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  Editoriali  »  Quel senso della vita, di Gavino Puggioni 02/09/2013
 

Quel senso della vita

di Gavino Puggioni

 

 

Per tanto tempo mi sono arrampicato nei piani alti delle mie memorie, ricavandone, pure, file sfilacciate di ombre mnemoniche, fino al fastidio dello spirito, al quale non si può comandare nel suo ramingo andare.

Eppure questa età non mi vieta, anzi, non mi nega mai. quel piacere che provo quando, apparentemente solo, ritorno in quei viali della mia infanzia, veri e anche surreali, quasi metafisici, quando la vita aveva altro significato, come il suo senso che ne scandiva le giornate, le ore, i giochi, quelli di una volta, impregnati, tutti, dai profumi di una terra che si offriva al sole, alla luna, ai duri inverni, alla leggiadria della primavera, ai meriggi assolati delle lunghe estati, alle malinconiche giornate d'autunno.

Mi verrebbe da scrivere mondo antico, ricordando o emulando i tempi di Fogazzaro, ma lo sfioro soltanto, perché, quello mio, davvero, è ed è stato quel piccolo mondo antico da cui ho tratto vita e vitalità, da cui ho tratto, molto dopo, ansie e dolori , coccolati, tuttavia, da una coltre calda e indistruttibile del mio pensiero, divenuto essenza. Essenza colma di mille e un cassettino dove la memoria è andata a pescare i suoi segni coi suoi sogni, pagine scritte mentre il sole bruciava le messi o i fulmini abbattevano l'ultimo degli alberi più vecchi, naturalmente.

 

Ed ora, al contrario, mentre apro le porte della senilità, mentre ripercorro, a mo' di gambero, il mio tempo passato e quasi remoto, mentre tento di fare addizioni a tutte le sottrazioni subite, mentre credo di trovarmi, solo, al bivio di questa vita, mi chiedo se io o il mio alter ego sono in grado di continuare, in questo guazzabuglio di disordine umano dentro il quale, non volente, mi sono ritrovato. Non riesco a svincolarmi da questa rete, invisibile ed inossidabile, perché il mondo che mi ospita vive un'altra vita, si nutre di altri valori, ama l'indifferenza, è armato d'arroganza e s'empie, ma ha già debordato, di un vocabolario nuovo che lascerà cicatrici dolorose alle future generazioni le quali, spero, non abbiano mai a nutrirsene.

 

Il brusio di sentimenti, le esclamazioni di gioia per un oggetto nuovo o ritrovato, l'interesse al bene comune, come la grande brocca o la giara da cui usciva acqua per tutti, l'abbraccio universale alla verità, all'umiltà, alla dignità umana, al rispetto di chi lavora e di chi non lavora e non ha i mezzi per sopravvivere, ebbene, questi sentimenti sono venuti a mancare, sono divenuti pezzi di granito dove, una volta, si poteva scavare, ora non più.

 

Si viaggia per la conoscenza (anche per la virtù?), per il piacere di sapere, ma si viaggia anche per fare e portare la guerra, anche quella odiosa delle religioni, molto diversa da tutte le altre.

Si naviga per mare ed oggi anche per terra, per cui anch'io sono diventato un navigante, statico e virtuale e me ne prendo tutta la responsabilità, poiché anch'io ho seguito una moda, un modus vivendi dal quale non bisognerà, mai, farsi sopraffare. E comunque questo navigare non mi appaga, essendo impreparato a tutto ciò che giornalmente cambia e mi crea quasi confusione, mi fa diventare ateo, non credente verso l'anima di questa terra che ha perduto la sua unicità, il suo mistero, questa terra che sta perdendo la sua storia perché la stanno ricostruendo in provette di un futuro che agli uomini restituirà ben poco.

Quel tanto di buono che s'era creato si sta sfaldando in altrettanti pezzetti di terra dove non si sa più cosa fare o rifare. Si distrugge e basta, ben sapendo che un'altra arca di Noè non avrà più ragion d'esistere.

 

Forse, in un futuro lontano, il Polo Nord e il Polo Sud, si incontreranno ma non avranno mani e braccia per stringere amicizia.

La Terra, quella nostra, abita nuda al loro centro e si surriscalda non tanto per l'amore quanto per l'odio che vi si versa, che diventa fuoco e fiamme, pericolosi anche per i ghiacciai, una volta eterni.

E allora ci sarà un'altra storia.

 

 

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