Lettera
d’amore disperato
di
Renzo Montagnoli
Cara,
parlare
non si può, se parlo al vuoto nella stanza avverto di più
la solitudine, ho la certezza che tu non sei più con me, ma se
ti scrivo mi piace pensare che un giorno – chissà quando
Dio vorrà – forse potrai leggere queste mie parole.
E’
tornato l’autunno ed è giusto un anno che te ne sei
andata, che mi hai lasciato fra queste mura diventate fredde perfino
nei giorni dell’estate più torridi. Non s’ode voce
in questa casa, il tempo sembra essersi fermato al giorno in cui mi
hai lasciato; mi pento di non aver mai registrato la tua voce e le
poche fotografie che ti ho scattato non riescono a dare al tuo viso
quella luce che sempre illuminava, quel sorriso che tanto mi aveva
incantato e che ora disperatamente cerco nella memoria per avere di
te, se non una presenza ormai impossibile, una sensazione,
un’emozione da ravvivare affinché nel tempo non
sbiadisca. Che posso volere di più da chi non è più
con me, che posso chiedere alla vita se quello che era una gioia ora
non può più esserlo? Ti amo, ti ho sempre amata dal
primo giorno che ti ho visto, da quando all’uscita della scuola
mi hai involontariamente urtato. Ero nervoso, quel giorno, e già
mi veniva d’istinto un bel rimbrotto, ma nel volgere la testa
ho incontrato due occhi sorridenti nel mentre ti scusavi, uno sguardo
da cui mi sono lasciato catturare e già ti stavi allontanando,
mentre io avrei voluto essere sempre a te vicino. Poi ho chiesto
informazioni, a destra e a manca, ho saputo dove abitavi e un giorno
ti ho aspettato al varco, per parlare con te. Non sapevo di che cosa,
né come avrei cominciato, pensavo addirittura di inventarmi
una scusa; mi sono avvicinato, ti sei accorta di me, mi hai sorriso e
io, volando, sempre più leggero, ti ho raggiunto e non so
perché ti ho presa sotto braccio. Due passi, due passi in
croce, ma ho avvertito il tuo cuore palpitare insieme al mio, ti ho
detto il mio nome, tu il tuo, ti ho chiesto di uscire con me la sera
stessa e tu hai annuito. Ecco come è cominciato questo amore.
Se ci ripenso, mi sembra sia stato ieri, ma invece di anni ne son
passati, sempre insieme, fino all’ultimo, mai uno screzio, mai
una lite, anche se, dopo i giorni pieni dell’inizio, i baci,
gli abbracci, gli amplessi, poco a poco è scesa una cappa di
silenzio, di gesti ripetuti, di giornate sempre uguali e anche il tuo
sorriso lentamente si è spento, fino ad arrivare a uno sguardo
vuoto, a occhi smorti nel monotono grigiore di una relazione
affievolita. Ho cercato di ravvivare il fuoco, ho cercato un po’
di braci d’amore sotto la cenere dell’indifferenza, ma
non le ho trovate né in te, né in me. Capivo che tutto
stava andando a rotoli, ma nulla facevo per impedirlo e così
quando una mattina, durante la colazione, hai alzato la testa dalla
tazza di caffè e mi hai detto che era meglio per tutti e due
se te ne andavi, non ho fatto nulla per fermarti, quasi fosse la
logica conclusione di un progetto da tempo in corso. Hai preso un po’
della tua roba, hai chiamato un taxi, sei uscita senza nemmeno
salutarmi e non sei più tornata, né posso sapere dove
tu sia andata. Come il taxi è ripartito ho sentito di nuovo in
me una sorta di languore, un cucchiaino che scavava dentro e che mi
faceva riprovare un’antica fame, una fame d’amore. Son
corso fuori, ho gridato, ma già l’auto aveva girato
l’angolo; sono rimasto in mezzo alla strada a guardare
disperatamente il vuoto e ho iniziato questa penitenza che è
da un anno che sto scontando. Dio solo sa quanto vorrei che tu fossi
qui, quanto vorrei gridarti il mio amore, quanto ho desiderio d’esser
perdonato! Mi illudo che tu ritorni, mi par di sentire la porta che
si apre, il tuo passo leggero, la tua voce che grida “Amore
mio!”; mi pare, mi pare solo, perché qui tutto è
silenzio, perché qui lentamente sto morendo. Sono sempre più
convinto che non ritornerai, che hai incontrato un altro stregato dal
tuo sorriso e che meglio di me sa darti l’amore; mi sono quasi
rassegnato, ho perfino smesso di apparecchiare anche il posto tuo, e
nella malinconia che sempre più mi è compagna avverto
che invece l’amore aumenta, un amore che non sarà più
corrisposto, un affetto così forte e così disperato da
togliermi il respiro, da farmi desiderare quell’ultimo passo,
oltre il quale c’è solo l’oblio. Se un giorno
leggerai queste mie righe, capirai quanto l’abitudine a te sia
stata da me pagata, quanto la mia indifferenza si sia tramutata in
rimorso e folle amore, ma non voglio che tu pensi di avere qualche
parte di colpa, di aver contribuito a questo, no, tu non c’entri,
la colpa è solo mia perché ho dimenticato il
significato dell’amore.
Ti
amo, ti amo tanto, angelo mio.
Eternamente
tuo
Edoardo
Da
Lettere d’amore,
di
Autori Diversi (Edizioni
Arte e Musica, 2018)
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