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  Racconti  »  Narrativa generica  »  A futura memoria 27/01/2006
 

E' passato ormai tanto tempo, quasi un secolo, e quei nomi incisi nella lapide sul frontale della chiesa del villaggio, a futura memoria di chi è caduto per la patria, non sono altro che lettere sconosciute ai più.

Vado spesso in quel dolce paese di montagna, ai piedi delle Dolomiti, sia per il clima mite che per il paesaggio di una bellezza indescrivibile ed un giro per le strade a curiosare la merce esposta nelle vetrine ormai è divenuto un obbligo. Il borgo, cent'anni fa invero di modeste dimensioni, si è notevolmente ampliato in forza del crescente afflusso turistico, ma le caratteristiche dei suoi abitanti sono rimaste immutate ed ancor oggi la domenica non è difficile vedere qualche coppia avviarsi alla messa nel tradizionale costume tirolese.

La chiesa, con retrostante cimitero, è nella piazza del paese e le riservo sempre una visita, per la sua innata austerità; non manco di soffermarmi davanti alla lapide e leggi oggi e leggi domani quei trenta nomi ivi impressi hanno finito per rimanermi nella mente, in particolare uno: Alfred Meister.

Perché questa preferenza? Perché è morto l'ultimo giorno della prima guerra mondiale all'età di ventidue anni.

Ho chiesto in giro se aveva ancora dei parenti, anche alla lontana, ma tutti hanno scosso il capo; poi un giorno, mentre sedevo su una panchina della piazza, ho visto il parroco uscire dalla chiesa e mi è balenata un'idea. L'ho avvicinato e accennando alla lapide gli ho chiesto se qualcuno sapeva di questo Meister. E' rimasto un attimo assorto, poi mi ha pregato di seguirlo in canonica, dove ha frugato fra libroni vecchi e polverosi, trovandone alla fine uno. L'ha consultato a lungo, poi con un sorriso di compiacimento mi ha detto che ero fortunato, e nello stesso tempo sfortunato, perché Meister era un trovatello e che quindi già all'epoca non aveva parenti.

Proprio per questo i suoi effetti personali erano stati inviati alla parrocchia e probabilmente si dovevano trovare lì. Avrebbe provveduto a cercarli e poi si sarebbe fatto vivo con me.

Uscii in verità un po' disilluso, sia perché temevo che il parroco sarebbe riuscito a trovarli, sia perché non mi aspettavo nulla di interessante nella visione di quelle poche cose.

Ed invece mi sbagliavo, perché già il giorno successivo il sacerdote si mise in contatto con me e potei così aprire una piccola cassetta polverosa, dove fra poveri indumenti trovai un libricino che, esaminato, si sarebbe rivelato per un diario di incredibile interesse.

Molte pagine riportavano eventi comuni, o comunque di scarsa importanza, ma alcune furono un'autentica rivelazione che mi permisero di conoscere Alfred Meister, benché non l'avessi mai visto e ne ignorassi le sembianze.

Fu un lavoro difficile, e per la calligrafia minuta, e per la diversità della lingua, ma alla fine ogni sforzo fu ampiamente ricompensato.

In particolare, alla pagina 10 Meister scriveva “ Non so se gli italiani sono così cattivi come li descrive il tenente, ma di una cosa sono sicuro: questa guerra fa paura a loro come a noi. Prima di ogni attacco non pochi disertano e ci chiedono di essere fatti prigionieri; non ignorano che non possiamo dar loro da mangiare, perché non ne abbiamo neppure per noi, eppure preferiscono la morte per fame all'orrore della guerra; li chiamano disertori, ma hanno più coraggio di chi resta al suo posto, anche se forse è il solo coraggio che viene dalla disperazione.

Alla pagina 35 “Oggi è morto Fritz, il mio più caro amico; era accanto a me nella trincea e stavamo parlando, quando si è sentito un colpo di fucile; è scivolato a terra senza un grido, un lamento, mentre un rivolo di sangue gli usciva dalla fronte; è da tre anni che faccio questa guerra e di amici ne sono rimasti pochi; Fritz era l'ultimo. A che serve un sentimento come l'amicizia, a sopportare meglio i patimenti della guerra o a disperarsi quando uno di noi se ne va?”

Pagina 47 “Domani dovremo attaccare il nemico; non l'ha detto nessuno, ma hanno fatto una distribuzione straordinaria di grappa; sempre così quando ci si deve preparare a morire; l'alcool ottenebra i sensi, toglie ogni volontà.

Pagina 48 “Abbiamo attaccato, siamo stati respinti, siamo ritornati all'assalto e ci hanno ricacciato indietro. Abbiamo avuto perdite pesantissime: siamo rimasti in quindici di un'intera compagnia. Anche gli italiani hanno avuto molti morti; questa è una guerra che viene vinta solo da chi ha più soldati da gettare allo sbaraglio e chi trionferà rischia di far più facilmente la conta dei sopravvissuti che non quella dei morti.”

Pagina 61 “ La vita in trincea è un inferno tale che non mi importa più di vivere o di morire, anzi quasi invidio chi mi ha già lasciato ed ha quindi posto fine alle sofferenze.

Pagina 65 “ E' settembre e la guerra è già persa; tutti lo sanno, anche se nessuno lo dice; che senso ha continuare.

Pagina 71 “Sono arrivate le nebbie di ottobre e con queste la certezza della sconfitta; migliaia di morti per niente e chi è rimasto vivo e sopravviverà non sarà più lo stesso, perché l'orrore è entrato in noi; siamo ormai nient'altro che dei morti viventi.

Pagina 92 “E' il 3 novembre e si è sparsa la voce che domani vi sarà l'armistizio; non mi importa che questo macello finisca; dalla vita non ho avuto niente, nessun affetto; gli anni in cui speravo di poter conoscere l'amore mi sono stati sottratti da questa guerra; sono diventato vecchio prima del tempo e la vita per me non ha più senso.

Pagina 93, riporta poche righe e si interrompe nel mezzo di una frase “Oggi finirà; è un'umida giornata di novembre, uguale a tante altre. Non so che farò dopo, se ci potrà essere un dopo, ma….

Allegata agli effetti personali ed al diario c'era una lettera del Ministero della Guerra ove si diceva, fra l'altro “Il soldato Alfred Meister è deceduto il 4 novembre 1918 sul fronte meridionale, colpito dal proiettile di un cecchino.”.

Non avrei potuto conoscere meglio Alfred Meister, neppure se fossi sempre stato accanto a lui.

 

 

           

 

 
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