Accabadora
di Michela Murgia
Edizioni Einaudi
Narrativa romanzo
Collana Supercoralli
Pagg. 164
ISBN 9788806197803
Prezzo € 18,00
Eutanasia alla sarda
Già dopo le prime pagine ho capito che questo è un romanzo da
leggere prima con il cuore e poi con la testa, una narrazione stilisticamente eccellente
che offre l'immagine di un mondo chiuso, isolano, in cui i gesti hanno una
ripetitività ancestrale,
in una specie di pellicola in bianco e nero che riporta agli albori del cinema
e che è il quadro di un ambiente in una certa epoca.
La tradizione dell'affiliazione di fatto vede unite una bimba,
Maria, a una signora che veste il lutto da quando l'amato non ha fatto ritorno
dalla prima guerra mondiale, ed è un rapporto fatto di poche parole e di molti
silenzi assai più significativi di qualsiasi
linguaggio.
Ma Bonaria Urrai, così si chiama la
signora, è anche un'accabadora, cioè una persona tanto
ricercata quanto temuta che pietosamente pone fine
alle sofferenze altrui, in una forma di eutanasia tipicamente del luogo.
Non nascondo che il libro mi ha entusiasmato e avvinto, con quel
suo ritmo lento, ma non statico, almeno fino a pagina 119, perché dopo, una
volta che Maria scopre quest'attività tenutale prima sempre celata, se ne va,
lascia la casa dove ha vissuto gran parte della sua fanciullezza e fugge a
Torino a fare la baby sitter.
Ora, se la reazione della giovane Maria è più che comprensibile,
del tutto inutile è la narrazione di questo periodo con cui si cerca di
cancellare la memoria del passato; sono pagine artificiose, che nulla
aggiungono alla storia, e che anzi troncano quell'equilibrio così apprezzabile
che mi aveva soggiogato. Da romanzo d'ispirazione classica si passa così a uno
scritto quasi insipido, un cambiamento repentino che non giova al libro e che
prelude all'ultima parte, con il ritorno di Maria al capezzale di Bonaria Urrai, costretta in un letto per un ictus.
E qualche cosa deve essere accaduto all'autore, perché cade ancora
una volta l'omogeneità dello scritto, il ritmo diventa altalenante e si arriva
a una conclusione che, fra le tutte possibili, è senz'altro la meno azzeccata.
C'è la volontà di dare a un mondo di naturale dolore un sviluppo positivo che stona con la logica dell'opera,
almeno per quella presente nelle prime 119 pagine.
La fretta di chiudere, fra l'altro, svilisce il ritrovato affetto
(e forse un giorno amore) fra Maria e Andrìa, quest'ultimo suo compagno d'infanzia.
Si perde, soprattutto, il concetto di come in una vita che si
chiude con la morte l'unica cosa che conti è l'amore.
E' un peccato, perché le intenzioni erano ottime, ma poi si sono
perse per strada, e così può anche capitare che un premio (Il Campiello)
tributi gli onori non tanto a un'opera coerente, ma
solo alle sue intenzioni.
Michela Murgia è nata a Cabras il 3 giugno 1972. Ha pubblicato Il
mondo deve sapere (Isbn, 2006), Viaggio in Sardegna,. Undici percorsi nell'isola che non si vede (Einaudi,
2008), Accabadora (Einaudi, 2009), vincitore del super
Mondello e del Campiello 2010.
Renzo
Montagnoli