Il
maestro Ciliegia
di
Renzo Montagnoli
Rimase
a insegnare alla scuola elementare del paese per non più di un paio
d´anni, ma c´è ancora chi lo ricorda, a distanza di più di
quattro lustri. Timido, un po´ introverso, sempre in affanno nei
rapporti con l´altra gente arrossiva con una facilità
sorprendente, tanto che non c´è da meravigliarsi se Evaristo
Battilegna, insegnante di scuola elementare, fosse più conosciuto
con il soprannome di Ciliegia ed era già stata una scelta gentile,
perché qualcuno agli inizi aveva cominciato a chiamarlo "Pomodoro",
sebbene per la sua gentilezza e la sua disponibilità non meritasse
come pseudonimo quello di una verdura. Ciliegia era l´ideale,
richiamava un frutto succoso, bello a vedersi e tanto desiderato dai
bambini, e furono proprio i suoi alunni ad attribuirgli quel Ciliegia
che l´avrebbe caratterizzato negli anni a venire. Un po´ spaesato
nella bassa padana, lui che che veniva da Fiumalbo, un piccolo borgo
dell´appennino modenese, nei complicati giochi delle assegnazioni
degli incarichi si era trovato di colpo assegnato a quel paesino in
riva al Po, dove si diceva che le estati fossero calde e infestate
dalle zanzare e che gli inverni per contro fossero gelidi e nebbiosi.
Come
alloggio trovò una camera dalla ex maestra Gnutti, una donna ormai
in pensione e che per far quadrare il bilancio si era decisa ad
affittare tre camere della casa che le aveva lasciato in eredità il
marito, morto sul fronte greco nel corso della seconda guerra
mondiale. Oltre a Ciliegia, pardon Battilegna, c´erano altri due
pensionati, il cavalier Odorizio Fabbi, ufficiale postale, uomo un
po´ attempato e scapolo (di lui si mormorava che fosse uno sciupa
femmine) e la signorina Margherita Levadotti, maestra pure lei,
nubile, il che non era poi una stranezza, visto che era tutt´altro
che una Venere. Ognuno aveva la sua camera, con un bagno in comune, e
faceva colazione, pranzo e cena con quello che passava la signora
Gnutti, che a detta di molti non era certo una gran cuoca, ma che
riusciva a sopperire a questo difetto propinando di continuo patti
semplici, come le uova al burro o il pollo lesso, lanciandosi solo in
patti elaborati come minestroni, di cui quello con i fagioli si
mormorava fosse il suo cavallo di battaglia.
A
scuola, nonostante la timidezza il maestro Battilegna si prodigava al
massimo, riuscendo a far appassionare i suoi piccoli allievi, che lo
stimavano molto e che gli avevano attribuito quel soprannome non
certo per scherno, visto il rispetto che avevano per lui. Il
Ciliegia, terminate le ore di lezione, quando il tempo lo consentiva
faceva lunghe passeggiate in riva al Po, di cui apprezzava il fluire
pacioso, i tramonti sulle acque che lente scorrevano e i filari di
pioppi che ombreggiavano le sponde. Anche la signorina Levadotti
trascorreva buona parte del tempo libero in riva al Po e ogni tanto
incontrava il Ciliegia, con cui scambiava un rapido saluto, mentre
lui immediatamente arrossiva. A scuola avevano classi diverse, con
quella della Levadotti dove non mancavano due o tre discoli. E fu uno
di questi, il più lavativo, il meno studioso, che aveva avuto più
di una nota di biasimo, ad architettare il piano.
-
Dobbiamo fare innamorare la Levadotti. - disse Giuseppe Leoncini,
così si chiamava. Gli altri due lo guardarono stupiti e risposero: -
Che lei si innamori di qualcuno ci sembra normale, ma che qualcuno
possa diventare il suo moroso è come fare una cinquina al lotto. E´
brutta, è secca, quando cammina sembra un´oca, insomma non vediamo
come sia possibile.
-
Ma se è un un uomo che senza che lui lo sappia si innamora, il gioco
è fatto, lei si illude e quello la delude, e la vendetta è fatta -
replicò secco Leoncini.
Studiarono
un piano e pensarono bene che era inutile trovare un uomo di bella
presenza, anzi era opportuno che fosse di normale presenza e magari
timido come... - Come? - si chiesero. - Come il maestro Ciliegia -
fu l´unanime risposta.
Pensarono
allora di scrivere alcuni bigliettini amorosi del tipo "Sei
la donna dei miei sogni; sempre ti amerò ".
Per recapitarli non era difficile, visto che Leoncini, figlio del
fornaio, tutte le mattine, prima della colazione, portava il pane
alla maestra Gnutti. Lì bastava far scivolare il bigliettino sotto
la tazza della Levadotti; ne aveva una tutta sua, di colore verde, e
quindi era impossibile sbagliarsi.
Iniziò
così l´esecuzione del piano. La Levadotti sollevò la tazza, vide
il biglietto, lo prese, lo mise subito in tasca, poi corse in camera
sua e lesse " Luce dei miei occhi, solo tu dai un senso alla mia
vita". Arrossì, si agitò e si chiese chi potesse essere, ma non
era difficile visto che a tavola con lei c´erano solo il Fabbi e il
Battilegna. Si sentiva tutta sconvolta e quel giorno a scuola tenne
una pessima lezione, con frequenti vuoti di memoria. Il giorno dopo a
colazione altro biglietto "Non dormo più, penso solo a te".
Cominciarono le palpitazioni, poi si disse che doveva sapere chi dei
dei due le scriveva quei biglietti. Alla colazione del giorno
successivo, trovò il biglietto, che preferì leggere a tavola, poi
decise di agire; guardò prima il cavalier Fabbi, facendogli un
sorriso e una strizzatina d´occhio, ma dall´espressione di
repulsione che ebbe lui si convinse che l´estensore dovesse essere
l´altro a cui riservò uno sguardo quasi d´intesa che fece
avvampare il Ciliegia e gli fece andare di traverso la colazione. I
bigliettini continuarono e dopo circa una settimana ci fu quello
decisivo: "Incontriamoci in riva al fiume". Era domenica
pomeriggio, di una bella giornata di sole, e la maestra Levadotti,
nel suo abito migliore, si portò in riva al Po in attesa del
Ciliegia che arrivava lentamente ignaro dell´agguato. Quando lui le
fu vicino, lei arricciò le labbra imitando un bacio. Il Battilegna
strabuzzò gli occhi, divenne più rosso di una ciliegia e cercò di
aggirare l´ostacolo, ma era più facile a dirsi che a farsi, perché
fingendo di cadere lei si aggrappò al suo petto e trascinò a terra
anche lui che disperatamente cercava di sfuggire alla sua stretta.
Gli autori dei messaggi osservavano in distanza, ma c´era altra
gente del paese a passeggio e tutti si turbarono, scoppiò un vero e
proprio scandalo tanto che il provveditore agli studi dispose il
trasferimento immediato di entrambi in separate sedi. Il fatto in sé,
cioè la reazione della gente e la punizione per i disturbatori della
morale pubblica non devono stupire, perché era da poco finita la
seconda guerra mondiale e il senso comune del pudore era molto
diverso dall´attuale.
Passarono
gli anni, della vicenda, di cui nei primi tempi si parlò parecchio,
piano piano si ricordarono ben pochi; fra questi chi aveva conservato
una buona memoria c´era Giuseppe Leoncini, subentrato ai genitori
nella gestione del forno. Così accadde che una domenica pomeriggio
arrivasse in paese una grossa Mercedes, con a bordo un uomo, una
donna, e due ragazzi prossimi alla maggiore età. L´auto si fermò
davanti al panificio e l´uomo alla guida chiese al Leoncini seduto
davanti alla porta dove fosse la casa della maestra Gnutti.
-
E´ stata abbattuta per costruire un condominio.
-
Ah - gli rispose l´uomo - e le scuole elementari dove sono, non
le trovo.
-
Anche quelle demolite, non ci sono quasi più bambini. - rispose
Leoncini a cui venne però un principio di sospetto, soprattutto
quando guardò bene l´uomo, dal viso un po´ arrossato, e la donna
che era tutt´altro che affascinante.
Gli
chiese: - Scusi, ma perché mi fa queste domande? E´ già stato nel
nostro paese?
-
Certo - gli rispose - è stato quello che ci ha fatto
incontrare.
-
Ma allora lei è..il maestro...?
-
Ciliegia, come mi chiamavano, e lei è la maestra Margherita
Levadotti, e quelli dietro sono i nostri ragazzi. Sorpreso?
-
No, ma.. - e forse voleva accennare a qualcosa di quanto era
accaduto, ma già l´auto si avviava strombazzando verso il ponte
sul Po.
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Storie di paese