Non
odio ma pena per l'assassino di Melissa
di Ferdinando Camon
"Avvenire" 8 giugno
2012
Quando avviene un attentato
grave e crudele, la reazione di coloro che apprendono la notizia dalla tv o dai
giornali è la rabbia. Quando poi vedono in faccia
l'assassino, la reazione è l'odio. Non è rara, anzi è frequente la visione del
colpevole (anche se non ancora condannato, quindi a rigore innocente,
ma indicato da indizi, prove, o addirittura confessione, la quale per il
codice non basta per la condanna), fatto uscire da una porta secondaria, o
protetto da un doppio cordone di poliziotti, fino all'auto che lo porta via,
sulla quale la folla inferocita scarica una tempesta di pugni: i pugni che non
può scaricare sul presunto colpevole. Adesso pare che abbiano trovato l'autore
dell'attentato di Brindisi, in cui è morta la ragazzina Melissa e cinque sue compagne
sono rimaste sfigurate. Apprendiamo com'è andato l'interrogatorio. Constatiamo l'assurdità del gesto: la mancanza di relazioni
fra la volontà stragista dell'attentatore e le vittime, per cui questa ci pare
una “strage gratuita”. La gratuità la rende incomprensibile, e questo aumenta
nel lettore-ascoltatore l'istinto vendicativo. È un sentimento diffuso, chi
lavora per le tv o scrive sui giornali lo sente nei destinatari del suo lavoro.
Ma è una reazione sbagliata. La reazione giusta dovrebb'essere la pietà, la pena, e oserei dire una pena
preventiva. Fin da quando è avvenuta l'esplosione
dovevamo sentire pena per l'autore ignoto, chiunque fosse. Fin da quando
l'abbiamo visto nei filmati delle telecamere, piccolo, tarchiato, indifferente,
premere il telecomando, aspettare il botto, e andarsene via lemme lemme: pena per questo assassino,
per l'enormità della sua colpa e l'inadeguata reazione del suo sistema nervoso-mentale-morale. Da quando è andato via da lì fino a
quando l'han trovato, tutto quel che ha fatto fa pena,
sotto ogni punto di vista, morale, umano, intellettuale, perfino poliziesco.
Suonano alla porta, lui apre, vede la polizia e cerca di nascondere gli
occhiali, perché sono gli stessi del giorno del
delitto. È pura inintelligenza. C'è sempre negli
assassini. Che pena questa inintelligenza, questo
cervello chiuso! La sua prima riposta è: “Io non ho fatto niente”, ma la bocca
dice questo, tutto il corpo lo tradisce. Che pena un uomo tradito dal suo
corpo! “Io non ero in quel posto”, ma gli mostrano la foto della sua auto, e
lui ammutolisce. Che pena quel mutismo! Durante l'interrogatorio, continua a
tirarsi su i pantaloni con la mano destra, è un tic: lo stesso tic che ha nel filmato. Ha due figlie, è
due volte padre, ma non ha nessun senso della paternità: che pena questo padre
sbagliato, questo padre-non padre! A tarda sera ha confessato, mentre scrivo non conosco ancora le parole che ha pronunciato, ma
che pena un uomo di 68 anni che confessa di aver tolto la vita a una ragazzina
e sfregiate altre cinque: pena perché non si rende conto di quel che ha fatto,
chiede se deve stare in prigione a lungo, non capisce che l'omicidio è irrisarcibile, non ha la percezione di che cos'è il dolore,
cos'è il male. Questo senso di pena dovrebb'essere
“preventivo”, prima di scoprire il colpevole, dovevamo
provarlo subito, a strage appena compiuta: dolore per le vittime e compassione
per il colpevole, per il misero livello della sua coscienza. A suo tempo
abbiamo provato strazio per la vedova della guardia di Falcone, che al funerale
chiedeva agli assassini di inginocchiarsi: strazio per lei, ma pena per gli
assassini, per l'indegnità della loro vita. Maggiore è lo strazio per la
vittima, maggiore dev'essere la pena per il
colpevole. Ricorderete l'ostaggio americano ucciso da Al Qaeda col taglio della
gola: gli uccisori filmarono la scena e la misero in
internet. Tutto il mondo la vide. Anche il padre dell'ostaggio. Intervistato disse: “Provo un dolore immenso, è morto mio
figlio”. Poi trovarono l'assassino e lo uccisero. Chiesero al padre
dell'ostaggio se fosse contento. E lui rispose: “Perché
dovrei? Provo un dolore immenso, è morto un altro
uomo”.
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