La fine
della crisi
di
Renzo Montagnoli
Proprio quando il peggio sembrava passato, un piccolo conflitto
nell'estremo oriente fra due staterelli per
rivendicare il possesso di un'area petrolifera contigua precipitò il mondo in
un incubo.
Le borse, che si erano da poco assestate, furono travolte da
un'ondata di vendite di clienti timorosi di una guerra su scala mondiale, le
azioni scesero di prezzo al punto tale da rendere il loro valore solo nominale,
la gente si precipitò nelle banche per riscuotere i propri depositi e queste,
ovviamente, non furono in grado di farlo.
Il panico si estese da comparto a comparto, da continente a
continente, i suicidi dei rovinati ormai riempivano le pagine dei giornali,
ovunque la produzione era ferma e torme di disoccupati si scontravano con forze
dell'ordine, ormai
rassegnate, come i loro aggressori, all'imminente fine.
I supermercati si svuotarono del poco che era rimasto negli
scaffali con operazioni di saccheggio improvvisate dalla paura e dalla fame, perché
l'unica produzione in corso era la stampa selvaggia delle banconote, così che
l'inflazione cresceva a vista d'occhio.
.*.*.*.*.*.
- Sei andato a vedere se c'è del latte per il bambino?
All'uomo caddero le braccia, mentre le lacrime solcavano il suo
volto.
- Ho girato, non so quanti chilometri ho fatto a piedi, ma dove
c'era un po' di latte costava 10.000 Euro al litro e noi abbiamo in tutto 1.000
Euro.
- Dovevi rubarlo, ne va della vita di nostro figlio.
- Si fa presto a dire prendilo e scappa, ma non ho mai rubato
nulla in vita mia e poi non è così semplice, perché ci sono le guardie con le
armi. Dovrei uccidere e questo proprio mi rivolta coscienza.
- Senza latte muore e quindi, anche se non direttamente, lo
uccidi.
L'uomo strinse i pugni e prese a batterli sul capo.
- No, no! Clara, cosa possiamo fare?
La donna, il volto tirato, gli occhi arrossati, lo strinse a sé.
- Franco, non lo so. Ma so che se lui non beve almeno il latte
muore.
- Esco di nuovo, vado in qualche fattoria, ammazzo se necessario,
ma lui deve vivere, lui non ha colpa di questo mondo folle.
Uscì, senza sapere dove andare.
Le campagne apparivano desolate, incolte, perché gli agricoltori,
senza i crediti delle banche, non potevano arare, seminare, raccogliere i
frutti della terra.
Nei poderi, ogni tanto, si intravvedeva un trattore abbandonato, o
per mancanza di combustibile, o per rottura meccanica, ma in ogni caso per
l'impossibilità di provvedervi per carenza di denaro.
In cielo non c'erano più uccelli, tutti abbattuti a fucilate,
compresi gli stopposi gabbiani, per mettere qualche cosa sotto i denti; branchi
di cani affamati si aggiravano qua e là, pronti ad aggredire e a sbranare
chiunque incontrassero per strada.
Lungo le grandi autostrade, ma anche sui percorsi regionali o
comunali, giacevano carcasse d'auto, ferme definitivamente perché senza
benzina, ma soprattutto per l'impossibilità di ripararle.
Rare biciclette si muovevano furtive lungo tragitti che appena
dieci anni prima sarebbero stati ad esse preclusi.
Ovunque si respirava un'aria di rassegnata desolazione, con la
vegetazione che piano piano riprendeva il possesso di
intere zone da cui il progresso l'aveva cacciata.
Franco raggiunse i limiti del paese: di là si aprivano solo
campagne e forse c'era ancora qualche mucca in una stalla, forse c'era un po'
di latte e se c'era lui doveva impossessarsene.
Camminò per ore, sotto il sole d'estate, infradiciato dal sudore,
timoroso di imbattersi in un branco di cani, ma non trovò nulla.
Stanco si sedette e cominciò a piangere: nulla ormai poteva
fermare le sue lacrime, la sua quotidiana sconfitta.
Improvvisamente gli sembrò di udire un muggito; dapprima pensò a
un miraggio, ma poi lo udì nuovamente, in distanza.
Si drizzò in piedi e guardò all'intorno, ma c'erano solo campi
seccati dal sole.
Eppure, a tratti si sentiva il muggito, ma da dove provenisse non
riusciva a capirlo: forse da est, oppure da ovest, da nord o da sud?
Non ci pensò due volte, decise di affidarsi al caso e si incamminò
verso nord, chilometri e chilometri di strade polverose, senza cibo, senza
acqua, senza certezze.
Fu solo quando il sole girava al tramonto che scorse ai margini di
un bosco di betulle una piccola casa colonica, dal cui camino usciva un filo di
fumo.
Si trascinò fin là, gli ultimi metri furono i più faticosi, tanto
che cadde più volte, e quando arrivò alla porta non ebbe nemmeno la forza di
bussare. Una vertigine lo assalì e si lasciò andare, senza più coscienza.
- Bevi, hai sete e sei debole.
- Dove sono?
- Sei in casa nostra.
Franco aprì gli occhi e scorse i visi preoccupati di un uomo e una
donna, avanti con gli anni.
- Bevi, è latte caldo e ti farà bene.
- No! Il latte no! Serve per il mio bimbo e se non glielo porto
muore.
I due anziani si guardarono negli occhi, poi ci fu un breve cenno
d'intesa.
- Dov'è il tuo bambino?
- A casa con sua mamma, in paese.
- Ho un calessino e un cavallo. Se mi dai l'indirizzo, li vado a
prendere.
Franco fu prodigo di informazioni e l'uomo partì.
A tu per tu con la donna, mentre sorseggiava il latte, le chiese:
- Non avete avuto problemi dalla crisi?
- Per noi non c'è nessuna crisi. Coltiviamo la terra arando con
l'aiuto del nostro cavallo, abbiamo un toro e tre vacche da latte, ci
accontentiamo di quello che la natura ci offre e ti assicuro che è tanto,
perfino troppo a volte.
- Mi scusi, ormai è buio e non la vedo bene, può accendere la
luce?
La donna accese un lume.
- Non abbiamo mai avuto la luce elettrica, non ne sentiamo il
bisogno.
- Dunque, non avete nemmeno il televisore?
- Non ci servirebbe: ci alziamo al sorger del sole, facciamo i
nostri lavori e quando già è alta luna andiamo a coricarci.
- Ma non ascoltate nemmeno la radio?
- No.
- Non leggete i giornali?
- Leggiamo i libri.
- Che genere di libri?
- La sacra Bibbia, l'Iliade, l'Odissea, la Divina Commedia…
- In tutti questi anni di vita, quante volte li avete riletti?
- Non saprei, di certo molte volte, ma non sono mai abbastanza,
perché troviamo sempre qualche cosa di nuovo; nei libri dove si parla dell'uomo
non c'è mai nulla di definitivo.
Quando la luna era già alta in cielo, arrivò il calesse con Clara
e il bambino.
I due vecchi festeggiarono il piccolo, gli diedero da bere il
latte e poi invitarono i loro ospiti adulti a sedere per la cena.
- Niente di speciale, ma quello che mangiamo ogni giorno, pane
fatto in casa, minestra di verdure, due uova sode con insalata, un po' di
formaggio, una pesca.
Franco non riuscì a star zitto: - Per noi è del tutto speciale.
Il vecchio, fece un cenno d'intesa alla
la moglie, poi disse:
- Noi siamo avanti con gli anni e il lavoro dei campi ci affatica
sempre di più. Avremmo bisogno di gente più giovane che ci dia una mano e noi
possiamo contraccambiare solo con l'alloggio e con il vitto. Vi chiediamo, anzi
vi preghiamo di restare. Potete pensarci un po' su, perché capisco che la
nostra è una vita troppo tranquilla, però se vi va sappiate che saremmo
veramente contenti.
Inutile dire che la risposta fu pressoché istantanea e
affermativa.
Gli inizi della nuova vita non furono del tutto facili per Clara e
Franco. Lui specialmente si trovava a disagio a lavorare nei campi, a dissodare
della terra, insomma a fare il contadino.
Ogni tanto sbuffava, si guardava i calli che andavano formandosi
sulle mani e forse in cuor suo rimpiangeva la vita tecnologica di quando non
c'era la crisi.
Il vecchio lo osservava silenzioso e sorrideva.
- C'è poco da ridere! Qui si fatica, ho tutte le mani piagate e la
schiena spezzata.
- Ti ci abituerai e poi non vorrai più cambiare.
- Io lavoravo in un ufficio, avevo un computer e delle mani usavo
solo le dita per battere sulla tastiera.
- Fai conto che la vanga sia la tastiera e se ti stanchi, fermati
un attimo, guardati intorno, riscopri il colore del cielo, ascolta le mille
voci della natura, e dopo potrai riprendere il lavoro.
- Dici così, perché ci sei abituato, perché ci sei nato.
Il vecchio scuoteva la testa e la bocca si allargava in un nuovo
sorriso.
Poi, a poco a poco, le mani, prima così indolenti, si
fortificarono e anche la schiena prese a
far meno male.
Franco lavorava, guardava il cielo, prestava orecchio ai suoni
della natura, ma ancora rimpiangeva la vita prima
della grande crisi, quando si andava al supermercato e si finiva con il
comprare sempre più del necessario, oppure i giorni di villeggiatura in una
meta rinomata, fra tanta gente che si riposava e si divertiva, o forse si
illudeva solo di divertirsi.
Un giorno gli si bucarono le suole delle scarpe e allora chiese al
vecchio se sapeva dov'era un ciabattino per ripararle, oppure un negozio dove
le vendessero a un prezzo non esoso.
Questi guardò le calzature con occhi attenti, poi concluse:
- La pelle è ancora buona, possono ancora fare un buon servizio.
Perché andare dal ciabattino?
- Per risuolarle.
Ci fu un altro sorriso, poi il vecchio sparì con le scarpe in una
specie di cantina.
Franco a piedi nudi rimase seduto in cucina, con aria stupita, a
chiedersi il perché dello strano comportamento del padrone di casa.
Dopo un po', forse una quindicina di minuti, si sentirono dei
colpi di martello, prima leggeri, poi più forti e infine dopo un altro quarto
d'ora il vecchio ricomparve con le scarpe in mano e perfettamente risuolate.
- L'uomo con la tecnologia ha perso la manualità, è diventato
schiavo della macchina e delle abitudini a sperperare ciò che ci offre la
natura. Per risuolare un paio di scarpe non ci vuole un genio e nemmeno un
computer, ma bastano un martello, dei chiodini, una striscia di cuoio da
ritagliare e la volontà di farlo, magari con piacere.
A Franco parve che di colpo si fosse aperto un sipario su un mondo
sconosciuto, o meglio ignorato, un tratto di strada percorso da tempo
immemorabile, prima sepolto dall'inutilità di una vita finalizzata a un
benessere fittizio.
Ne parlò con Clara e anche lei convenne che forse quella vita era
quella vera, quella che consacra la dignità umana.
Si lavorava, a volte anche con fatica, ma alla sera la stanchezza
era diversa e consentiva ore di sonno quiete e riparatrici.
Nel rileggere insieme i pochi libri dei due vecchietti si
accorsero di aver studiato, ma mai capito veramente la bellezza di quei testi;
riscoprirono anche un amore quieto, fatto di tenerezze, di appagamenti
reciproci.
Piano piano si accorsero di non aver
prima vissuto, presi com'erano dalla frenesia giornaliera, dal lavoro che
avrebbe consentito di acquistare tante cose che diventavano inutili appena
finivano nelle loro mani. I giorni di villeggiatura erano solo riti, una
ripetizione del vivere quotidiano in un altro luogo, con la fretta sempre di
vedere tutto senza poi ricordare niente.
E invece lì anche una zolla di terra era una scoperta, una materia
apparentemente inerte, ma brulicante di vita; il lezzo
della stalla che li aveva infastiditi i primi giorni in breve diventò un aroma
del tutto naturale, ben diverso dai miasmi che si levavano dalle ciminiere
delle fabbriche.
Certo non c'era la luce elettrica, mancavano la televisione e la
radio, ma quello che prima sarebbe sembrato un bisogno primario rapidamente
finì con l'essere dimenticato a beneficio di una vita più quieta, che lasciava
spazio ai sentimenti e in cui l'uomo ritrovava appunto la sua dignità,
ricollocandosi nello spazio riservatogli dall'ordine naturale delle cose.
Si abituarono così a quella vita, anzi ne gioirono, anche perché
si accorsero che non era assolutamente monotona. Bastava guardarsi intorno con
il desiderio di vedere con amore e con rispetto ogni cosa e nessun giorno era
uguale all'altro, era come vivere in un mondo diverso.
Ogni tanto scoprivano cose nuove, come il tremulo bagliore delle
lucciole, ma non mancavano anche le sorprese.
Il vecchio un giorno, mentre erano a tavola per la cena, si
rivolse a Franco e gli disse:
- Tempo fa mi hai detto che per me era diverso, perché io ci sarei
nato, qui. Ho sorriso, perché sono le stesse parole che molti anni fa ho
pronunciato al signore che abitava in questa casa e che aveva ospitato me e mia
moglie. No, non sono nato qui, ma ci sono venuto, stanco di una vita senza
succo, di una corsa senza traguardo, di una notte senza giorno. Facevo…, non ti dico
quel che facevo, perché non conta; l'importante è quel che faccio ora e la
serenità che mi pervade, quell'appagamento che non ha prezzo, né possibilità di
commercio, se non nel desiderio che anche altri sappiano come si può e si deve
vivere.
.-.-.-.-.-
Passarono gli anni, la crisi com'era venuta se ne andò e gli
uomini lentamente ripresero a far funzionare le fabbriche, a far correre le
auto sulle strade.
Il bimbo era cresciuto, anzi era diventato un giovanotto; Clara e
Franco erano invecchiati e nella casa, priva ormai dei suoi originari abitanti,
giunti serenamente alla fine dei loro giorni, erano rimasti soli.
Il figlio aveva deciso di affacciarsi sul mondo, di entrare nel
progresso e l'avevano lasciato fare, perché nulla può fermare un giovane che
andando alla scuola del paese e conoscendo i suoi coetanei si sentiva
inferiore, privo di cose che gli venivano dette utili, anzi indispensabili.
Ogni tanto pensavano a quel litro di latte, a come un bene così
indispensabile avesse cambiato la loro vita. Erano dispiaciuti per il figlio,
ma pensavano, giustamente, che ognuno ha il diritto di
percorrere il suo cammino, magari anche sbagliando.
Trascorsero altri anni, fra un boom economico e una nuova crisi,
di cui ebbero sentore solo scambiando due parole con i rari viandanti o nel
corso di qualche rapida puntata in paese per barattare i prodotti della terra
in eccesso.
Si accorsero di essere considerati strani, forse addirittura
malati di mente, ma a loro non importava, perché stavano bene così, nel loro
mondo, piccolo per gli altri, immensamente grande per loro.
Il ritorno da queste rare escursioni rinnovava ogni volta la gioia
di aver ritrovato se stessi e la serenità.
Il muggito di una mucca nella stalla li guidava nel rientro come
una voce amica che ricordava loro che solo lì il confine fra sogno e realtà si
sfumava a tal punto che era impossibile distinguerlo. La casa non era solo
un'oasi, ma lo scrigno degli inconsci desideri ormai materializzati.
Una sera, in cui il debole chiarore della lucerna delineava, nei
giochi di ombre, i visi rugosi dei due sposi, sentirono bussare alla porta.
Aprirono e si trovarono di fronte un uomo stremato, ma dallo sguardo raggiante
per aver ritrovato la sua strada.
- Avete un po' di latte per me? Non ne ho mai bevuto di così buono
e pieno di calore umano come qui. Mamma, papà, non potevo non ritornare a
vivere veramente.