Pago
le tasse e mi sento in lutto
di Ferdinando Camon
Quotidiani
locali del Gruppo "Espresso-Repubblica" 7 giugno 2012
Ultimi giorni per compilare la
dichiarazione dei redditi e pagare il saldo e l'anticipo. Qual è lo stato d'animo dei contribuenti? Depressione. E da
che cosa nasce, c'è una parola per indicarne l'origine? Sì: il lutto. Gli
italiani pagano le tasse e si sentono in lutto. Ogni anno, in
questi giorni, ma quest'anno più del solito. Come se perdessero qualcuno
o qualcosa, come se una forza superiore e ineluttabile (che significa: contro
la quale non si può lottare) gli tagliasse un pezzo di vita. Le tasse sono sentite
come soldi che vanno via dalla famiglia, la famiglia
patisce un furto. È giusto questo senso “di lutto”, quando si pagano le tasse?
Certamente no. Gli inviti a non pagare le tasse, o non tutte, a evadere più che
si può, sono criminosi, punto e basta. Sul computer dove batto questo articolo arrivano e-mail che non ho chiesto, che non
attendo, che sono sparate a caso nel circuito del web ed entrano negli
indirizzi aperti, se in quel momento sei connesso ti si spalancano davanti agli
occhi e dicono: “Hai ricevuto una lettera di Equitalia?
Rivolgiti a noi”. Che significa? Che se Equitalia chiede il saldo di un vecchio debito dovuto allo
Stato, questi signori sono in grado di far slittare o far
sparire il debito? Non dovrebb'essere
lecito, non dovrebb'essere possibile, l'ufficio di
questi signori dovrebb'essere chiuso, in nome della
legge. Ma detto questo, che le tasse vanno pagate, vediamo
cosa succede pagandole.
Per pagarle, compili una dichiarazione assurdamente
complicata. Ci sono voci e termini che non si capisce
cosa significhino. C'è un rigo che chiede il Codice Fiscale, ma è
contrassegnato da un asterisco che specifica: “Da compilare per i moduli
predisposti su fogli singoli”. Non capisco. Io i moduli li scarico da Internet,
sono fogli singoli, quindi metto il codice fiscale. All'Agenzia delle Entrate
mi chiedono: “Lei è morto?”, “Che cosa?”, “È morto
lei?”, “Non ancora, grazie a Dio”, “Allora non compili questo rigo”. Scusate,
ma ci voleva tanto a scrivere: “Da compilare solo dopo morti?”
Devo dire che alle agenzie delle Entrate si trovano
impiegati competenti, veloci, gentilissimi. Esemplari. E anche colti.
L'impiegato davanti a me carica la mia dichiarazione, la spedisce, mi dà una
copia e gli chiedo: “Posso esprimere un parere?”, “Dica”, “La quota che lo
Stato si prende è troppa”. Allarga le braccia e
risponde: “Sono d'accordo con lei”.
Esco, vedo un altro impiegato davanti alla porta, è
uscito un attimo per fumare, non è uno scansafatiche, sta fuori un minuto, ho
voglia di parlare e gli dico: “Ho pagato le tasse”, “Bravo”, “E le dico che
sono troppe”, “Ah, lei è uno dei 40 %?”, “Chi sono i
40 %?”, “Quelli che pagano”. Ma dunque quelli che non
pagano, che pagano meno o che non pagano niente, sono il 60%? Chiedo: “Ma lo
sapete anche voi che a pagare sono una minoranza?”, “Certo”, “E che cosa potete
farci?”, “Eh signore mio”, ha finito la sigaretta e rientra.
Come se
dicesse: non riusciamo a farci niente.
La depressione e il lutto nascono da qui. Le tasse
sono troppe, pagarle dà un senso di furto alla famiglia, sono soldi che, in
parte, dovremmo avere a disposizione per noi e i nostri figli. Anche chi ci fa
pagare le tasse sa che sono troppe: è un sopruso
cosciente, non involontario. Dal premier Monti a questo impiegato dell'Agenzia
delle Entrate sotto casa mia, tutti sono coscienti di farci pagare troppo.
Paghiamo ogni anno di più, e in cambio il nostro Stato è messo ogni anno peggio. Se il tenore di vita in casa nostra cala, non è che
la famiglia s'impoverisce ma lo Stato s'arricchisce,
che ci farebbe infuriare ma ci darebbe una speranza: no, qui c'impoveriamo
tutti, cittadini e Stato. Tranne gli evasori. Che sono più potenti di noi
perché sono più numerosi. Quando votiamo noi vorremmo
rovesciare tutto, loro vogliono confermare tutto. Di qui la depressione.
L'impotenza. Il lutto.
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