Gli zii di Sicilia
di Leonardo Sciascia
Edizioni Adelphi
Narrativa racconti
Collana Fabula
Pagg. 248
ISBN 9788845909023
Prezzo €
18,00
Quattro racconti sullo
sfondo della guerra
Quando Leonardo Sciascia pubblica nel 1958 Gli zii di Sicilia è
già uno scrittore considerato da Italo Calvino molto promettente e che ha già
dato alle stampe alcune opere interessanti come Le favole della dittatura,
recensito da Pier Paolo Pasolini, La Sicilia, il suo cuore, la prima e
unica raccolta di poesie, il saggio Pirandello e il pirandellismo,
che gli vale il Premio Pirandello, e il romanzo Le parrocchie di Regalpetra, un'autobiografia dell'esperienza che ha
vissuto come insegnante nelle scuole elementari del paese natio.
Siamo ancora lontani dai testi con cui denuncia la presenza della
mafia, la sua collusione con il potere politico ed economico e infatti occorrerà arrivare al 1961 per poter leggere Il
giorno della civetta, la sua opera forse più nota in assoluto.
Tuttavia, in una parentesi romana al Ministero della Pubblica Istruzione,
matura in Sciascia l'idea di scrivere alcuni racconti sullo sfondo della guerra
ed è così che nascono le quattro prose che costituiscono Gli zii di Sicilia, unite
da questo filo conduttore, anche se molto diverse fra di
loro per ambientazione, per epoca e per messaggio.
Il primo, La Zia d'America, vede protagonista
lo stesso autore siciliano, in un periodo intercorrente fra lo sbarco degli
americani sull'isola e il primo dopoguerra. Venato da una sottile, quanto
caustica ironia, è in pratica la dissacrazione del mito americano, del paese
dove nulla è precluso a tutti, generoso, prodigo di aiuti non proprio
disinteressati. E' assai probabile che la vicenda sia autobiografica e si sia
svolta nei termini narrati, ma resta il fatto che già si nota quella capacità
di analisi delle azioni, delle loro cause e delle loro motivazioni che poi si
potrà trovare, esposta in modo più evidente e logico, nei romanzi successivi.
Il secondo, La morte di Stalin, storia di un
piccolo calzolaio antifascista, in preda al culto della personalità (il suo
mito è appunto Stalin), le cui certezze verranno messe a dura prova dai
comportamenti del dittatore sovietico; questo fervente comunista cercherà
sempre di farsi una ragione di azioni e misfatti compiuti dal suo idolo, perdendo
però poco a poco fiducia in lui e anche in se stesso. Qui l'ironia si veste
anche di umorismo e non è difficile ridere, anche se alla fine si passa al
sorriso, un sorriso strappato e quanto mai amaro.
Il terzo racconto, Il quarantotto, si svolge in Sicilia
in periodo risorgimentale, appunto fra il 1848 e il 1860. La rivoluzione del 1848 e l'unificazione del
Regno d'Italia sono visti dagli occhi di un giovane siciliano, un plebeo che sa
ragionar di testa sua. In questa prosa emerge netto, incontrovertibile, il
cinismo della classe dominante, di nobili e prelati decisi a contrastare con
qualsiasi mezzo anche il minimo spirito liberale, ma poi pronti a cavalcare
l'idea risorgimentale, affinché tutto cambi per poi tornare uguale.
E' un racconto molto interessante, il cui significato si ritrova,
come noto, nel Gattopardo di Tomasi di Lampedusa,
pubblicato postumo lo stesso anno de Gli zii di Sicilia, una curiosa
coincidenza, poiché è impossibile che Sciascia abbia potuto leggerlo prima di
scrivere questo testo, mentre è più probabile che lui
e appunto Tomasi
abbiamo recepito l'influsso di I
Viceré, di Federico De Roberto, opera ben antecedente, risalendo alla
fine del XIX Secolo.
L'ultimo racconto, aggiunto nel 1960 e intitolato L'antimonio,
narra la storia di un minatore, che scampato a un'esplosione di grisou (gli
zolfatari siciliani lo chiamano antimonio), in preda alla miseria si arruola
volontario per partecipare alla guerra civile spagnola. Lì, combattendo a
fianco delle truppe franchiste, conoscerà il vero volto del fascismo, al di là
della tanta retorica e delle promesse non mantenute. Crudele, solo come può
essere lo scoprire una realtà che sconvolge, questo racconto fornisce
l'immagine di un regime in decadenza, tuttavia inflessibile nel perseguire la
sua opera di ammaliamento delle classi meno abbienti, carne da macello in
miniera e da cannone in guerra.
Questo libro si legge con grande piacere, anche perché tutti e
quattro i racconti riescono ad avvincere; quindi non posso che consigliarlo,
anzi ne raccomando vivamente la lettura.
Leonardo
Sciascia (Racalmuto, 8 gennaio 1921 –
Palermo, 20 novembre 1989). E' stato autore di saggi e romanzi, fra cui: Le parrocchie di Regalpietra
(Laterza, 1956), Il giorno della civetta (Einaudi, 1961),
Il consiglio d'Egitto (Einaudi,
1963), A ciascuno il suo (Einaudi,
1966), Il contesto (Einaudi, 1971), Atti relativi alla morte di Raymond Roussel
(Esse Editrice, 1971), Todo modo (Einaudi, 1974), La scomparsa di Majorana
(Einaudi, 1975), I pugnalatori
(Einaudi, 1976), Candido, ovvero Un sogno
fatto in Sicilia (Einaudi, 1977),
L'affaire Moro (Sellerio, 1978), Il
teatro della memoria (Einaudi, 1981), La
sentenza memorabile (Sellerio, 1982),
Il cavaliere e la morte
(Adelphi, 1988), Una storia semplice (Adelphi, 1989).
Renzo
Montagnoli