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  Racconti  »  Storie di paese Seconda Serie  »  Uomini disperati 04/05/2007
 

Uomini disperati

 

 

Era una nebbiosa giornata di novembre dell'anno 1975, non infrequente nella bassa padana, data la stagione, ma da alcuni giorni era come se un velo tendente al bianco lattiginoso avesse incappucciato intere campagne.

Con la sera, poi, la situazione, già critica, peggiorava ulteriormente e non era facile orientarsi perfino in paese. Chi era pratico del luogo riusciva a muoversi, peraltro senza non poche difficoltà, ma per i forestieri era come aggirarsi in un labirinto senza comprensibili riferimenti.

Nonostante ciò,  ci fu chi non solo riuscì ad arrivare al paese, ma anche alla meta che si era prefissata.

Era ormai sera inoltrata e il Guercio lavorava nella sua officina, intento a modellare un ferro arroventato, dandogli una forma a spirale, una sorta di serpe sottile che avrebbe fatto parte del cancello della villa del medico condotto.

Qualcuno bussò alla porta, senza ottenere risposta, perché il rumore del martello copriva i piccoli colpi dati con le nocche delle dita.

Così, quando il Guercio istintivamente si voltò, vide sull'uscio uno sconosciuto, quasi un fantasma emerso dalla nebbia.

Non si spaventò, ma rimase sorpreso e quello se ne accorse, tanto che accennò delle scuse.

- Non c'è bisogno di scusarsi…sa, non ho sentito, con il rumore del martello. Desidera?

- Non mi riconosci più?

Il Guercio lasciò cadere il martello e si avvicinò allo sconosciuto, cercando di collegare la sua immagine alla memoria.

Quell'altezza non usuale, sul metro e novanta centimetri e una caratteristica del volto, quegli occhi grandi e vivaci, incorniciati da sopracciglia foltissime, gli ricordavano qualcuno, ma chi?

- Sei cambiato, Guercio, e non hai più memoria. Eppure dovresti ricordarti di quel padre che uccise la figlia che aveva tradito e poi si diede la morte.

Il Guercio alzò le braccia, quasi annaspando, tornò a fissare quegli occhi così grandi e vispi, poi si diede un colpo con la mano sulla fronte:

- Ma certo, ma certo! Il Gufo, Giuseppe Baldisser, detto il Gufo.

- In persona.

- Quanto tempo è passato! Dunque, diciamo più o meno venti anni.

- Sì, dalla fine della guerra, ma uno in più se consideriamo l'esperienza partigiana.

- Sono felice di rivederti. Ti fermi a cena, vero? Poi ti porto al bar e ti presento agli amici. Voglio che vedano un partigiano di quelli che ha combattuto veramente, che ha rischiato, che si è coperto di gloria.

- No, è meglio di no.

- Non fare il timido, il modesto. Tu sei stato il migliore della brigata, quello che ha ideato e realizzato le azioni più rischiose.

- No, non posso. Ti chiedo, però, di ospitarmi per una notte.

- E' naturale che puoi stare a dormire, anche per più notti.

- No, se mi fermo troppo è un rischio per me e anche per te.

Il Guercio si fece pensoso, indeciso se fare o meno quella domanda, ma poi convenne che era giusto sapere i motivi di un comportamento così strano. 

- Sei nei guai, vero?

- Sì, e grossi. La polizia mi sta cercando.

- Ma che hai combinato? Non sarai un delinquente, per caso? No, impossibile che tu sia cambiato.

- Guercio, sono uno delle Brigate Rosse.

Una tegola in testa avrebbe fatto meno effetto e il Guercio si prese infatti il capo fra le mani, ciondolando, come se fosse alla ricerca di un punto di equilibrio.

- Dimmi che scherzi!

- No, è la verità.

- Porca miseria vacca puttana…

- Stai calmo, Guercio. Me ne vado; non voglio che tu abbia dei guai.

- Tu non vai da nessuna parte, ma voglio sapere, capire il perché!

- E' una storia lunga, ma cercherò di essere breve. Ricordi che, durante la resistenza, sognavamo una nuova società, più giusta, senza padroni, senza servi?

- Certo che lo ricordo.

- Finita la guerra, quello per cui abbiamo combattuto è sparito dalle menti dei nostri capi, di tutti quei politici che hanno rinnegato gli ideali per comodità di poltrona.

Io lavoravo come operaio alla Pirelli, con uno stipendio da fame, e, se solo ti permettevi di accennare una protesta, ti sbattevano fuori, oppure c'erano le legnate dei picchiatori.

- Sì, come abbiamo cessato le ostilità, più d'uno ha cambiato le carte in tavola, arrivando anche a proteggere dei fascisti, i peggiori della specie, e magari dando in pasto ai cani quei mussoliniani in buona fede che non avevano mai fatto male a una mosca.

- Vedo che cominci a comprendere, ma non è tutto.

- Guarda che è da un bel po' che dico queste cose e ho cercato nella mia modesta carriera politica di cambiare questo corso.

- Sei stato in politica?

- Sì, segretario locale del Partito Comunista e anche sindaco, ma mi sono dimesso durante il mandato, per non avallare certe decisioni a solo svantaggio dei cittadini.

- Bene, penso che potremo parlare e forse intenderci.

- Non credo, Gufo, perché rifiuto la violenza.

- Sì, la rifiuti, ma se non ci sono altre vie, se non c'è altra possibilità, se questa non è una democrazia perché non rappresenta le esigenze dei cittadini, che fai? Ti metti a dire ai capoccioni che devono cambiare?

- L'ho fatto più volte, ma è stato inutile.

- Ecco, vedi che abbiamo ragione.

- Forse nelle motivazioni avete ragione, ma non nei metodi.

Il Gufo diede un pugno contro la porta, come per sfogare un'ira repressa.

- Non vuoi capire, vedo.

- Dì pure che non posso capire.

- Tutti gli ideali della resistenza, tutte le idee di un mondo nuovo, dove sono andate a finire, dunque?

- Caro Giuseppe, ho chiuso i miei sogni in un cassetto, ma non li ho gettati. Voi invece vivete di illusioni e quando cominciate a verificare l'amara realtà, quando vedete che non ci sono concretezze, cercate come unico rimedio la violenza. Non ho più voglia di uccidere, non ho più voglia di versare altro sangue. Pensi forse che gioissi quando a suo tempo ho ucciso dei nazisti e dei fascisti? No, anzi, avevo una sofferenza dentro lacerante, ma quella era l'unica azione che potevo compiere, per sopravvivere, per liberare il mio paese, per sperare che i sogni diventassero realtà.

- Appunto, visto che non si sono realizzati, tu tiri i remi in barca.

- No, attendo, aspetto che si verifichi qualche cosa di nuovo, che un'altra generazione magari porti una ventata di novità. Se a uccidere non ho realizzato nulla, continuando a farlo non potrò certo ottenere dei risultati.

I due uomini restarono in silenzio, entrambi pensosi e la luce tremolante del fuoco che ardeva nel forno illuminava con lampi guizzanti i volti di due vecchi da tempo delusi.

- Guercio, non posso dirti che hai ragione a comportarti così, ma non hai nemmeno torto.

- L'evoluzione umana è lenta e non si misura in anni, ma in secoli e quella scimmia che un giorno cominciò ad alzarsi sui piedi non è detto che non possa perdere quella bestialità che le è rimasta dentro. Quando accadrà, non sono in grado di saperlo, ma io spero che possa avvenire.

- Io ho già fatto la mia scelta, giusta o sbagliata che sia, e non posso tornare indietro, come non puoi farlo tu. Forse, se fossi stato con te anche dopo la fine della guerra, non sarei ora costretto a nascondermi per non essere catturato.

- Puoi sempre consegnarti e se non hai ucciso... Non è che per caso tu…?

- No, non ho ammazzato nessuno.

- Ecco, dicevo che se non hai ucciso, puoi sempre contare su una pena ridotta e io farò il possibile per aiutarti anche quando uscirai.

- Quando uscirò? Ho 60 anni e ben che vada sarò un vecchio senza più niente.

- Ripeto, ci sarò io, finiremo insieme la nostra esistenza, da amici liberi.

- E' troppo tardi e poi non voglio tradire i compagni e, soprattutto, me stesso.

Ci fu un lungo silenzio, in cui probabilmente entrambi cercarono di esaminare la situazione dal proprio punto di vista, poi il Gufo abbracciò il Guercio.

- Ti prego, consegnati.

- No, non posso.

- Dove andrai, braccato come sei?

- E' tanto tempo che manco da casa mia, da Contarina.

- I tuoi ci sono ancora?

- No, sono morti ed è meglio, così non patiscono per me; inoltre, non ho né fratelli, né sorelle e nemmeno parenti stretti. C'è solo quella vecchia cascina dove sono nato e chissà in quali condizioni è ridotta, ma è casa mia, quella della mia gioventù, di un'epoca in cui tutto sembrava a portata di mano.

- Non andare. Mi sembra ovvio che sarà sorvegliata.

- Quasi sicuramente lo sarà, ma là devo tornare e mi difenderò, puoi stare tranquillo.

- Non far del male a degli altri che non ne hanno colpa, a dei proletari come noi, a dei poliziotti che fanno quel lavoro per mandare avanti la famiglia.

- Vedrò.

- Ti preparo la branda nello sgabuzzino dell'officina e vedo di portarti qualche cosa da mangiare.

- No, ho cambiato idea: vado via subito, ma ho bisogno di un mezzo per muovermi.

- Non ne ho, o meglio ho la bicicletta.

- Quella va bene.

- Parti domani mattina, riposato e chissà che la notte ti porti consiglio.

- No, Guercio, sono un pericolo per te e parto subito.

La bicicletta era nello sgabuzzino, una vecchia Bianchi da donna, ma funzionante.

Fu lo stesso Annibale a portarla in strada; in un buio pesto si abbracciarono, poi il Gufo salì in sella e scomparve subito nella nebbia.

Quella sera il Guercio mangiò pochissimo e restò taciturno fino al momento di andare a letto. La moglie pensò a una giornata storta e lui fece di tutto per farglielo credere.

I giorni passarono, sempre caratterizzati dalla nebbia fitta, e il Guercio in cuor suo si augurava che il Gufo fosse riuscito a dileguarsi, magari che fosse già arrivato a Contarina. Non perdeva un telegiornale; si parlava sempre di Brigate Rosse, di arresti, di retate, ma del Gufo niente.

Fu una sera della settimana successiva e il Guercio aveva cominciato quasi a disinteressarsi delle notizie, quando, mentre cenava, gli restò il boccone in bocca.

La notizia era laconica: il ricercato Giuseppe Baldisser, localizzato in una cascina di Contarina, aveva preso in ostaggio due carabinieri. Circondato dalle forze dell'ordine, li aveva lasciati stranamente liberi. All'intimazione di arrendersi, si era udito un colpo di pistola. Gli agenti, fatta irruzione nella casa, avevano trovato il brigatista ormai morto, suicidatosi con la sua stessa arma.

Il Guercio finse che gli fosse andato di traverso il boccone e corse in bagno. Pianse, ma capì che aveva ritrovato un amico. 

   

 

 

(Da “Storie di paese” -  Seconda serie)

 

 
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