Massimo d'Azeglio
Il sogno di una Italia
diversa
di Paolo Pinto
Introduzione dell'autore
Edizioni Solfanelli
www.edizionisolfanelli.it
Storia biografia
Collana Saperi
Pagg. 128
ISBN 978-88-7497-722-2
Prezzo € 10,00
Un messaggio quanto
mai attuale
“Credo
che non ci sia Paese al mondo dove abbondi nel popolo il buon senso, e dove
insieme comandi tanto quella minorità che non ha cultura, né carattere, né
giudizio…
…Onde l'Italia veramente
risorga v'è qualche cosa che passa innanzi all'Indipendenza e alla libertà…V'è
una base da porre a fondamento di tutto l'edifizio, senza la quale si sarà
edificato sulla rena; la base della probità politica, del senso morale.
Massimo d'Azeglio”
Massimo Taparelli, marchese d'Azeglio, più conosciuto come Massimo
d'Azeglio, in quanto lui stesso detestava quel cognome così poco aristocratico,
è un personaggio famoso, almeno di nome, ma se ai più si chiede a che cosa sia
dovuta questa sua notorietà, le risposte diventano vaghe, perché ben pochi
riescono a inquadrare esattamente questa importantissima figura del nostro
Risorgimento. Quasi con lo scopo di fare ampia chiarezza Paolo Pinto ne ha
scritto al riguardo un'ampia, esauriente e
interessante biografia.
Massimo d'Azeglio è uno dei non infrequenti geni italici che
spuntano qua e là nel nostro paese, ma alla causa della nostra indipendenza
poco interessano le sue qualità di pittore, un po' di più invece quelle di
letterato, visto che è l'autore di opere tese a riscoprire l'italianità come Ettore Fieramosca, o la disfida di Barletta,
e, soprattutto, Degli ultimi casi di
Romagna, ispirato ai moti di Rimini del 1845, e I miei ricordi, autobiografia di grande valenza politica.
Animo irrequieto, soprattutto in gioventù, girò in lungo e in
largo per l'Italia, non solo a caccia di gonnelle – il suo sport preferito -,
ma anche per verificare sul campo le enormi e profonde differenze esistenti fra
gli italiani dei vari staterelli in cui allora era diviso il nostro paese.
Sinceramente liberale, ma non solo puramente idealista, bensì
anche dotato di un invidiabile pragmatismo, si adoperò per unificare in unico
stato tutti gli italiani, e non lo fece da comprimario, ma da regista, sia pure
non così eccelso come il suo amico e avversario Camillo Benso conte di Cavour.
La consapevolezza delle tante differenze esistenti fra italiani
del nord, del centro e del sud, lo portò a considerare l'ipotesi, non certo
fantasiosa, di conservare gli stati preesistenti, unificandoli tuttavia in una
grande confederazione sul modello dell'unità tedesca.
Come è noto, non riuscì nell'intento, e assume quindi ancor più
significato la sua famosa frase “Abbiamo
fatto l'Italia ora dobbiamo fare gli italiani”. Comunque, oggi,
forse più che allora, si avverte l'esigenza di uno stato, libero e democratico,
non accentratore, bensi strutturato come una confederazione.
Nonostante gli incarichi di rilievo ricoperti da
d'Azeglio, fra i quali la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la sua
visione così avveniristica non poté concretizzarsi da un lato per l'immobilismo
politico e istituzionale della monarchia sabauda, e dall'altro per l'ostruzionismo pressante
dei mazziniani e di quelle correnti innovative che nella seconda metà del XIX
secolo sarebbero state poi chiamate socialiste.
Resta, comunque, un personaggio da onorare fra quelli che furono i
padri fondatori dello stato Italiano, per la sua costante attenzione a
pervenire all'unificazione delle popolazioni italiane; lui, che era piemontese,
per primo si sentiva italiano, lui, che era aristocratico, per primo era
liberale, per nulla conservatore, aperto al dialogo, abile diplomatico (sarà
merito suo se le condizioni di pace imposte dall'Austria dopo l'infausto esito
della prima Guerra di indipendenza furono alquanto ridimensionate nelle
richieste avanzate dal vincitore e ovviamente a beneficio del Regno di
Piemonte).
Inoltre, cristallino com'era, aveva ben capito che un nuovo Stato,
come del resto ogni stato, per poter progredire necessita di probità politica e
di senso morale, condizioni che evidentemente all'epoca latitatavano e che a
distanza di 150 anni dall'Unità ancora reclamiamo a viva voce.
Scritto in modo snello, intercalando vita pubblica e privata, Massimo
d'Azeglio è uno di quei libri che si leggono con grande piacere, con la
consapevolezza di imparare qualche cosa di nuovo, o comunque di comprendere il
perché di un'unità senza identità, di uno stato tanto lontano dai suoi
cittadini quanto questi lo sono spesso fra di loro.
Paolo
Pinto, giornalista e
scrittore, coltiva con uguale passione letteratura e storia, convinto che la
“finzione” letteraria possa significativamente contribuire alla ricerca della
verità storica ed esistenziale.
Fra le sue opere di carattere storico-biografico ricordiamo:
Carlo Alberto - Il Savoia amletico (Camunia 1986 e poi Rizzoli-BUR 1990);
L'amore segreto di Cavour (Camunia 1990), racconto documentato e analitico della storia
intensa e dolente di Nina Giustiniani e del giovane Camillo Benso di Cavour;
Vittorio Emanuele II - Il re avventuriero, (Mondadori, Le Scie, 1995; Mondadori,
Oscar-storia, 1997; “Biblioteca storica” de “Il Giornale”, 1993);
Umberto I - Il Savoia che non voleva essere re (Piemme 2003).
È del 1994 la pubblicazione, per i tipi Aquarium, del pamphlet politico, con
prefazione di Indro Montanelli, Una repubblica in rovina.
Tra i lavori di carattere letterario è stato curatore e prefatore di opere di
Diderot, Balzac, Flaubert, Dickens, Stevenson, Baudelaire, Poe, Bontempelli, e
dello stesso Azeglio. Di particolare rilievo la pubblicazione, nel 1990, per i
tipi della Newton Compton, dell'opera di Proust, Alla ricerca del tempo
perduto, la prima condotta nel nostro paese sul testo stabilito da Tadié, pubblicato
in Francia da Gallimard nella Biblioteca della Pléiade.
Renzo Montagnoli