Un popolo di analfabeti
di Renzo Montagnoli
Già si sapeva da un po' di anni, a
seguito di indagini statistiche, ma questa tendenza si
va ancor più accentuando, fornendo un quadro disarmante.
Infatti, secondo un'ultima ricerca c'è
un 5% di italiani praticamente analfabeta, dato di per sé eclatante, ma tutto
sommato considerato fisiologico. Il problema più grave, però, è costituito
dall'analfabetismo di ritorno, tipico di chi, pur avendo imparato a leggere e a
scrivere, se ne è dimenticato per mancanza di
esercizio. Questi italiani, circa il 70% del campione, non sono in grado di
comprendere un semplice libretto di istruzioni, le
posologie dei medicinali, gli articoli di un contratto di lavoro, l'esatto
significato di parole che diventano sempre più ridotte nel loro vocabolario individuale.
Sembra una notizia qualsiasi, ma è la
conferma di una catastrofe nazionale, che allontana sempre di più l'Italia
dalla cerchia dei paesi sviluppati culturalmente, condizione quest'ultima
imprescindibile per un progresso continuo ed equilibrato.
Fra tutti i paesi membri dell'Unione
Europea il nostro, insieme alla Romania, è quello che ha la percentuale più
bassa di laureati (nel 2012 il 13,8%, contro il 23% della Grecia, il 35% della
Gran Bretagna e il 28% della Francia).
È inutile girare intorno al problema o
cercare di sminuirlo: siamo un popolo di ignoranti,
con un 55%, che è una cifra astronomica, che non legge mai un libro.
C'è quindi una massa di
individui facilmente manipolabile, che presta orecchio maggiormente alla
comunicazione televisiva, incapace di esprimere un'opinione, sedotta dai
messaggi semplici, roboanti e ripetuti.
La responsabilità di questo stato
increscioso è in parte anche della scuola, la cui ultima riforma, anziché dare
impulsi a una ricerca di conoscenza, ha allontanato ulteriormente gli allievi
dalla realtà, con testi che, anziché facilitare la formazione di una coscienza
critica, l'hanno tarpata sul nascere.
Mi si potrà dire che la scuola non è
mai stata al primo posto nei pensieri dei nostri politici, e concordo, ma quel
che è indubitabile che dall'inizio del corrente secolo è
stato scientemente perpetrato un piano di sottoacculturazione,
condizione valida ed efficace per poter governare nel totale disinteresse dei
cittadini.
Stiamo scivolando lungo una china
pericolosa, ci stiamo allontanando dal futuro e dal presente, per ritornare
agli albori di questa nazione, quando tutto era ancora da porre in essere per
farne un vero e proprio stato.
Il proliferare dei tanti festival del
libro sembrerebbe essere in contrasto con questa situazione,
ma, fatta eccezione ovviamente per coloro che amano accrescersi
culturalmente, la gran parte dei frequentatori è richiamata puramente e
semplicemente dall'evento. E per questi, ammesso che siano
degli appassionati di lettura, occorrerebbe sapere che libri leggono, cosa ne
capiscono, quali sensazioni ritraggono dopo, quando assimilato il contenuto, si
può verificare se esso sia stato o meno culturalmente utile.
Peraltro nell'elenco dei libri più
venduti figurano in gran quantità opere di scarso valore, romanzetti
d'evasione, insomma quasi carta da macero.
I libri di storia, poi, sono negletti
ed è così spiegabile come vengano facilmente confuse
le quattro giornate di Napoli con le cinque giornate di Milano, come a
Garibaldi si allunghi la vita facendolo partecipare al primo conflitto
mondiale, come la Resistenza, da cui è nato lo stato repubblicano, sia per lo
più ignorata o relegata a un fenomeno di scarso significato.
Nella vita si raccoglie ciò che si
semina, e seminare e curare la cultura è il solo modo
per garantire un avvenire libero ed effettivamente democratico.