Prima del tramonto
Fronte
dell'Isonzo – 15 ottobre 1916.
- Signor
Tenente, è vero che verso sera ci sarà l'attacco?
- Sembra
di sì; hai immaginato a causa della distribuzione
straordinaria di grappa, vero?
- Sì,
sempre così quando…
Il soldato
Mario Paltrinieri, classe 1896, abbassò gli occhi
come a cercare la punta degli scarponi affondata nel fango, poi si sedette su
una panca sgangherata, trasse di tasca un foglio sgualcito e una matita
smozzicata; restò assorto un attimo, gli occhi fissi verso il cielo plumbeo,
poi cominciò a scrivere.
“Cara Marta,
ho ricevuto ieri la tua
lettera di due settimane fa e non sai la gioia che ho provato nel leggere le
tue poche righe; per alcuni minuti mi sono ritrovato con te, al paese, sotto il
pergolato: è stato meraviglioso. Ho pensato al nostro bambino che nascerà fra
un paio di mesi e mi sono sentito felice in mezzo a queste miserie di ogni
giorno. Da noi non è poi così male come certa gente dice; la guerra non è
peggio della vita a casa, con qualche accettabile rischio in più. Non temere
per me: sto attento e voglio portare a casa questa pellaccia; già sogno quando
ti stringerò a me. Un lungo bacio e un abbraccio
Tuo Mario”
Piegò il
foglio, lo mise in una busta, ma non la chiuse: tanto l'avrebbe riaperta la
censura militare.
Guardò di
nuovo il cielo pieno di nubi cariche di pioggia e si incupì; era da sei mesi in
quell'inferno, in quel girone di disperati, distrutti
dalle bombe, dalle pallottole, dalla disperazione per aver firmato con la morte
una cambiale a vista.
Ogni tanto
arrivavano le zaffate di carne putrescente, di quelli che giacevano esanimi
nella terra di nessuno; le prime volte gli era venuto da vomitare, ma poi si era rassegnato..
- Mario,
vuoi darmi la lettera per la spedizione?
Si scosse
e – Un attimo, Signor Tenente, un attimo solo, devo scrivere ancora: sa,
potrebbe essere l'ultima e voglio che mio figlio, che nascerà fra poco, possa
avere almeno una lettera dal suo papà.
- Va bene,
ma non pensar male; sta su d'animo.
- Ci
provo, ma ogni volta che c'è battaglia temo che per me non ci possa essere
ritorno.
Trasse di
tasca un altro foglio, si portò alle labbra la mina della matita e infine
riprese a scrivere.
“Adorato figlio mio,
è il tuo papà che ti
scrive, il papà che non hai mai conosciuto e che tanto avrebbe voluto vederti.
Ho un desiderio incredibile di stringerti a me, ma
non mi è possibile; dove sono io ormai
Il tempo e la gioia non esistono, ma spero, anche
se non potrai scorgermi, di esserti accanto, giorno dopo giorno, di condurti in
questo mondo affinché almeno tu non abbia da vedere orrore e morte.
Vedi, la vita è bellissima, è un dono di Dio che
l'uomo spesso, inutilmente, spreca;
vivila, fino in fondo, con
tutte le tue forze e il tuo ardore.
Diffida di chi parla di gloria,
di onore, di bella morte: la gloria non è immolarsi su un campo di battaglia,
ma comportarsi umanamente; l'onore non è credere in qualche cosa di astratto,
ma rispettare i valori della vita: l'amore, la famiglia, la pietà per chi non
sa vivere;
la bella morte non esiste,
perché per tutti è un dolore, per chi va e per chi resta.
Rispetta tutti, per prima la tua mamma, e gli altri rispetteranno
te; sogna, perché altrimenti il mondo ti sembrerà impossibile, ma resta
ancorato a terra con i piedi, perché c'è sempre chi è pronto a sfruttare i tuoi
sogni.
Un giorno ti troverai una brava ragazza: amala, con
tutto il tuo cuore, perché non c'è nulla di più bello dell'amore.
Vorrei dirti tante altre cose, mi piacerebbe
parlarti di me, ma il tempo stringe e devo chiudere.
Sappi solo che ti amo tanto, ancor prima di
conoscerti.
Addio, dolce bambino mio.
Il tuo papà.”
Piegò il
foglio, lo ripose in un'altra busta, scrisse il destinatario e appose
un'annotazione “da spedire solo in caso di morte del mittente”. Si levò
lentamente, mentre le prime gocce di pioggia si mescolavano alle lacrime, e
porse entrambe le buste al tenente.
- Manca
poco; è quasi il tramonto.
A
occidente il cielo si andava squarciando, lasciando intravedere, fra le nubi,
il disco rossastro del sole.
Mario
volse lo sguardo: là dove il cielo incontrava la terra, dove i bagliori
rossastri attraversavano il maltempo c'era casa sua, sua moglie, tutta la sua
vita. Sul suo capo invece imperversava la pioggia sferzante e oltre il
reticolato c'era un'altra trincea, dove esseri come lui attendevano trepidanti
e angosciati.
Il
tenente, quasi avesse indovinato il suo pensiero, gli diede una pacca sulle
spalle.
- Dai,
Mario, che ce la faremo anche questa volta.
La sua
voce fu coperta dal cannoneggiamento, appena iniziato; dapprima i grossi
calibri, i 305, che passavano rombanti sulle loro teste per infrangersi
duecento metri oltre con un frastuono assordante, poi le bombarde
immediatamente alle loro spalle che lanciavano in aria una sorta di grossi
zaini che ricadevano provocando un insostenibile spostamento d'aria, e infine i
piccoli calibri da
trincea.
Quando il
tiro cominciò ad allungarsi, tutti capirono che era arrivato il momento; ci fu
chi si fece il segno della croce, chi strinse spasmodicamente il moschetto,
chi, come Mario, volse gli occhi imploranti al cielo.
Il tenente
per primo, la pistola in pugno, balzò fuori dalla
trincea e gridò – Avanti, Savoia.!
Il grido
fu ripetuto da mille bocche arse dalla sete.
Fronte
dell'Isonzo – 16 ottobre 1916
- Sono
stante tante le perdite?
- Il
reggimento ha perso circa la metà degli effettivi: 350 morti e 260 feriti.
- Mi passi
la lista dei caduti; bisogna fare la comunicazione alle famiglie, ma prima cerchi
di verificare che fra la posta in partenza non ci siano lettere delle vittime.
- Sì,
signor colonnello, provvedo subito.
- Già che
c'è, capitano, mi faccia portare una bottiglia di cognac; la battaglia è stata
dura e avverto il bisogno di un po' di conforto.
Il
colonnello si tolse gli occhiali e ripensò alla giornata, alla trincea nemica
conquistata, persa, riconquistata e poi ripersa definitivamente: sì, 350 morti,
per non dimenticare i feriti, per cercare di ottenere 200 metri in più
d'Italia, insomma uno sproposito.
- Ecco la
lista dei caduti, le lettere in partenza degli stessi e il cognac.
- Scriva
lei capitano, perché io non me la sento.
- Ecco,
signor colonnello, fante Giuseppe Ciribanti; metterei
la solita allocuzione: ho l'ingrato compito di comunicare la perdita del fante
tal dei tali, caduto gloriosamente nell'adempimento del proprio dovere. Io mi
permetterei di aggiungere l'assicurazione che non ha sofferto.
- Non ha
sofferto? Non ha sofferto un corno: giorni e giorni di trincea, fra pidocchi,
fango, morti, cibi scotti, pioggia, freddo, gli assalti, le veglie notturne, la
morte sempre davanti agli occhi… Sì, in confronto morire è porre fine a una
sofferenza che ti assilla di continuo, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Va
bene, metta pure questa frase idiota.
Si rigirò
fra le mani il bicchiere, poi tracannò avidamente e scagliò il vetro contro la
parete della baracca.
- C'è
qualche caso particolare?
- Non mi
sembra, o meglio c'è n'è uno che ha scritto due lettere, di cui una da spedire
in caso di sua morte.
- Me le faccia vedere, controlliamo che c'è.
Lesse
velocemente la prima, più breve, e la mise da una parte.
Passò alla
seconda e rimase annichilito.
Si portò
la bottiglia alla bocca, bevendo a lunghi sorsi, poi guardò il capitano.
- Lei che
ne farebbe di questa?
- Aspetti
che la leggo.
Mentre il
dito correva a sottolineare le righe, la fronte si imperlava di sudore.
- Signor
colonnello, questa sarebbe da censurare pressoché totalmente, anzi, meglio
ancora, sarebbe da cestinare. E' stata scritta da un sovversivo, non ci sono
dubbi.
- Un
sovversivo? Lei dice un sovversivo? Vorrei avere avuto un padre che mi avesse
scritto una lettera simile, un uomo che mi avesse voluto bene, attento al mio
futuro, e non obbligato dalla nascita a rispettare solo il destino che lui mi aveva voluto imporre.
- Secondo
me, è disfattista, e contiene pericolosi riferimenti rivoluzionari; se si
sapesse in giro che l'abbiamo fatta passare non deporrebbe a suo favore, anzi
penso che sarebbe un freno alla sua brillante e meritata carriera.
Il
colonnello si rigirò la bottiglia fra le mani, poi tracannò il contenuto fino
all'ultima goccia; rimase un attimo assorto, come se la sua mente seguisse un
lontano pensiero, e fissò quasi beffardo il capitano…
- Forse ha
ragione, capitano, ci sono cose più importanti e più grandi di noi che non
stare ad ascoltare le idee irrealizzabili di un povero soldato. Non la
distrugga; la terrò io fra le mie cose personali, se non altro perché è scritta
bene.
Domodossola
– 24 dicembre 1926
“Gentile signora,
sono il colonnello che
comandava il reggimento in cui prestava servizio suo marito e in colpevole
ritardo Le allego una lettera per suo figlio; adesso avrà l'età per leggerla e
per capirla e, soprattutto per comprendere, quanto bene gli volesse suo papà.
E' la vigilia di Natale; non voglio dire che per
questo tutti devono essere più buoni, ma spero tanto che mi perdonerà le
debolezze umane che mi hanno impedito di mandargliela subito.
Nella lettera con cui Le ho comunicato la sua morte
ho scritto che era caduto eroicamente, ma non è vero, perché invece lui è
vissuto eroicamente.
Buon Natale.”