, in cui notevole è l'abilità di Berto di descrivere l'abbrutimento
degli uomini a seguito della guerra, non si può tacere un personaggio, Giulia,
innamorata di Daniele, troppo tardi ricambiata, un'esile figura di dolcezza
quasi materna che soccomberà alla tubercolosi (al riguardo il
suo funerale notturno, con la sepoltura fra le rovine, è una delle pagine più
struggenti che abbia mai letto).
Non intendo svelare
il finale, com'è giusto per rispetto di chi vorrà leggere questo libro, anche
se potrà essere intuito da queste righe tratte appunto dal romanzo.
“Compiva ogni gesto
rigidamente e con lentezza, spaventato di perdere quel senso di calma che aveva
dentro per la gran cosa che gli restava da fare. Ecco che sentiva un gran
freddo, perché si era fatto nudo per l'amore degli uomini. Come Gesù e anche
altri santi, adesso non ricordava bene chi.”
Il cielo è rosso è la storia di vite vissute solo pochi mesi; Il
cielo è rosso è un romanzo
stupendo.
Giuseppe
Berto è nato a Mogliano Veneto (Treviso) nel 1914. Ha partecipato alla
seconda guerra mondiale sul fronte africano ed è poi stato prigioniero di
guerra in un campo statunitense maturando un distacco dal fascismo. Vissuto tra
Roma e Capo Vaticano (Calabria). E' morto nel 1978 a Roma. Ha pubblicato
libri di narrativa in parte ascrivibili al filone
neorealista: Il cielo è rosso (1947) pubblicato da Leo Longanesi e vincitore
nel 1948 del premio Firenze per la Letteratura, Le opere di Dio (1948), Il
brigante (1951). Altre opere sono in parte volti a una inquieta
indagine psicologica: Il male oscuro (1964) il suo romanzo più noto e vincitore
in una sola settimana del premio Viareggio e del premio Campiello -
"eccezionalmente, e senza che nessuno lo volesse", come ebbe a
scrivere qualche anno dopo -, La cosa buffa (1966). All'apologo
"fantascientifico" si è dedicato con La fantarca
(1965) edito da Rizzoli con 11 tavole a china di Herbert H. Pagani. Il racconto
è quello di chi postula, provocatoriamente, la risoluzione dei problemi
meridionali (sottosviluppo ecc.) tramite l'eliminazione del problema alla
radice: inviando tutti i meridionali tramite un'astronave via dalla Terra.
Racconto tra il satirico e l'umoristico, alla cui base è un sentimento offeso e
acre. Diario-testimonianza sulla guerra d'Africa è
Guerra in camicia nera (1955). Pamphlet provocatoriamente «conservatore» è la
Modesta proposta per prevenire (1971). Una rilettura della figura del Giuda
evangelico è ne La gloria, tra le sue cose migliori
accanto a "Il male oscuro". Immagine di copertina di "Oh, Serafina!" edito da Rusconi nel 1973. Interessante
anche la "fiaba di ecologia, di manicomio e d'amore" (come è nel
sottotitolo) intitolata Oh, Serafina! (1973) pubblicato presso Rusconi. Mentre la società
letteraria italiana cercava in qualche modo di reagire alle diverse
sollecitazioni di quello che accadeva - a livello sociale e politico, l'età dei
movimenti collettivi e delle contestazioni - Berto sornione dice la sua
imbastendo una sua "fiaba" che è anche controcanto a tutti i cantori
delle utopie industrialiste o terzomondiste
dell'epoca. Protagonista è un giovane industriale incapace di accettare il
mondo del "miracolo economico": Augusto Secondo, il suo nome, è un
disadattato che trova nella compagnia degli uccelli gli unici compagni degni a
questo mondo; nell'epoca dell'industria e della cementificazione, non trova
nessuno che lo comprenda, finisce in manicomio e qui incontra la donna (Serafina, appunto) nelle vesti di una
freak mistico-induista anche lei alla ricerca della sua nicchia dal mondo. La
troveranno, perché questa è una favola, in cui anche la morte quando è presente
- il suicidio del padre Giuseppe, la morte della madre ecc. - non dà
"problema", è solo un elemento del percorso fiabesco. Una favola
grondante elementi di attualità, profondamente evasiva:
attraverso l'apologo fiabesco il "disimpegnato" Berto vuol dire la
sua morale, in controtendenza e controcorrente rispetto ai modi e alle formule
(spesso astratte) del dibattito contemporaneo, ma anche divertendosi e
divertendo. Le cose migliori di Berto sono quelle in cui si inserisce nel
filone psicologico-esistenzialista. Ci si riferisce
soprattutto a "Il male oscuro", contraddistinto da una prosa fluida,
che mostra di aver digerito e metabolizzato la lezione joyceiana
del "flusso di coscienza", senza più esibirne le caratteristiche di
"avanguardia" ma usandone in maniera precisa e opportuna. E a
"La gloria", in cui la vicenda umana si pone a confronto e in
contatto con la vicenda divina, con i grandi problemi collettivi e
esistenziali, ma sempre dalla parte dell'umano.
Tratto da Zam.
Renzo Montagnoli