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  Editoriali  »  Sul senso della rigidità delle regole e dei costumi, di Lorenzo Russo 21/07/2012
 

Sul senso della rigidità delle regole e dei costumi

di Lorenzo Russo

 

È proibito parlare in classe durante le lezioni, ad eccezione quando si venga interpellati dall'insegnante.

Regola giusta o falsa?

È giusta sotto il punto di vista della effettività didattica, in quanto la sua non osservazione impedisce all'insegnante di insegnare adeguatamente la sua materia, che così non è seguita e ancor meno compresa dagli alunni.

Quale qualità personali deve possedere ora l'insegnante per indurre i suo alunni a seguirlo e, di seguito, ad osservare un comportamento disciplinato e corretto?

Le qualità più effettive sono senza dubbio la preparazione profonda della materia da insegnare e il possesso di una personalità complessa e compiuta che renda l'insegnamento interessante e, perché no, a volte anche divertente.

In poche parole l'insegnante deve riflettere sui suoi alunni una sua personalità umana completa, pretendente e nello stesso tempo concedente, di modo da non lasciare loro la scelta di seguirlo o no.

L'insegnamento è un'attività tra le più complesse che esistano, perché richiede capacità didattiche cognitive e formative.

Un insegnate che sia fatto per il suo mestiere riesce ad attirare i suoi alunni anche quando la materia da trattare risultasse disinteressante e noiosa, anche a lui stesso.

Di fatto sono pochi gli insegnanti in possesso di tali qualità, che non sono soltanto espressione di un apprendimento acquisito seriamente e con costanza, tanto da dover essere il fondamento della loro vita, bensì anche possesso delle ideali caratteristiche personali per l'esercizio di tale professione.

I non idonei ricorrono generalmente all'uso dell'autorità, nella speranza di riuscire a imporre timore e soggezione nei loro alunni, situazione alquanto difficile al giorno d'oggi in cui la scuola è organizzata  diversamente da non lasciare spazio a tale forma di insegnamento, o sono costretti a dimettersi per non ammalarsi seriamente.

A parte il fatto che gli alunni reagiscono con disinvoltura, apatia e infine aggressione di fronte alla mancanza di professionalità dell'insegnante, essi vengono anche frenati nella scoperta e sviluppo delle proprie inclinazioni e requisiti naturali, con il risultato di non essere preparati per affrontare i severi esami della loro vita.

Mi sembra che così com'è nell'insegnamento lo sia anche in tutte le professioni esistenti.

Un impiegato che tira a campare, cioè che non si immedesima nell'esercizio del suo impiego, non può mai assolvere con diligenza e responsabilità i compiti affidatigli, e non solo, prima o poi diventerà apatico, depresso e infine malato nevrotico e psicotico.

Quando in uno stato esistono più casi di questo andamento è facile proferire la sua caduta economica e sociale.

A questo punto mi viene chiaro che il metodo del lasciar fare degli ultimi decenni abbia creato il lassismo distruttivo attuale.

È un andamento che si riscontra già in ogni settore delle attività umane e della società.

Viviamo nell'epoca dominata dalle più svariate espressioni della personalità individuale sia nel modo del vestirsi, del truccare il fisico, del parlare e gesticolare che a mio parere sono espressioni di decadenza, del vuoto che si cerca di colmare con la superficialità elevata a culto.

Sono certo che un giorno ci sarà il risveglio, dovrà accadere, come sempre è accaduto in analoghe situazioni.

Il corso della vita umana segue un percorso paragonabile al gioco

dell'altalena: sale verso l'alto per poi  ricadere verso il basso, in un moto perpetuo e irreversibile.

Proprio per questo ritengo che abbia senso introdurre regole rigide e punitive per i trasgressori, non perché così saranno rieducati al senso dell'onestà (la natura c'insegna che essi ci saranno sempre perché l'uomo è incorreggibile), ma perché altrimenti la situazione peggiorerebbe ulteriormente fino a diventare difficilissima da correggere.

Si riscontra anche, come  proprio nel gioco dell'altalena, che ai successi raggiunti da una generazione segue la fase della loro trascuratezza nel corso delle seguenti.

Dove trovarne la causa se non nel fatto che essi non sono più sentiti come meta da raggiungere, essendo state, bene o male, già raggiunte.

Ogni generazione ha quindi le proprie lotte da sostenere, ma il non tener conto che i successi compiuti dalle precedenti vanno tutelati significa non aver compreso la natura umana, sempre pretendente per poi essere negligente, all'infuori del proprio tornaconto.

Non dimentichiamo che ogni successo sociale è dipendente dalla situazione economica esistente, per cui è necessario tenere assolutamente in considerazione la necessità di correzione dell'attuale sistema, per renderlo meglio idoneo a garantire almeno le esigenze elementari delle classi minori.

Di fatto si riscontra già oggi la tendenza a mettere in discussione i successi sindacali del passato.

Bisogna anche aggiungere che il superamento delle discriminazioni causate dal sistema economico richiede la partecipazione cosciente di tutti i ceti della società, per evitare che i laboriosi e diligenti siano sfruttati da chi intende vivere sulle loro spalle, e di essi ce ne sono molti.

Anche la situazione sociale delle donne dipende dall'andamento economico di un paese.

L'enorme sviluppo economico del dopoguerra creò, di fatto, una forte necessità di manodopera che favorì il loro inserimento nel processo lavorativo.

Da qui le donne afferrarono l'opportunità di rivincita, dopo secoli di oltraggio e costrizioni subite da parte del maschio.

È difficile affermare se la perequazione dei diritti e trattamento economico tra l'uomo e la donna sia realizzabile nel prossimo futuro.

Fatto sta che l'attuale crisi frena ogni iniziativa di compimento.

È anche riscontrabile che la forma tradizionale della società abbia subito mutamenti radicali, con il risultato di un aumento progressivo dei divorzi e di una minore procreazione.

La struttura secolare della famiglia, quale fondamento della società, subisce da decenni una grave e profonda crisi, la cui fine non è ancora prevedibile.

Anche i giovani risentono della mancanza di quei valori di vita che li invoglino all'esercizio di compiti superiori per merito acquisito. Si riscontra che il lassismo esercitato in ogni campo sociale li abbia resi deboli e impreparati. Gli ultimi decenni erano fin troppo caratterizzati dal concetto che l'educazione dei giovani fosse meglio realizzabile con la compiacenza e bontà, per evitare la ripetizione degli avvenimenti del passato. La verità sta di fatto nel mezzo: tra comprensione e dovere alla prestazione.

Mi sa che l'enorme espansione economica del passato abbia reso la società troppo compiacente e fiduciosa nelle buone qualità dell'uomo. La realtà della vita è ebbene fluttuante: una volta benigna ma poi di nuovo maligna.

Da qui è meglio tenere in considerazione che Dio esista, perché è una necessità compensatrice per l'uomo, ed esisterà fino a quando egli non lo avrà raggiunto mentalmente e coscientemente.

Il vecchio credo è stato superato perché è stato abusato per scopi della classe del potere a scapito delle classi minori, allora ignoranti e timorose.

Si dovrebbe, oggi, riabilitarlo nel senso della parità e solidarietà, onde far fronte alle moderne espressioni di vita che non promettono nulla di buono per il futuro.

Riabilitarlo come amico e suggeritore delle idee della salvezza umana, senza cadere nelle costrizioni del passato.

In effetti temo che un ulteriore peggioramento dell'attuale crisi comporterà un impoverimento massiccio della classe lavorativa, con il probabile, ma non certo, risultato che l'individuo colpito cercherà nuovamente l'appoggio nell'unione di coppia e preferibilmente nel nucleo famigliare.

Mi auguro che egli abbia imparato, dai sopra indicati mutamenti, a comportarsi lealmente nell'ambito della famiglia, della società e dello stato, di modo che la sua vita sia vivibile e desiderabile.

Tutto ciò segnalerebbe una mutazione durevole, e forse finale, dei poli e darebbe ragione alla necessità di installare  regole rigide di comportamento e di costume, non per costrizione ma per intendimento coscienzioso.

 

 
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