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  Racconti  »  Storie di paese Seconda Serie  »  Il suono del telefono 07/04/2007
 

Il suono del telefono

 

            

Piena notte, non s'ode volare una mosca e io dormo beato, quando…quando uno scampanellio acuto mi percuote i timpani, s'irradia a raggiera nel cervello, mi fa spalancare gli occhi.

Quel suono stridente mi è familiare, un trillo discontinuo e allora comprendo che è il telefono.

Chi sarà mai, di notte? Tutti i peggiori pensieri si accavallano, un incidente, un parente che sta male o anche peggio.

Trepidante allungo la mano, cerco sul comodino e finalmente trovo la cornetta, la sollevo, accosto il microfono con mano tremante alla bocca e chiedo:

- Pronto, chi parla?

Nessuna risposta.

Reitero la domanda, con voce più ferma: nulla.

E il telefono continua a squillare, imperterrito.

Non capisco o non voglio capire, tiro un paio di moccoli pensando a uno scherzo di pessimo gusto,

ma poi, sempre con quella cornetta in mano e il trillo imperterrito, focalizzo che c'è qualche cosa che non va.

Faccio per accendere la luce, ma mi accorgo sgomento che la stanza è illuminata; eppure, sono sicuro, lo giuro, non avevo nemmeno toccato l'interruttore.

- Che succede?

Non è una domanda, è quasi un urlo sgraziato.

Mi volto e vedo l'aria interrogativa di mia moglie.

- Non lo so. Il telefono ha preso a squillare e continua, inoltre la luce si è accesa da sola.

- Ma cosa dici! Com'è possibile?

- Senti anche tu: ho la cornetta in mano e non smette di suonare. Anzi, adesso sento anche altri rumori, calpestio di passi per le scale, voci concitate in strada.

- Sarà successa una disgrazia.

- Vado a vedere.

Mi vesto alla meglio e m'avvio alla porta di casa, senza non aver potuto fare a meno di constatare che i due computer non sono spenti, che i televisori gracchiano a tutto volume, che la lavatrice è in funzione come il forno elettrico  della cucina a gas, che il campanello squilla. Quel che è peggio, però, è che anche il cellulare, che tengo sempre spento, trilla come un ossesso.

Raggiungo barcollando la porta e la apro: lungo le scale c'è tutto il condominio.

La vecchietta che sta di fronte a me si agita:

- Suona tutto, si è acceso tutto. E' opera del demonio!

Passo avanti e incontro Luigi, quello che abita nell'appartamento sopra il mio.

- Senti, senti che roba: è un concerto! Stavo facendo…, insomma ci siamo capiti. Sono lì sul più bello e squilla il telefono; mi sono bloccato, un vero e proprio choc. Pensi che ne porterò le conseguenze, che non mi funzionerà più come una volta?

Lo guardo allibito e non rispondo, scendo lungo le scale in un frastuono infernale, perché non è solo il mio condominio, ma tutta la via che è animata con gente che interroga, che strepita, che cerca di capire quello che sfugge a ogni umana comprensione.

Un gruppetto è intorno a Mario, un dipendente dell'Enel.

- Scusa, Mario, ma tu che sei nel campo, sta facendo un esperimento il tuo padrone?

- Non è che dopo il black-out dello scorso anno vogliate provare qualche nuova diavoleria?

Mario si stringe nelle spalle – Ma cosa volete che sappia, io. Lavoro in ufficio, nel reparto commerciale.

- Eh no, qualcosa devi sapere, perché sei stato uno degli ultimi a scendere. Parla, perdiana, parla, altrimenti ti faccio vedere anche le stelle!

E' un energumeno che dice queste parole e per sottolinearle agita i pugni.

Mario non sa che dire, ma poi gli viene un'idea, un lampo di luce – L'Enel non c'entra, suonano anche i telefonini.

- E' vero! – gridano in coro, felici di aver depennato un possibile colpevole.

Si fa fatica a sentire quel che dicono a causa del rumore assordante, anche perché ora si sono messe in moto le automobili, da sole ovviamente.

La signora Beatrice, tutta casa e chiesa, anzi più chiesa che casa, perché acida com'è non ha trovato uno straccio di marito, si mette in ginocchio e comincia a pregare sgranando il rosario.

Non si capisce che preghiere reciti, perché biascica le parole e con tutto il frastuono intorno nemmeno Caruso riuscirebbe a farci udire il suo do di petto.

Ho dimenticato l'orologio e allora chiedo l'orario.

- E' la mezza passata, anzi sono le dodici e ventuno minuti.

Faccio un rapido calcolo, ovviamente non corretto: è circa dieci minuti che ho lasciato l'appartamento, cinque minuti  per vestirmi e altri cinque per rendermi conto da quando mi sono svegliato; quindi, il fenomeno sarebbe iniziato a mezzanotte.

Chiedo conferma ad altri e anche loro, dopo un conteggio simile al mio, arrivano alle stesse conclusioni.

La signora Beatrice, che prega, ma ha orecchie buone e allenate, lancia un urlo: - E' il giorno dell'apocalisse! Nostradamus l'aveva previsto.

Poi le prendono delle convulsioni, strabuzza gli occhi e si lascia cadere sul selciato.

Luigi, sì quello del coitus interruptus, si china per soccorrerla, ma lei gli si avvinghia come una piovra.

- Se devo morire, come tutti, è giusto che una volta in vita mia lo faccia. Vieni qui, bel Luigi!

Ma lui con fatica si divincola, si rizza in piedi e in preda a una tensione incredibile grida “un basta” con una tonalità tale che sovrasta il frastuono e scommetto che l'odono perfino a diversi chilometri di distanza.

Il suo volto è livido, schifato per quella richiesta di amplesso, incavolato per una notte che doveva essere di piacere e che invece…

Incredibile, ma vero: l'urlo ha avuto un effetto dirompente e ogni rumore è cessato, le auto si sono spente, come i telefoni, i cellulari, tutti gli apparati elettrici insomma.

Restano accese solo le lampade dei lampioni e illuminano visi stanchi, tirati, ma soprattutto sbigottiti.

Non ci diciamo nulla, ma piano piano lasciamo la strada, rientriamo nelle abitazioni.

Quando arrivo in camera da letto non dico niente a  mia moglie e del resto che potrei dirle di logico.

Lei, invece, ha un'idea: - E' stato un esperimento degli americani.

Non rispondo, scivolo sotto le coperte, giro l'interruttore e la luce si spegne. Riuscirò a dormire?

 

Un altro suono, la mano che corre al telefono, solleva la cornetta, ma il trillo continua; sempre a tentoni la mano si sposta, trova la sveglia, schiaccia il pulsante e tutto torna silenzio.

Mi alzo, mi lavo, mi vesto, perché c'è da portar fuori la cagnetta per i suoi bisognini mattutini. Come esco dalla porta trovo la vecchietta che, come d'uso, quando sente un rumore s'affaccia.

Le dico: - Che notte!

E lei per tutta risposta:-  Che vuole mai, quando si è vecchi si dorme poco e infatti mi sono svegliata alle tre.

- Alle tre, non prima?

- Sono vecchia, ma non sono rimbambita. Se dico che erano le tre è perché erano le tre.

Scendo le scale e sento che qualcuno cerca di raggiungermi: è Luigi che va al lavoro.

- Ti ho disturbato, per caso, ieri sera?

- Tu Luigi mi avresti disturbato?

- Sì, insomma, il cigolio del letto, magari qualche gemito. Invecchio, ma lì sono sempre in forma.

- Non hai da dirmi niente altro?

- Non vorrai che ti racconti tutto, porcellone.

E si allontana canticchiando.

C'è qualche cosa che non quadra e spero di trovare Mario, compagno di quest'orario perché pure lui ha il cane.

Eccolo, lo raggiungo e facendo finta di niente provo a dirgli: - Dormito bene?

Quello mi guarda insonnolito, poi borbotta: - 8 ore di fila.

Resto esterrefatto e se non impazzisco ci manca poco.

Incontriamo la signora Beatrice, di ritorno dalla Messa. Sempre vestita di nero, con quel viso certo non bello, ma mai sorridente, sembra una cornacchia.

La salutiamo e lei nemmeno risponde, abbassa gli occhi e accelera il passo.

Mario, che non l'ha in simpatia, si lascia scappare la frase del giorno: - Dicono che è ammalata, ma io so qual è la cura per guarirla. Solo che non si trova un medico adatto nemmeno a pagarlo a peso d'oro.

Adesso ho fretta di rientrare, ho la mente confusa. Come i cani hanno finito, ritorno sui miei passi, accelerando e quando rientro in casa trovo mia moglie già sveglia.

- Caro, ho dormito meravigliosamente.

Abbozzo un sorriso e lei se ne accorge.

- Tu invece hai passato una brutta notte. Parlavi, non si capiva che dicevi, ma parlavi. Hai anche gridato. Non devi aver digerito bene: troppa peperonata alla sera. Alla nostra età dobbiamo stare attenti.

Tiro un sospiro di sollievo: era stato solo un incubo, un tremendo incubo.

All'improvviso squilla il telefono, sollevo lesto la cornetta, chiedo chi parla e nessuno risponde.

Resto sbigottito, mentre il trillo continua.

- Renzo, ti decidi, o no,  ad andare a rispondere al telefono in cucina?

Grande moglie, la mia!

Quando si dice che basta una parola e così io ho ritrovato la serenità.   

 

        

(da “Storie di paese “ – Seconda serie)

 

 

 
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