Il fondo Cascina Vecchia
di Renzo Montagnoli
Era un'estate calda, afosa, con quell'umidità che toglieva quasi il respiro, tipica della
bassa, e il Guercio boccheggiava mentre percorreva a
piedi la strada bianca che portava alla tenuta agricola.
Trasse un sospiro di sollievo solo quando giunse di fronte ai due capitelli di mattoni
sbrecciati che annunciavano ai viandanti di essere arrivati alla Cascina
Vecchia, come era indicato dall'architrave che riportava il nome su un ferro
battuto ormai corroso dalla ruggine e dal tempo. Da lì bisognava imboccare la
stradina ombreggiata da lunghe file di pioppi, per trovarsi poi, nel giro di
una decina di minuti, davanti alla cascina.
Il Guercio, nel ristorarsi nel
passaggio dal sole ardente all'ombra di quel viottolo, si ricordò dei tanti
viaggi che in passato l'avevano portato lì, quando da ragazzo con il pentolino
di ferro smaltato andava a comprare il latte tiepido di mungitura, spesso
l'unica vivanda della cena.
A quei tempi si guardava intorno
meravigliato dall'opulenza di una corte agricola che aveva una stalla con
duecento vacche, un lungo caseggiato con le abitazioni dei bergamini
e dei salariati e una casa padronale che gli era sempre sembrata una reggia.
Quando giunse alla fine della
stradina gli sembrò di essere arrivato in una città morta. Dalla stalla non
provenivano muggiti, di operai agricoli nemmeno l'ombra e anche il pollaio era
desolatamente vuoto.
Bussò al portone in
legno massiccio della casa padronale, ma non ebbe risposta. Allora, poiché era
accostato, entrò e si trovò subito nel salone che un tempo era stato quello
delle feste. Dove si erano tenuti balli al suono di orchestrine, dove si erano
consumati pranzi di nozze, ora c'erano solo polvere e tende strappate alle
finestre.
Provò a dare una voce: - Signor
Antonio?
Nulla.
Riprovò alzando il tono e allora gli
sembrò di udire una voce lontana che proveniva dal piano superiore.
Prese a salire la lunga scalinata di
marmo e per sicurezza ripeté la domanda:
- Signor Antonio, dov'è?
Flebile, quasi un mormorio soffocato,
gli venne la risposta.
- Annibale, sono di sopra, nella mia
camera, la prima porta a sinistra.
Il Guercio, non più giovane e ansando
un po', alla fine giunse in cima, imboccò il corridoio e bussò alla prima porta
a sinistra.
- Avanti, vieni avanti, è aperto.
Piegò la maniglia e con un cigolio
lamentoso la porta si aprì.
Il Guercio rimase disorientato,
perché l'ambiente era pressoché buio e solo da un'imposta socchiusa filtrava un
raggio di luce, tanto che a malapena riuscì a scorgere sul fondo della stanza,
quasi contro una parete, una testa canuta che sporgeva di poco dallo schienale
di una poltrona.
- Scusa se ti volto le spalle, ma mi
vergogno a mostrare l'immagine di un uomo finito.
- Che dice mai, signor Antonio, lei è
una persona dalle nove vite. Tutti in paese sanno che per lei è un brutto
periodo, ma la fortuna va a giorni alterni; adesso è fuggita chissà dove, ma
ritornerà, mi creda, ritornerà.
- In te ho sempre apprezzato la
sincerità e l'onestà: sei un uomo raro. Ricordi quando ti facevo credito sul
latte che compravi? Non ho mai dubitato che tu poi avresti saldato e infatti ho avuto ragione. Non farmi ricredere ora sul tuo
conto, smettila di incoraggiarmi con questa pietosa compassione.
- Va bene e mi scusi. Mi ha fatto chiamare
e sono qui.
Mi dica di che ha bisogno?
- Di nulla e di tutto. Avrei bisogno
di un figlio come te e allora non mi servirebbe più niente. Devo parlare con
qualcuno che capisca e che non rida di me, e tu sei
l'unico.
- Parli pure e l'ascolterò.
- Come i più anziani del paese sanno,
mio padre riuscì con anni di duro lavoro a mettere su questo fondo che chiamò
Cascina Vecchia solo perché quel vecchia gli dava un significato di continuità,
come di una cosa che c'era sempre stata e sarebbe sempre rimasta.
Io ero il suo unico figlio e mi
proposi fin da bambino di dedicare tutta la mia vita alla terra, ingrandendo la
proprietà, facendola diventare una delle più belle della zona. Non puoi
immaginare quanta emozione si provi guardandosi
intorno e poter dire che tutto, fino a perdita d'occhio, è tuo. Ah, scusa per
la frase infelice…
- Non si preoccupi: non avrebbe
potuto dire diversamente.
- Grazie. Dicevo che il senso della
proprietà individuale che voi comunisti non potete avvertire è
spesso lo scopo di tutta una vita. In origine il fondo era di cento ettari e
poi via via è aumentato per arrivare nell'epoca d'oro
a quattrocento ettari. Ricordo quanto tempo impiegavo a percorrerlo con il
calesse, rammento che ogni tanto mi veniva in mente la frase di quel re che
diceva che sul suo impero non tramontava mai il sole.
No, da me il sole calava ogni giorno
e io godevo nel
vedere il giallo del frumento maturo colorarsi di rosso, mentre aspiravo a
pieni polmoni la brezza della sera che mi portava il profumo del fieno
tagliato.
E poi, dopo cena, era un piacere
sentire le chiacchiere dei miei dipendenti e delle loro donne, riuniti
sull'aia, e portare loro del vino fresco, e avvertire il rispetto che avevano
per me. No, da me il sole tramontava, ma il fondo era il mio regno. Ogni
nascita, ogni morte, ogni matrimonio era qualche cosa di mio e lì c'era il mio
popolo. Come sai ero un padrone esigente, ma nessuno ha mai avuto da
lamentarsi, perché non puoi voler male a ciò che è tuo.
Mia moglie mi ha dato tre figli: due
maschi e una femmina. Contavo su di loro perché il regno potesse avere un
futuro, ma è in questo che ho commesso il primo e fatale errore della mia vita.
Li ricordi?
- E' da un po' che non si vedono da
queste parti, ma li rammento da giovani.
- Guglielmo, l'unico che avrebbe potuto succedermi me l'ha portato via la guerra. Era
a Cefalonia l'8
settembre ed è stato uno fra le migliaia di fucilati. Era capace di condurre
l'azienda; aveva polso e sapeva farsi rispettare e amare dai dipendenti. Se non
ci fosse stata la guerra, ora sarebbe con me e lo vedrei indaffarato con i bergamini
per un parto, oppure percorrere quietamente a cavallo i rivali
fra i campi. Mia moglie ne ha sofferto tantissimo, tanto che è morta qualche
anno dopo.
- E' vero, Guglielmo sapeva farsi
benvolere da tutti.
- Non così gli altri due. Dico sempre
che se Dio voleva punirmi per qualche cosa, non avrebbe potuto trovare
supplizio migliore: l'unico uomo, in tutti i sensi, sepolto in terra di Grecia
e due sciacalli che hanno mangiato, divorato le mie carni, mi hanno spolpato,
mi hanno ridotto all'osso.
Caro il mio Annibale, sono rovinato.
Non ho più nulla e fra qualche giorno una banca metterà il fondo all'asta.
Mi chiederai come mai?
Ecco, sono state le debolezze di un
padre che non ha mai voluto ammettere che il sangue del suo sangue poteva
essere acqua e di quella sporca anche. Ricordi Fabrizio?
- Il secondo, vero?
- Sì.
- Beh…Da giovane lo consideravamo un
perdigiorno.
- Avevate ragione: non ha mai avuto
voglia di far niente, ma poi sì che l'ha trovato un modo di passare il tempo. I
casinò di mezza Europa l'anno visto come abituale frequentatore e come un pollo
da spennare. “Papà, ho bisogno subito di cinquecentomila lire” e il papà
stringeva i pugni, ma gliele dava.
Una cifra oggi, una cifra domani e il
conto in banca si è prosciugato; allora ho cominciato a vendere qualche
appezzamento di terreno…
- E la Miriam?
- La Miriam…Noto che te la
ricordi, probabilmente anche perché era una bella ragazza.
- Sì, era bella.
- Magari ci hai fatto un pensierino?
- No, mai, non era per me, lei era di
un'altra classe.
Ahhh…di
un'altra classe! No, caro mio, tu sei di una classe ben superiore alla sua, tu
hai forza, coraggio, coerenza, tu sei un uomo. Se sapessi
chi era la tua piccola fiamma di gioventù… Adesso ti racconto. Ha sempre fatto
girar la testa agli uomini, perché era bella e ricca. Corteggiata da tanti,
anche ottimi partiti, si è invaghita di un pittore francese che fa dei quadri
che non li prenderesti nemmeno se te li regalassero; inutile che ti dica che
questa specie d'artista era ed è squattrinato. E fino a quando ho potuto li ho
mantenuti io, comprando addirittura un atelier e un appartamento a Saint
Tropez, dove i piccioncini per un po' hanno vissuto.
Fabrizio mi telefonava per i soldi, ma Miriam
preferiva addirittura venire a chiederli, anche sei, sette volte in un anno.
Stava con me qualche giorno, mi parlava di grandi progetti, di mostre a Parigi,
dei soldi che servivano a questo scopo e io sganciavo. Di ritorno da una di
queste visite, Miriam trovò il marito che utilizzava una
modella non solo per ritrarla e andò in depressione. Dovetti farla
ricoverare in una clinica svizzera, dove la tirarono un po' su, ma la testa
ormai era partita. Cominciò a drogarsi, con i miei soldi, e poi quando sono
finiti è arrivata a prostituirsi. E' difficile da dire per un padre, ma per sua
fortuna è morta lo scorso anno, probabilmente per una dose eccessiva di
cocaina.
- Mi dispiace.
- Non dire così, perché Miriam non
era quella che hai conosciuto tu.
- E Fabrizio?
- Quello è come se fosse morto anche
lui. Pare che sia fuggito in Sudamerica, dopo avermi
convinto a garantire il prestito, ingente, che gli ha fatto una banca, con
un'ipoteca su quel che restava del fondo. Questi soldi gli sarebbero
dovuti servire per comprare un albergo a Rimini e iniziare così una
nuova vita.
E' l'unica volta che gli ho creduto,
che mi sembrava fosse cambiato e che ho sperato di ritrovarlo come figlio. E'
accaduto subito dopo la morte di Miriam.
- E' andato male l'affare dell'albergo?
- L'amara verità è che non c'è mai
stato nessun albergo:i soldi gli sono serviti per
rimborsare gli strozzini e con quel poco
che gli è rimasto si è comprato un passaggio per il Sudamerica.
E pensare che avevo concesso l'ipoteca, con l'intesa di girarla poi
sull'albergo. Il termine di rimborso del prestito è scaduto; ovviamente lui non
ha pagato e, dato che adesso nemmeno io sono in grado di saldare il debito, il
fondo verrà venduto all'asta.
Il vecchio smise un istante di
parlare, poi:
- Ti ho stancato, Annibale? - , chiese.
- No, si figuri, ma non penso sia
stato questo il motivo per cui mi ha pregato di venire
da lei.
- Giusto. Intendo lasciare qualche
cosa di questo fondo a chi di più l'avrebbe meritato e
questo sei tu.
- Non capisco, si spieghi meglio.
- Non temere, non c'è nulla di
irregolare.
- Ma lei dove andrà?
- Non preoccuparti per me. Alla tua
destra c'è un cofanetto di legno, prendilo e portamelo.
Il Guercio scrutò nella penombra e
vide una sorta di bauletto su un tavolino, lo prese e lo porse al suo
interlocutore, che nel frattempo si era voltato.
- Adesso guardami: ecco il volto di
un re senza più corona.
Il Guercio trasalì: il signor Antonio
era vecchio, sull'ottantina, ma sembrava un centenario, con la pelle tutta
grinzosa e uno sguardo allucinato.
- Vedi che cosa c'è nel cofanetto?
C'è la terra del fondo Cascina Vecchia. Sono poche
manciate, ma se ne avverte il profumo denso di vita, si può ammirare il suo
colore grigio scuro. E' quanto resta di un regno e voglio che tu la prenda e la
porti con te. La metterai in un vaso e in questo pianterai un papavero e un
chicco di grano. Così ogni estate il fondo rivivrà e io con lui.
Il Guercio restò perplesso,
ma prese in mano il bauletto e promise che avrebbe provveduto come gli
era stato indicato.
Il commiato fu senza abbracci, ma
quando era già sceso dalle scale e si apprestava ad aprire il portone udì la
voce forte del vecchio:
- E' morto il re! Viva il nuovo re!
Scosse la testa e pensò che l'età e
le disgrazie avevano fatto uscire di senno il signor
Antonio. Comunque, appena arrivato a casa versò la terra in un vaso e si
ripromise che in autunno avrebbe piantato un seme di papavero e un chicco di
grano.
Tre giorni dopo l'ufficiale
giudiziario e un perito del tribunale si presentarono alla Cascina Vecchia per
fare un inventario e la stima dei beni.
Il vecchio restò impassibile
quando gli notificarono la cosa; i due fecero il loro lavoro e dopo un
paio d'ore, prima d'andarsene, pensarono di salutare.
Fu un semplice “Abbiamo finito.
Buongiorno”, ma non ottennero risposta. Ripeterono la frase e ottennero solo il
silenzio. Si avvicinarono al signor Antonio, lo scossero
e questi reclinò il capo su un lato: il suo vecchio cuore aveva ceduto.
Ai funerali parteciparono ben pochi,
ma fra questi c'era il Guercio, con in mano un vaso di
terracotta.
Fu una cerimonia semplice, con una
messa funebre veloce, quasi che tutti avessero fretta
di sbrigare la cosa.
Quando la bara fu calata nella fossa,
il Guercio si avvicinò e versò il contenuto del vaso, mormorando:
- Ad Antonio, ora nel regno dove non
tramonterà mai il sole.
(Da “Storie di
paese” – Seconda serie)