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  Racconti  »  Noir  »  Ossessione 17/02/2006
 

Calano le prime ombre, insieme alla nebbia, un velo grigio di maglie fitte che deforma la realtà.

Già, la realtà, un ben arduo dilemma, in un mondo dove sempre più c'è un abisso fra ciò che appare e quello che effettivamente è. E così quello che sembra un innocuo passante potrebbe invece essere un criminale della peggior specie, un essere dalle sembianze umane, ma dall'animo bestiale, proprio come nel caso del Rag. Tagliaferri.

A suo tempo l'evento fece scalpore, fu riportato su tutti i giornali, ne parlarono perfino i telegiornali, ma ora tutto tace e la gente ha accantonato la memoria e con essa tutte le paure.

Io invece ricordo, tutti i giorni, tutte le notti, perché, indirettamente, sono stato una sua vittima.

Correvano gli anni sessanta e in Italia c'erano i primi sintomi di uno sviluppo economico, che poi sarebbe prepotentemente esploso, tanto da meritarsi l'appellativo di “boom”.

Le strade cominciavano a essere percorse da un numero crescente di automobili, di piccola dimensione rispetto alle attuali, ma sufficienti a portare una famiglia alla conoscenza del mondo all'intorno, a beneficiare di una insperata libertà di movimento.

Anche i primi televisori cominciavano a entrare prepotentemente nelle case, a stupire attonite famiglie, mutando radicalmente il modo di vivere; insomma, il progresso economico portava anche a un'evoluzione degli usi, dei costumi, a un' apparente riscrittura del futuro delle genti.

Il Rag. Tagliaferri, stimato contabile di una banca locale, sposato con due figli, era il classico esponente di una nuova borghesia che andava prendendo piede, una persona non in vista, ma anche non sconosciuta, fedele devoto che non mancava una messa domenicale insieme a tutta la famiglia, prodigo di consigli disinteressati in pubblico quanto avaro di sentimenti in privato, un uomo, si potrebbe definirlo, per tutte le stagioni, ma in effetti per nessuna. Dietro quell'aspetto distinto e bonario si celava una perpetua insoddisfazione, un tarlo che continuava a rodere, uno spettro satanico.

La prima vittima fu trovata alla vigilia di Natale del 1961, una povera prostituta selvaggiamente picchiata, poi strangolata con la sua stessa sciarpa; la notizia, in sé, non fece un gran scalpore, perché nella mentalità corrente l'assassinata veniva vista come un gradino sotto all'ultimo nella rigida scala sociale che ci si era imposti. Del resto, non bisogna dimenticare che all'epoca il nostro codice penale prevedeva ancora il reato di adulterio e il delitto d'onore, un retaggio maschilista duro a morire anche ai nostri giorni.

I giornali si limitarono a un breve trafiletto e solo uno, di stampo chiaramente cattolico, mise un titolo che ancor oggi fa rabbrividire “Vittima dei suoi peccati”.

I festeggiamenti di fine anno fecero dimenticare a tutti l'avvenimento, ma il giorno dell'Epifania fu scoperto un altro cadavere lungo uno dei viali del parco cittadino. Furono subito evidenti le analogie con il primo omicidio per le stesse modalità di esecuzione, ma vi era una differenza per nulla trascurabile: la vittima era una signora della buona società, moglie di un primario del locale ospedale.

In questo caso le notizie assursero al rango di eco roboante, con edizioni straordinarie dei principali quotidiani, ampio risalto durante i telegiornali e perfino un accorato appello del vescovo della città che pregava l'omicida di costituirsi per il suo bene, ma, anche sottinteso, soprattutto per il bene di tutti. Sorsero comitati di cittadini desiderosi di proteggere la vita familiare di tutti e fra questi si distinse quello del Rag. Tagliaferri, le cui lettere ai direttori dei giornali dovettero sembrare meritevoli di pubblicazione, trattando indifferentemente e insieme problemi psicologici e religiosi dell'omicida.

In tutto questo baccano la polizia lavorava sodo, ma francamente brancolava nel buio, in assenza di moventi, impronte, o comunque anche di esili tracce; tanto per dimostrare che si stava facendo qualche cosa, furono fermati alcuni individui con analoghi precedenti penali, ovviamente senza esiti: rimasero in Questura giusto il tempo per accertare gli alibi.

Poi, quando il clamore del fatto cominciava a smorzarsi, fu rinvenuta la terza vittima, in un vicolo della città; anche in tal caso le modalità apparvero da subito le stesse e pure l'assassinata era una persona in linea con la scala sociale, una donna gentile, quieta, tutta dedita alla famiglia e che l'autopsia accertò in stato di gravidanza appena iniziata. In un solo colpo, quando un imbarazzato poliziotto mi comunicò la notizia, mi ritrovai vedovo e senza un figlio.

Dire che rimasi sconvolto è un eufemismo: il dolore che dimostrai al momento non è nulla rispetto alla disperazione che tutti i miei conoscenti notarono in me, mentre giornalisti indifferenti al mio stato mi braccarono per avere ulteriori notizie, scavando nella mia vita,  rivoltandola come un guanto, così che quando ero per strada, e la gente mi guardava, avevo l'impressione di essere nudo.

In quel periodo ebbi poca voglia di informazioni e ricordo solo un titolo: “Il mostro colpisce ancora”. Ormai la psicosi aveva paralizzato la vita cittadina e innumerevoli erano le denunce di donne che avevano solo vaghi sospetti su uomini, il cui unico torto, magari, era stato quello di incontrarle sul marciapiedi una sera. Furono rafforzati i servizi di vigilanza, istituite ronde notturne, potenziata l'illuminazione. E in mezzo a tutto questo caos ci fu anche qualche poliziotto che si prese la briga di interrogarmi, di chiedermi l'alibi, come se io avessi avuto la possibilità di uccidere mia moglie mentre me ne stavo in una riunione d'ufficio con dieci colleghi.

Le notizie si accavallarono, la confusione aumentò, le chiacchiere si susseguirono in una sorta di girone infernale, dove tutti giravano in tondo, senza sapere dove.

Infine, il sistema collassò e fu quando venne trovata la quarta vittima, la moglie del Rag. Tagliaferri.

La trasmissione delle notizie divenne allora caotica, gli appelli dei religiosi si moltiplicarono, sovrapponendosi, un sottile stato d'ansia prese tutti i cittadini, la gente cominciò a guardarsi con sospetto, il vicino divenne un possibile nemico e anche l'amico più fidato sembrò celare una personalità contorta fino ad allora sconosciuta.

I passanti diventarono esseri potenzialmente pericolosi e in breve tutti finirono con il diradare le uscite.

Si creò una situazione di stallo, mentre tutti aspettavano con ansia che gli investigatori annunciassero la lieta novella; passarono così i giorni, tetri, senza albe e tramonti, in una città che sembrava in stato di assedio.

E un sabato pomeriggio proprio un poliziotto, in servizio di sorveglianza, scoprì la quinta vittima, subito dopo aver incontrato per la strada un uomo che non gli era sconosciuto. In breve,  lo prelevarono da casa, lo portarono in Questura e dopo una notte di interrogatori lo arrestarono.

Mi vengono i brividi se penso a quando lessi l'edizione straordinaria del quotidiano locale “Catturato il mostro: è il Rag. Tagliaferri”.

Non feci in tempo a riprendermi che già bussavano alla mia porta; immaginai il titolo, ancor più straordinario “I mostri sono due”; sì, perché avevamo congegnato bene il tutto, un piano perfetto, incredibilmente bello, per degli omicidi apparentemente senza movente: il Rag. Tagliaferri, che avevo conosciuto del tutto casualmente, avrebbe ucciso mia moglie e io la sua, con alibi per entrambi a prova di bomba; nella sua ossessione di perfezionismo avevo avallato anche i primi due omicidi, sempre eseguiti da lui, con il preciso scopo di dare ai nostri una connessione logica con questi. Ma quel cretino, senza dirmi nulla, aveva voluto strafare, pensando che una quinta vittima ci avrebbe messi al riparo da anche il più remoto dei rischi.   

 

 

 

 

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