Il balordo
di Piero Chiara
A cura e introduzione di
Mauro Novelli
In copertina: Domenico
Gnoli,
LEFT SIDE PARTITION, 1969 –
Stedelijk
Museum Amsterdam
Arnoldo Mondadori Editore
Narrativa romanzo
Collana Oscar scrittori
moderni
Pagg. XXXVI – 145
ISBN 9788804103400
Prezzo € 9,00
Un personaggio
straordinario
“Anselmo
Bordigoni pesava centoquaranta chili e la sua altezza era di metri
uno e novantotto. La vita sedentaria aveva favorito la crescita del suo
ventre, il cui asse antero-posteriore era di settanta centimetri, in rapporto
proporzionale col peso…. Scalinate di carne, sacche di grasso d'incalcolabile
consistenza, cordonate di lardo e spessore incredibile di cotiche,
materializzavano in lui una forma che troppo facilmente poteva definirsi
mostruosa, e aveva invece una sua armonia di rapporti tra misura e misura, e
come si è visto, tra misura e peso. Nel luogo dove capitò a vivere egli era,
positivamente, il più grande e grosso uomo che si fosse mai visto.”
Questa è una parte della descrizione
che Piero Chiara fa del protagonista di Il balordo, il suo terzo romanzo
dopo Il
piatto piange e La spartizione. E' indubbiamente un
personaggio eccezionale e non solo per la sua mole, perché, additato di volta
in volta come omosessuale, antifascista, debole di mente, musicofilo e
concertista di grande fama, è invece un uomo che più che vivere, si lascia
vivere, senza apparenti desideri, senza memoria del passato, completammente
soddisfatto della sua innata passione per la musica, alternata con lunghe
sedute in riva al lago o ai fiumi, cercando di far abboccare qualche
pesciolino.
Una vita anonima e silenziosa, la sua,
in evidente contrasto con la sua dimensione, che da sola basta a farlo notare.
Si potrebbe anche dire che conduce
un'esistenza chiuso in se stesso, indifferente al mondo che lo circonda, in un
atteggiamento tipico del diverso o comunque del disadattato.
Addirittura potrebbe essere scambiato
per lo scemo del paese, con quel suo mutismo ostinato che avvolge di ulteriore
mistero la sua persona.
Ma se lo scemo del paese viene
tollerato e finisce con il diventare quasi un'istituzione, perché c'è senza
esserci, perché in lui normalmente non c'è un talento che supplisca alla sua
disgrazia e che lo elevi dal suo grigiore, in Anselmo Bordigoni è presente una
grazia divina, una capacità di accostarsi alla musica, di interpretarla, di
suonare diversi strumenti come ben pochi sanno fare. E' un piacere ascoltare il
suono del suo pianoforte, è una melodia che scende dell'anima, ma
inevitabilmente questo riscatto della sua volontaria astrazione dal mondo urta
la sensibilità di chi, attivo e presente in società, non ha nulla da
contrapporre a questa qualità così eccelsa. Uno comincia a mormorare, a
inventare fatti inesistenti, e in una piccola realtà la voce corre, si propaga,
si amplifica, fino a diventare una verità.
Accusato di comportamento sconveniente
sarà inviato al confino, in un altro piccolo paese del meridione, chiuso, ma disponibile ad accogliere, senza riserve, questo
omone che trascorre lunghe giornate seduto sotto un albero gigantesco e
secolare, chiamato nella tradizione popolare Il Buon Cazzone. Ed è tanta la simbiosi con la pianta che anche
Anselmo Bordigoni, il Bordiga, ne assumerà il
soprannome.
Rientrato al paese lacustre, dopo il
secondo conflitto mondiale, in cui saprà farsi valere con la sua musica, tanto
da essere arruolato nell'esercito americano come direttore di
banda, non verrà riconosciuto dapprima da chi pur aveva a lungo vissuto
vicino a lui. Scambiato per un maggiore dell'esercito alleato, dimenticata da
tutti l'accusa infamante che l'aveva mandato al confino, anzi nella convinzione
che questo suo soggiorno obbligato fosse dovuto a un'attività antifascista, in
un quadro generale che vede le autorità del paese latitanti per il loro
trascorso attivo nel regime, sarà proclamato sindaco a furor di popolo. E mai
simile incarico verrà svolto così bene, con l'introduzione di una democrazia
diretta accettata da tutti, in quanto partecipi delle decisioni.
Durante questo incarico verrà a mancare
(le pagine della sua morte sono di grande bellezza) e umile come era sempre
stato chiederà solo di essere sepolto lungo il muro di cinta del cimitero, con
una piccola lapide con su scritto solo Qui riposa Il Buon Cazzone.
I tempi, tuttavia, dopo la sua morte
cambieranno rapidamente, vi sarà un ritorno ai preconcetti del passato, una
silenziosa restaurazione che provvederà a far cancellare dall'iscrizione “Il Buon Cazzone” e così ci si è dimenticherà
di lui, di una presenza tanto ingombrante quanto esaltante.
Piero Chiara ha scritto un romanzo che
è semplicemente stupendo, forse sotto l'influsso del Candido di Voltaire, un candido nazionale, paesano, un personaggio
indimenticabile così come tracciato dall'autore, che rivela in quest'opera
anche un rilevante talento poetico. Al riguardo bastano le poche righe che
seguono per dimostrare questa sua capacità:
“Finì l'anno scolastico e con l'estate ricominciò a funzionare
l'orchestra. Nelle notti stellate le due
motociclette canterellavano per le strade delle valli; e appena arrivati loro
dentro i saloni a finestre spalancate delle trattorie tacevano i grilli e
incominciavano i tonfi della grancassa, le cascatelle del pianoforte, i
singulti del sassofono e le sviolinate del Ginetta. Il
pubblico era sempre lo stesso, con l'intrusione di qualche villeggiante
milanese.”
E io che pensavo di aver letto tutto di
Chiara, tranne Il balordo, forse per il titolo che non mi attraeva, ora sono
contento di parlarne, perché per ultimo mi sono
riservato il suo romanzo più bello, che non esito a definire un capolavoro per
il tema trattato, per come è stato svolto, per la grande maestria con cui, più
volte, si è indotti al riso e contemporaneamente al pianto, come appunto nelle
pagine della morte del Bordiga.
Il balordo è un'opera imperdibile.
Piero Chiara nacque a Luino nel 1913 e morì a
Varese nel 1986. Scrittore tra i più amati e popolari del dopoguerra, esordì in
narrativa piuttosto tardi, quasi cinquantenne, su
suggerimento di Vittorio Sereni, suo coetaneo, conterraneo e grande amico, che
lo invitò a scrivere una delle tante storie che Chiara amava raccontare a voce.
Da Il piatto piange (Mondadori, 1962), che segna il suo esordio vero e
proprio, fino alla morte, Chiara scrisse con eccezionale prolificità,
inanellando un successo dopo l'altro.
E' stato
autore particolarmente fecondo e fra le sue numerose pubblicazioni figurano Il piatto piange (1962), La spartizione (1964), Il balordo (1967), L'uovo al cianuro e altre storie (1969), I giovedì della signora Giulia (1970), Il pretore di Cuvio (1973), La
stanza del Vescovo (1976), Il vero
Casanova (1977), Il cappotto di
Astrakan (1978), Una spina nel cuore (1979),
Vedrò Singapore? (1981),
Il capostazione di Casalino e altri 15
racconti (1986).
Renzo Montagnoli