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  Editoriali  »  Amnistia e indulto: ci risiamo, di Renzo Montagnoli 18/10/2013
 

Amnistia e indulto: ci risiamo

di Renzo Montagnoli

 

 

 

Ventilata dal Presidente della Repubblica e subito accolta con il massimo favore dai nostri politici l'ipotesi di amnistia e indulto ha preso rapidamente piede e già ha iniziato il suo iter parlamentare. Per chi non lo sapesse rammento che, in forza della nostra costituzione, la legge che l'accorda deve essere approvata dalla maggioranza dei due terzi di ciascuna Camera in ogni suo articolo e nella votazione finale.

Di che si tratta?

Si tratta di due provvedimenti di clemenza previsti dall'art. 79 della costituzione che appunto istituisce l'amnistia e l'indulto, provvedimenti che sembrano essere pressoché uguali senza tuttavia esserlo. In particolare l'amnistia è una causa di estinzione del reato, con cui quindi lo Stato rinuncia all'applicazione della pena, mentre l'indulto si limita a condonare, in toto o in parte, la pena inflitta, senza quindi che vi sia la cancellazione del reato.

Dovrebbero essere provvedimenti di natura eccezionale, adottati in via del tutto sporadica, ma nella pratica presentano una frequenza allarmante. Un tempo l'amnistia era quasi una prassi quando saliva al trono un nuovo re e aveva soprattutto lo scopo di raccogliere i favori magari di certi oppositori politici che languivano nelle prigioni del monarca; oggi - ed è solo lo stato italiano a ricorrervi con frequenza - hanno lo scopo, unico, di diminuire la popolazione carceraria.

In effetti da noi la detenzione, oltre a non costituire un mezzo rieducativo, proprio perché l'istituto relativo è drammaticamente carente, è diventata una grande ammucchiata, con detenuti ammassati in celle in condizioni di notevole disagio. Mi par di capire che questa volta il target potrebbe raggiungere, come per il passato, i 20.000 detenuti, e che ci si orienti sul termine dei quattro anni, escludendo i reati più gravi, quali l'omicidio, il furto aggravato e lo stupro. Questa sarebbe la risposta al diktat dell'Unione Europea che ci ha fissato come scadenza ultima il 24 maggio 2014 per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri.

Come al solito non si trova nulla di meglio, non si cerca cioè di porre mano ai problemi della giustizia affinché, fra cinque o sei anni, non si debba ricorrere a una nuova amnistia.

Ed è uno dei motivi per cui sono contrario, poi ce ne sono altri.

Il primo è dato dal fatto che chi delinque tiene conto di questi interventi di clemenza, essendo ripetitivi, e quindi la carcerazione gli sembra un rischio meno frenante, anzi diventa più che accettabile.

Inoltre, in questo modo viene meno la certezza della pena, elemento che sappiamo costituire un valido ed efficace deterrente.

Certo che il sovraffollamento è dato anche da leggi errate e da applicazioni delle normative forse eccessive se, a quanto sembra, ben un terzo dei detenuti è rappresentato da quelli in attesa di giudizio; se poi aggiungiamo la lunghezza dei procedimenti giudiziari è possibile comprendere quanto la macchina della giustizia contribuisca a questo stato di cose increscioso; inoltre nuovi istituti di pena son ben lungi dall'entrare in funzione, anche se alcuni sono ultimati e inutilizzati da anni.

Insomma, come al solito, nel nostro paese non cambia nulla, i problemi non si risolvono alla radice, si trova più conveniente fare sconti di pena che educare il reo affinché non commetta più il reato, sistema invece in vigore in molti stati dell'Unione Europea con esiti ampiamente positivi.

Prepariamoci quindi a essere inondati da un bel po' di carcerati, probabilmente non particolarmente pericolosi, ma pur sempre delinquenti e, salvo rari casi, propensi a reiterare il reato.

E allora mi chiedo: valeva la pena di arrestarli, di spendere un bel po' di denaro per processarli, altro denaro per ospitarli, sia pure in modo disagiato, nelle patrie galere? Non sarebbe stato meglio per alcune tipologie di reati  adottare misure alternative alla carcerazione, magari impiegando i soggetti in servizi socialmente utili?  

Sono domande con risposte che non verranno mai, proprio perché, come diceva Tancredi nel Gattopardo, se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi, e qui mi sentirei di aggiungere l'espressione di Don Fabrizio, che ben esprime la situazione italiana: e dopo sarà diverso, ma peggiore.

 

 

 
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