Le mani correvano sul tavolo come sulla tastiera di
un pianoforte; Paolo era particolarmente nervoso quella sera.
Gli capitava sempre prima di ogni concerto, ma mai così, perché quello era un
giorno particolare: era il decimo anniversario del suo matrimonio, un'unione
non fortunata, chiusa da due anni con il divorzio. Si era
sempre chiesto che cosa avesse spinto la moglie ad abbandonarlo, ma non era
riuscito a trovare risposta; era tutto filato liscio per cinque anni, poi, poco
a poco, il filo che li univa si era allentato; la moglie, che pure tanto amava,
gli aveva cominciato a rimproverare quel suo carattere fatto di perfezione sul
lavoro ed in ogni cosa, quella sua mancanza di passione nel rapporto, quella
freddezza di ogni giorno. Forse era vero, ma lui era sempre stato così,
e quei rimproveri, anziché spronarlo a cambiare, lo avevano ancor più chiuso in
se stesso; si era rifugiato nel lavoro, ore ed ore passate al pianoforte, fino
a raggiungere quella perfezione di esecuzione che tutti gli invidiavano. La
critica gli rimproverava un'unica cosa: l'assenza di passione, di estro delle
sue pur pregevoli esecuzioni. Non si era curato più di tanto di queste
osservazioni ed ora, conosciuto e stimato, in tutto il mondo avrebbe da lì a
poco tenuto un concerto alla Scala di Milano, la sua città natale, dove ancora
viveva nei giorni liberi del suo girovagare di artista. Mancava poco ormai: una
decina di minuti. Ripassò mentalmente il programma, si aggiustò la marsina, poi
decise che era ora di andare.
Al suo apparire sul palcoscenico, il teatro gremito
esplose in un lungo applauso. Paolo si chinò leggermente senza provare
emozioni, perché gli applausi gli erano ormai abituali, poi sedette sullo
sgabello e, mentre in sala si spegnevano le luci, appoggiò delicatamente le
mani sulla tastiera.
Nel perfetto silenzio
dell'ambiente si alzarono lievi le note della “Tristesse”
di Chopin; le dita correvano incontro ai tasti
automaticamente e Paolo le seguiva come rapito; più che un esecutore sembrava
un ascoltatore, ma la mente era rapita da un turbinio di pensieri ed immagini,
ricordi di un periodo che aveva creduto felice e che non sarebbe terminato mai. Sullo
spartito affioravano di continuo il volto della moglie sorridente, una
passeggiata fatta insieme sui monti del Tirolo, un
laghetto in cui avevano messo le mani per rinfrescarsi, un amplesso sul letto
d'ottone della loro bella casa, le lacrime del giorno del divorzio, ultima
volta in cui l'aveva vista; due anni, due lunghi anni senza di lei,
un'eternità; non l'aveva cercata, non aveva voluto cercarla, anche se l'aveva
desiderato tanto, per parlarle, per spiegarle, per trovare un possibile punto
d'accordo. L'amava, ancor più di prima, e le note della “Tristesse” sembravano essere state scritte per lui, una sofferenza
interiore, una lacerazione dell'anima, che inconsciamente stava trasferendo
alla sua esecuzione, perfetta come sempre, ma viva come non mai.
Quando arrivò all'ultima battuta, impresse un tocco
così leggiadro che agli spettatori parve che il brano non fosse finito, poi
scese il silenzio e, mentre s'accendevano le luci, il pubblico tributò il suo
entusiasmo; non fu un applauso, ma un'autentica ovazione.
Paolo lentamente si alzò, madido di sudore, le
lacrime che scorrevano sul volto, ad abbracciare idealmente il trionfo, poi non
poté esimersi dal concedere i bis.
Decise di accontentare i suoi estimatori con un collage di antiche sonate
popolari, melodiose, semplici, ma per lui significative, e mentre le mani correvano
per loro conto continuarono a riaffiorare i bei giorni passati, tutta una vita
che non sarebbe mai più tornata.
Al termine, corse trafelato al
suo camerino e non prestò quasi attenzione alle parole del suo direttore
artistico - Fantastico, Paolo, oggi non hai suonato, hai creato.
Si buttò sulla poltrona in preda ad una disperazione
come non aveva mai provato e sperò che il sonno potesse arrivare presto ed
assopire quel tormento.
Qualcuno bussò alla porta. - Non ci sono, per
nessuno.
Ribussarono. Paolo si alzò, aprì di scatto - Lo
ripeto, non…- E le parole si smorzarono in bocca.
- Tu…tu…
- Sì, sono io; non ho perso un tuo concerto; tutte
esecuzioni impeccabili, di una perfezione incredibile, ma
fredde; ma questa sera, caro Paolo, non eri il Paolo che conoscevo; questa sera
ho trovato in te quello che ho sempre desiderato e che ti ho rinfacciato di non
avere: il calore del cuore, la passione di vivere, l'umanità.
- Hai seguito tutti i miei concerti?
- Sì, non ne ho perso uno; non potevo stare senza vederti,
senza sapere se qualche cosa in te era cambiato, e già disperavo, ma questa
sera…
- Mi sei mancata, mi manchi.
- Vogliamo ricominciare?
- Non speravo altro, amore mio.
E fu come se il pianoforte si fosse rimesso a
suonare; Paolo la strinse a sé con le mani, le sue dita corsero rapide lunghi i fianchi, mentre il cuore batteva sempre più
forte.