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  Recensioni  »  Il cielo è rosso, di Giuseppe Berto, edito da Rizzoli 16/12/2009
 

Il cielo è rosso

di Giuseppe Berto

BUR Biblioteca Univ. Rizzoli

Narrativa romanzo

Pagg. 404

ISBN 9788817106214

Prezzo € 9,20

 

 

 

Il cielo è rosso è un romanzo che penetra nel cuore con un'iniziale stilettata, ma poi la lama affonda, progressivamente, pagina dopo pagina, fino a quando, arrivati all'ultima, ci si accorge che l'intimo dolore e la commozione che prorompono in modo incontenibile danno un senso a tutta l'opera, facendo conoscere al lettore il vero significato della parola pietà.

Se Niente di nuovo sul fronte occidentale è il più bel libro contro la guerra, questa opera prima di Berto non è certo inferiore, quasi una parabola dell'uomo impotente di fronte a eventi troppo grandi per lui.

E' un romanzo corale, imperniato su quattro orfani sopravvissuti a un terribile bombardamento della loro città nel corso del secondo conflitto mondiale. Sono niente più che dei ragazzini che all'improvviso devono maturare in fretta per poter sopravvivere in un mondo sconvolto dalle rovine, dall'abbrutimento, dalla fame, dal vuoto che le bombe hanno creato dentro di loro.

Tre provengono da un quartiere degradato, popolato da gente povera, o addirittura misera, e perciò sono avvezzi da tempo ad arrangiarsi, a combattere quotidianamente per non soccombere, ricorrendo anche a mezzi non leciti o comunque riprovevoli. L'altro è fuggito dal collegio di preti dove i suoi genitori, benestanti, lo hanno mandato per studiare e per stare lontano dai rischi dei bombardamenti.

La differenza di classe diventa quindi un altro spunto di Berto

per un'analisi approfondita della stessa, con la trovata, geniale, di praticare un percorso di progressivo avvicinamento. Così l'ingenuo Daniele, posto di fronte alla nuova realtà, cercherà di adeguarsi ai suoi tre amici, i quali, con altrettanta difficoltà, proveranno ad andargli incontro.

E' una storia di miseria e di sentimenti, di illusioni e delusioni, in cui il singolo rifulge in quanto parte del gruppo.

Ma è anche una vicenda di sconfitti, di ragazzi che non conosceranno la gioventù gaia e spensierata, troppo occupati a lottare per vivere. Una sola resterà, Carla, la più pragmatica, la non idealista, disposta a fare la prostituta per tirare avanti; eppure anche lei conoscerà la sconfitta, perdendo prima Tullio e poi Daniele, i due ragazzi di cui subisce l'ascendente.

In questo quadro crepuscolare, in cui notevole è l'abilità di Berto di descrivere l'abbrutimento degli uomini a seguito della guerra, non si può tacere un personaggio, Giulia, innamorata di Daniele, troppo tardi ricambiata, un'esile figura di dolcezza quasi materna che soccomberà alla tubercolosi (al riguardo il suo funerale notturno, con la sepoltura fra le rovine, è una delle pagine più struggenti che abbia mai letto).

Non intendo svelare il finale, com'è giusto per rispetto di chi vorrà leggere questo libro, anche se potrà essere intuito da queste righe tratte appunto dal romanzo.

Compiva ogni gesto rigidamente e con lentezza, spaventato di perdere quel senso di calma che aveva dentro per la gran cosa che gli restava da fare. Ecco che sentiva un gran freddo, perché si era fatto nudo per l'amore degli uomini. Come Gesù e anche altri santi, adesso non ricordava bene chi.

Il cielo è rosso è la storia di vite vissute solo pochi mesi; Il cielo è rosso è un romanzo stupendo.

 

 

 

 

 

Giuseppe Berto è nato a Mogliano Veneto (Treviso) nel 1914. Ha partecipato alla seconda guerra mondiale sul fronte africano ed è poi stato prigioniero di guerra in un campo statunitense maturando un distacco dal fascismo. Vissuto tra Roma e Capo Vaticano (Calabria). E' morto nel 1978 a Roma. Ha pubblicato libri di narrativa in parte ascrivibili al filone neorealista: Il cielo è rosso (1947) pubblicato da Leo Longanesi e vincitore nel 1948 del premio Firenze per la Letteratura, Le opere di Dio (1948), Il brigante (1951). Altre opere sono in parte volti a una inquieta indagine psicologica: Il male oscuro (1964) il suo romanzo più noto e vincitore in una sola settimana del premio Viareggio e del premio Campiello - "eccezionalmente, e senza che nessuno lo volesse", come ebbe a scrivere qualche anno dopo -, La cosa buffa (1966). All'apologo "fantascientifico" si è dedicato con La fantarca (1965) edito da Rizzoli con 11 tavole a china di Herbert H. Pagani. Il racconto è quello di chi postula, provocatoriamente, la risoluzione dei problemi meridionali (sottosviluppo ecc.) tramite l'eliminazione del problema alla radice: inviando tutti i meridionali tramite un'astronave via dalla Terra. Racconto tra il satirico e l'umoristico, alla cui base è un sentimento offeso e acre. Diario-testimonianza sulla guerra d'Africa è Guerra in camicia nera (1955). Pamphlet provocatoriamente «conservatore» è la Modesta proposta per prevenire (1971). Una rilettura della figura del Giuda evangelico è ne La gloria, tra le sue cose migliori accanto a "Il male oscuro". Immagine di copertina di "Oh, Serafina!" edito da Rusconi nel 1973. Interessante anche la "fiaba di ecologia, di manicomio e d'amore" (come è nel sottotitolo) intitolata Oh, Serafina! (1973) pubblicato presso Rusconi. Mentre la società letteraria italiana cercava in qualche modo di reagire alle diverse sollecitazioni di quello che accadeva - a livello sociale e politico, l'età dei movimenti collettivi e delle contestazioni - Berto sornione dice la sua imbastendo una sua "fiaba" che è anche controcanto a tutti i cantori delle utopie industrialiste o terzomondiste dell'epoca. Protagonista è un giovane industriale incapace di accettare il mondo del "miracolo economico": Augusto Secondo, il suo nome, è un disadattato che trova nella compagnia degli uccelli gli unici compagni degni a questo mondo; nell'epoca dell'industria e della cementificazione, non trova nessuno che lo comprenda, finisce in manicomio e qui incontra la donna (Serafina, appunto) nelle vesti di una freak mistico-induista anche lei alla ricerca della sua nicchia dal mondo. La troveranno, perché questa è una favola, in cui anche la morte quando è presente - il suicidio del padre Giuseppe, la morte della madre ecc. - non dà "problema", è solo un elemento del percorso fiabesco. Una favola grondante elementi di attualità, profondamente evasiva: attraverso l'apologo fiabesco il "disimpegnato" Berto vuol dire la sua morale, in controtendenza e controcorrente rispetto ai modi e alle formule (spesso astratte) del dibattito contemporaneo, ma anche divertendosi e divertendo. Le cose migliori di Berto sono quelle in cui si inserisce nel filone psicologico-esistenzialista. Ci si riferisce soprattutto a "Il male oscuro", contraddistinto da una prosa fluida, che mostra di aver digerito e metabolizzato la lezione joyceiana del "flusso di coscienza", senza più esibirne le caratteristiche di "avanguardia" ma usandone in maniera precisa e opportuna. E a "La gloria", in cui la vicenda umana si pone a confronto e in contatto con la vicenda divina, con i grandi problemi collettivi e esistenziali, ma sempre dalla parte dell'umano.

Tratto da Zam.      

 

 

Renzo Montagnoli

 

 
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