Il 4 novembre
Immancabile, ogni anno, c'è la
ricorrenza del 4 novembre, una festa che vorrebbe celebrare, ricordando il 4
novembre 1918, la fine delle guerre di indipendenza.
Io, meno retoricamente,
considero invece tale data come il giorno conclusivo di uno dei tanti eventi di
alta macelleria che caratterizzano l'uomo.
Al riguardo, i dati di consuntivo del
primo conflitto mondiale sono eloquenti:
la sola
Italia ebbe a patire la perdita di 650.000 combattenti;
complessivamente gli
stati belligeranti registrarono l'uccisione di circa 8.500.000 di militari.
Di fronte a questi dati sembra
impossibile concepire il 4 novembre come una ricorrenza festiva, soprattutto
ove si consideri che questo anniversario della vittoria stride con i risultati
ottenuti.
In pratica riuscimmo appena ad avere
al tavolo della pace gli stessi territori che l'Austria, su pressione della Germania, ci
aveva offerto purché non dichiarassimo guerra. Le ambizioni dei
Savoia erano ben altre e si estendevano a tutta l'Istria e a gran parte
dell'attuale Croazia; inoltre partecipare a una guerra era indispensabile per
quella specie di nano di Vittorio Emanuele III, in preda costante a un
complesso di inferiorità, per non dimenticare che bisognava pur far guadagnare
anche gli industriali. Armati male, ma condotti anche peggio, i nostri soldati
si immolarono in tante inutili battaglie, per poi doversi precipitosamente
ritirare per lo sfondamento nemico a Caporetto,
impresa riuscita più l'ignavia dei nostri generali che per l'abilità degli
avversari.
E' vero che questa disastrosa rotta
finì per rinsaldare un esercito allo sbando già da diversi mesi, ma non si può
dimenticare che nella circostanza ricevemmo corposi aiuti in uomini e materiali
dai nostri alleati, che poi li fecero pesare durante le trattative di pace.
Fu un'epoca quella in cui ricorrevano
stolte frasi tipo “Bello è morire per la patria”, oppure “ Io vivo e muoio per
l'Italia”, secondo i canoni di una consolidata retorica che cerca di far apparire
di elevato spirito il fine di una guerra legata più a interessi economici e
territoriali.
Del resto, la liberazione dei nostri
fratelli trentini dal giogo austriaco fu una vera e propria invenzione, perché,
a parte Cesare Battisti e pochi altri, in quelle zone combatterono volentieri
contro di noi per difendere quella che era la loro casa.
E non si deve dimenticare che fummo
noi a dichiarare guerra, e non il nemico, che fummo sempre noi che nei primi
mesi ci attardammo in “ozi di Capua”, quando avremmo
potuto conquistare ampi territori perché c'era solo un velo di truppe
austriache, in quanto impegnate sanguinosamente in Galizia.
Di questo e di tanti altri errori si
è dato colpa a Cadorna, il comandante in capo, ma non dimentichiamo che le
atroci battaglie dell'Isonzo furono fermamente volute
da quello stratega da “battaglia navale” di Vittorio Emanuele III, uno dei
peggiori monarchi della storia.
Insomma, si avviò una
guerra impreparati, considerando i soldati come
pedine personali da sacrificare in azioni scombinate, si vinse soprattutto
grazie all'azione degli alleati, e poi si pretende ancor oggi di celebrare il 4
novembre come anniversario della vittoria?
Direi che sarebbe opportuno
cancellare questa festa e in generale togliere dal calendario
tutte quelle ricorrenze legate a eventi bellici. Questo non servirà a
evitare le guerre, ma almeno ridarrà a certi fatti il
loro naturale significato: non motivo di gioia per una vittoria,
ma silenziosa vergogna per una carneficina.