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  Racconti  »  Narrativa generica  »  Tracce musicali 14/03/2006
 

Le mani correvano sul tavolo come sulla tastiera di un pianoforte; Paolo era particolarmente nervoso quella sera. Gli capitava sempre prima di ogni concerto, ma mai così, perché quello era un giorno particolare: era il decimo anniversario del suo matrimonio, un'unione non fortunata, chiusa da due anni con il divorzio. Si era sempre chiesto che cosa avesse spinto la moglie ad abbandonarlo, ma non era riuscito a trovare risposta; era tutto filato liscio per cinque anni, poi, poco a poco, il filo che li univa si era allentato; la moglie, che pure tanto amava, gli aveva cominciato a rimproverare quel suo carattere fatto di perfezione sul lavoro ed in ogni cosa, quella sua mancanza di passione nel rapporto, quella freddezza di ogni giorno. Forse era vero, ma lui era sempre stato così, e quei rimproveri, anziché spronarlo a cambiare, lo avevano ancor più chiuso in se stesso; si era rifugiato nel lavoro, ore ed ore passate al pianoforte, fino a raggiungere quella perfezione di esecuzione che tutti gli invidiavano. La critica gli rimproverava un'unica cosa: l'assenza di passione, di estro delle sue pur pregevoli esecuzioni. Non si era curato più di tanto di queste osservazioni ed ora, conosciuto e stimato, in tutto il mondo avrebbe da lì a poco tenuto un concerto alla Scala di Milano, la sua città natale, dove ancora viveva nei giorni liberi del suo girovagare di artista. Mancava poco ormai: una decina di minuti. Ripassò mentalmente il programma, si aggiustò la marsina, poi decise che era ora di andare.

Al suo apparire sul palcoscenico, il teatro gremito esplose in un lungo applauso. Paolo si chinò leggermente senza provare emozioni, perché gli applausi gli erano ormai abituali, poi sedette sullo sgabello e, mentre in sala si spegnevano le luci, appoggiò delicatamente le mani sulla tastiera.

Nel perfetto silenzio dell'ambiente si alzarono lievi le note della “Tristesse” di Chopin; le dita correvano incontro ai tasti automaticamente e Paolo le seguiva come rapito; più che un esecutore sembrava un ascoltatore, ma la mente era rapita da un turbinio di pensieri ed immagini, ricordi di un periodo che aveva creduto felice e che non sarebbe terminato mai. Sullo spartito affioravano di continuo il volto della moglie sorridente, una passeggiata fatta insieme sui monti del Tirolo, un laghetto in cui avevano messo le mani per rinfrescarsi, un amplesso sul letto d'ottone della loro bella casa, le lacrime del giorno del divorzio, ultima volta in cui l'aveva vista; due anni, due lunghi anni senza di lei, un'eternità; non l'aveva cercata, non aveva voluto cercarla, anche se l'aveva desiderato tanto, per parlarle, per spiegarle, per trovare un possibile punto d'accordo. L'amava, ancor più di prima, e le note della “Tristesse” sembravano essere state scritte per lui, una sofferenza interiore, una lacerazione dell'anima, che inconsciamente stava trasferendo alla sua esecuzione, perfetta come sempre, ma viva come non mai.

Quando arrivò all'ultima battuta, impresse un tocco così leggiadro che agli spettatori parve che il brano non fosse finito, poi scese il silenzio e, mentre s'accendevano le luci, il pubblico tributò il suo entusiasmo; non fu un applauso, ma un'autentica ovazione.

Paolo lentamente si alzò, madido di sudore, le lacrime che scorrevano sul volto, ad abbracciare idealmente il trionfo, poi non poté esimersi dal concedere i bis.

Decise di accontentare i suoi estimatori con un collage di antiche sonate popolari, melodiose, semplici, ma per lui significative, e mentre le mani correvano per loro conto continuarono a riaffiorare i bei giorni passati, tutta una vita che non sarebbe mai più tornata.

Al termine, corse trafelato al suo camerino e non prestò quasi attenzione alle parole del suo direttore artistico - Fantastico, Paolo, oggi non hai suonato, hai creato.

Si buttò sulla poltrona in preda ad una disperazione come non aveva mai provato e sperò che il sonno potesse arrivare presto ed assopire quel tormento.

Qualcuno bussò alla porta. - Non ci sono, per nessuno.

Ribussarono. Paolo si alzò, aprì di scatto - Lo ripeto, non…- E le parole si smorzarono in bocca.

- Tu…tu…

- Sì, sono io; non ho perso un tuo concerto; tutte esecuzioni impeccabili, di una perfezione incredibile, ma fredde; ma questa sera, caro Paolo, non eri il Paolo che conoscevo; questa sera ho trovato in te quello che ho sempre desiderato e che ti ho rinfacciato di non avere: il calore del cuore, la passione di vivere, l'umanità.

- Hai seguito tutti i miei concerti?

- Sì, non ne ho perso uno; non potevo stare senza vederti, senza sapere se qualche cosa in te era cambiato, e già disperavo, ma questa sera…

- Mi sei mancata, mi manchi.

- Vogliamo ricominciare?

- Non speravo altro, amore mio.

E fu come se il pianoforte si fosse rimesso a suonare; Paolo la strinse a sé con le mani, le sue dita corsero rapide lunghi i fianchi, mentre il cuore batteva sempre più forte.

 

 

 
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