Uomini disperati
Era una nebbiosa giornata di novembre
dell'anno 1975, non infrequente nella bassa padana, data la stagione, ma da
alcuni giorni era come se un velo tendente al bianco lattiginoso avesse incappucciato intere campagne.
Con la sera, poi, la situazione, già
critica, peggiorava ulteriormente e non era facile orientarsi perfino in paese.
Chi era pratico del luogo riusciva a muoversi, peraltro senza non poche
difficoltà, ma per i forestieri era come aggirarsi in un labirinto senza
comprensibili riferimenti.
Nonostante ciò, ci fu chi non solo riuscì ad arrivare
al paese, ma anche alla meta che si era prefissata.
Era ormai sera inoltrata e il Guercio
lavorava nella sua officina, intento a modellare un ferro arroventato, dandogli
una forma a spirale, una sorta di serpe sottile che avrebbe fatto parte del
cancello della villa del medico condotto.
Qualcuno bussò alla porta, senza
ottenere risposta, perché il rumore del martello copriva i piccoli colpi dati
con le nocche delle dita.
Così, quando il Guercio
istintivamente si voltò, vide sull'uscio uno sconosciuto, quasi un fantasma
emerso dalla nebbia.
Non si spaventò, ma rimase sorpreso e
quello se ne accorse, tanto che accennò delle scuse.
- Non c'è bisogno di scusarsi…sa, non
ho sentito, con il rumore del martello. Desidera?
- Non mi riconosci più?
Il Guercio lasciò cadere il martello
e si avvicinò allo sconosciuto, cercando di collegare la sua immagine alla
memoria.
Quell'altezza
non usuale, sul metro e novanta centimetri e una caratteristica del volto,
quegli occhi grandi e vivaci, incorniciati da sopracciglia foltissime, gli
ricordavano qualcuno, ma chi?
- Sei cambiato, Guercio, e non hai
più memoria. Eppure dovresti ricordarti di quel padre che uccise
la figlia che aveva tradito e poi si diede la morte.
Il Guercio alzò le braccia, quasi
annaspando, tornò a fissare quegli occhi così grandi e vispi, poi si diede un
colpo con la mano sulla fronte:
- Ma certo, ma certo! Il Gufo,
Giuseppe Baldisser, detto il Gufo.
- In persona.
- Quanto tempo è passato! Dunque,
diciamo più o meno venti anni.
- Sì, dalla fine della guerra, ma uno
in più se consideriamo l'esperienza partigiana.
- Sono felice di rivederti. Ti fermi a cena, vero? Poi ti porto al bar e ti presento agli amici.
Voglio che vedano un partigiano di quelli che ha combattuto veramente, che ha
rischiato, che si è coperto di gloria.
- No, è meglio di no.
- Non fare il timido, il modesto. Tu
sei stato il migliore della brigata, quello che ha ideato e realizzato le
azioni più rischiose.
- No, non posso. Ti chiedo, però, di
ospitarmi per una notte.
- E' naturale che puoi stare a
dormire, anche per più notti.
- No, se mi fermo troppo è un rischio
per me e anche per te.
Il Guercio si fece pensoso, indeciso
se fare o meno quella domanda, ma poi convenne che era
giusto sapere i motivi di un comportamento così strano.
- Sei nei guai, vero?
- Sì, e grossi. La polizia mi sta
cercando.
- Ma che hai combinato? Non sarai un
delinquente, per caso? No, impossibile che tu sia cambiato.
- Guercio, sono uno delle Brigate
Rosse.
Una tegola in testa avrebbe fatto
meno effetto e il Guercio si prese infatti il capo fra
le mani, ciondolando, come se fosse alla ricerca di un punto di equilibrio.
- Dimmi che scherzi!
- No, è la verità.
- Porca miseria vacca puttana…
- Stai calmo, Guercio. Me ne vado;
non voglio che tu abbia dei guai.
- Tu non vai da nessuna parte, ma
voglio sapere, capire il perché!
- E' una storia lunga, ma cercherò di
essere breve. Ricordi che, durante la resistenza, sognavamo una nuova società,
più giusta, senza padroni, senza servi?
- Certo che lo ricordo.
- Finita la guerra, quello per cui abbiamo combattuto è sparito dalle menti dei nostri
capi, di tutti quei politici che hanno rinnegato gli ideali per comodità di
poltrona.
Io lavoravo come operaio alla Pirelli, con uno stipendio da fame, e, se solo ti
permettevi di accennare una protesta, ti sbattevano fuori, oppure c'erano le
legnate dei picchiatori.
- Sì, come abbiamo cessato le
ostilità, più d'uno ha cambiato le carte in tavola, arrivando anche a
proteggere dei fascisti, i peggiori della specie, e magari dando in pasto ai
cani quei mussoliniani in buona fede che non avevano
mai fatto male a una mosca.
- Vedo che cominci a comprendere, ma
non è tutto.
- Guarda che è da un bel po' che dico
queste cose e ho cercato nella mia modesta carriera politica di cambiare questo
corso.
- Sei stato in politica?
- Sì, segretario locale del Partito
Comunista e anche sindaco, ma mi sono dimesso durante il mandato, per non
avallare certe decisioni a solo svantaggio dei cittadini.
- Bene, penso che potremo parlare e
forse intenderci.
- Non credo, Gufo, perché rifiuto la
violenza.
- Sì, la rifiuti, ma se non ci sono
altre vie, se non c'è altra possibilità, se questa non è una democrazia perché
non rappresenta le esigenze dei cittadini, che fai? Ti metti a dire ai
capoccioni che devono cambiare?
- L'ho fatto più volte, ma è stato
inutile.
- Ecco, vedi che abbiamo ragione.
- Forse nelle motivazioni avete
ragione, ma non nei metodi.
Il Gufo diede un pugno contro la
porta, come per sfogare un'ira repressa.
- Non vuoi capire, vedo.
- Dì pure che non posso capire.
- Tutti gli ideali della resistenza,
tutte le idee di un mondo nuovo, dove sono andate a finire, dunque?
- Caro Giuseppe, ho chiuso i miei sogni
in un cassetto, ma non li ho gettati. Voi invece vivete di illusioni e quando
cominciate a verificare l'amara realtà, quando vedete che non ci sono
concretezze, cercate come unico rimedio la violenza. Non ho più voglia di
uccidere, non ho più voglia di versare altro sangue. Pensi forse che gioissi quando a suo tempo ho ucciso dei nazisti e dei
fascisti? No, anzi, avevo una sofferenza dentro lacerante, ma quella era
l'unica azione che potevo compiere, per sopravvivere, per liberare il mio
paese, per sperare che i sogni diventassero realtà.
- Appunto, visto che non si sono
realizzati, tu tiri i remi in barca.
- No, attendo, aspetto che si
verifichi qualche cosa di nuovo, che un'altra generazione magari porti una ventata di novità. Se a uccidere non ho realizzato
nulla, continuando a farlo non potrò certo ottenere dei risultati.
I due uomini restarono in silenzio,
entrambi pensosi e la luce tremolante del fuoco che ardeva nel forno illuminava
con lampi guizzanti i volti di due vecchi da tempo delusi.
- Guercio, non posso dirti che hai
ragione a comportarti così, ma non hai nemmeno torto.
- L'evoluzione umana è lenta e non si
misura in anni, ma in secoli e quella scimmia che un giorno cominciò ad alzarsi
sui piedi non è detto che non possa perdere quella bestialità che le è rimasta
dentro. Quando accadrà, non sono in grado di saperlo, ma io spero che possa
avvenire.
- Io ho già fatto la mia scelta,
giusta o sbagliata che sia, e non posso tornare indietro, come non puoi farlo
tu. Forse, se fossi stato con te anche dopo la fine della guerra, non sarei ora
costretto a nascondermi per non essere catturato.
- Puoi sempre consegnarti e se non
hai ucciso... Non è che per caso tu…?
- No, non ho ammazzato nessuno.
- Ecco, dicevo che se non hai ucciso,
puoi sempre contare su una pena ridotta e io farò il possibile per aiutarti
anche quando uscirai.
- Quando uscirò? Ho 60 anni e ben che
vada sarò un vecchio senza più niente.
- Ripeto, ci sarò io, finiremo
insieme la nostra esistenza, da amici liberi.
- E' troppo tardi e poi non voglio
tradire i compagni e, soprattutto, me stesso.
Ci fu un lungo silenzio, in cui
probabilmente entrambi cercarono di esaminare la situazione dal proprio punto
di vista, poi il Gufo abbracciò il Guercio.
- Ti prego, consegnati.
- No, non posso.
- Dove andrai, braccato come sei?
- E' tanto tempo che manco da casa
mia, da Contarina.
- I tuoi ci sono ancora?
- No, sono morti ed è meglio, così
non patiscono per me; inoltre, non ho né fratelli, né sorelle e nemmeno parenti
stretti. C'è solo quella vecchia cascina dove sono nato e chissà in quali
condizioni è ridotta, ma è casa mia, quella della mia gioventù, di un'epoca in
cui tutto sembrava a portata di mano.
- Non andare. Mi sembra ovvio che
sarà sorvegliata.
- Quasi sicuramente lo sarà, ma là devo
tornare e mi difenderò, puoi stare tranquillo.
- Non far del male a degli altri che
non ne hanno colpa, a dei proletari come noi, a dei poliziotti che fanno quel
lavoro per mandare avanti la famiglia.
- Vedrò.
- Ti preparo la branda nello
sgabuzzino dell'officina e vedo di portarti qualche cosa da mangiare.
- No, ho cambiato idea: vado via
subito, ma ho bisogno di un mezzo per muovermi.
- Non ne ho, o meglio ho la
bicicletta.
- Quella va bene.
- Parti domani mattina, riposato e
chissà che la notte ti porti consiglio.
- No, Guercio, sono un pericolo per
te e parto subito.
La bicicletta era nello sgabuzzino, una vecchia Bianchi da donna, ma funzionante.
Fu lo stesso Annibale a portarla in
strada; in un buio pesto si abbracciarono, poi il Gufo salì in sella e
scomparve subito nella nebbia.
Quella sera il Guercio mangiò
pochissimo e restò taciturno fino al momento di andare a letto. La moglie pensò
a una giornata storta e lui fece di tutto per farglielo credere.
I giorni passarono, sempre caratterizzati
dalla nebbia fitta, e il Guercio in cuor suo si augurava che il Gufo fosse
riuscito a dileguarsi, magari che fosse già arrivato a Contarina.
Non perdeva un telegiornale; si parlava sempre di Brigate Rosse, di arresti, di
retate, ma del Gufo niente.
Fu una sera della settimana
successiva e il Guercio aveva cominciato quasi a disinteressarsi delle notizie,
quando, mentre cenava, gli restò il boccone in bocca.
La notizia era laconica: il ricercato
Giuseppe Baldisser, localizzato in una cascina di Contarina, aveva preso in ostaggio due carabinieri.
Circondato dalle forze dell'ordine, li aveva lasciati stranamente liberi.
All'intimazione di arrendersi, si era udito un colpo di pistola. Gli agenti,
fatta irruzione nella casa, avevano trovato il brigatista ormai morto,
suicidatosi con la sua stessa arma.
Il Guercio finse che gli fosse andato
di traverso il boccone e corse in bagno. Pianse, ma capì che aveva ritrovato un
amico.
(Da “Storie di paese” - Seconda serie)