Amnistia e indulto: ci risiamo
di Renzo Montagnoli
Ventilata dal Presidente della
Repubblica e subito accolta con il massimo favore dai nostri politici l'ipotesi
di amnistia e indulto ha preso rapidamente piede e già ha iniziato il suo iter
parlamentare. Per chi non lo sapesse rammento che, in
forza della nostra costituzione, la legge che l'accorda deve essere approvata
dalla maggioranza dei due terzi di ciascuna Camera in ogni suo articolo e nella
votazione finale.
Di che si tratta?
Si tratta di due provvedimenti di
clemenza previsti dall'art. 79 della costituzione che
appunto istituisce l'amnistia e l'indulto, provvedimenti che sembrano essere
pressoché uguali senza tuttavia esserlo. In particolare l'amnistia è una causa
di estinzione del reato, con cui quindi lo Stato rinuncia all'applicazione
della pena, mentre l'indulto si limita a condonare, in toto o in parte, la pena
inflitta, senza quindi che vi sia la cancellazione del reato.
Dovrebbero essere provvedimenti di
natura eccezionale, adottati in via del tutto sporadica,
ma nella pratica presentano una frequenza allarmante. Un tempo l'amnistia era
quasi una prassi quando saliva al trono un nuovo re e aveva soprattutto lo
scopo di raccogliere i favori magari di certi oppositori politici che
languivano nelle prigioni del monarca; oggi - ed è solo lo stato italiano a
ricorrervi con frequenza - hanno lo scopo, unico, di diminuire la popolazione
carceraria.
In effetti da noi la detenzione, oltre a non
costituire un mezzo rieducativo, proprio perché l'istituto relativo è
drammaticamente carente, è diventata una grande ammucchiata, con detenuti
ammassati in celle in condizioni di notevole disagio. Mi par di capire che
questa volta il target potrebbe raggiungere, come per il passato, i 20.000
detenuti, e che ci si orienti sul termine dei quattro anni, escludendo i reati
più gravi, quali l'omicidio, il furto aggravato e lo stupro. Questa sarebbe la
risposta al diktat dell'Unione Europea che ci ha fissato come scadenza ultima
il 24 maggio 2014 per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri.
Come al solito
non si trova nulla di meglio, non si cerca cioè di porre mano ai problemi della
giustizia affinché, fra cinque o sei anni, non si debba ricorrere a una nuova
amnistia.
Ed è uno dei motivi per cui sono contrario,
poi ce ne sono altri.
Il primo è dato dal fatto che chi delinque tiene conto di questi interventi di clemenza,
essendo ripetitivi, e quindi la carcerazione gli sembra un rischio meno
frenante, anzi diventa più che accettabile.
Inoltre, in questo modo viene meno la
certezza della pena, elemento che sappiamo costituire un valido ed efficace
deterrente.
Certo che il sovraffollamento è dato
anche da leggi errate e da applicazioni delle normative forse eccessive se, a
quanto sembra, ben un terzo dei detenuti è rappresentato da quelli in attesa di
giudizio; se poi aggiungiamo la lunghezza dei procedimenti giudiziari
è possibile comprendere quanto la macchina della giustizia contribuisca a
questo stato di cose increscioso; inoltre nuovi istituti di pena son ben lungi
dall'entrare in funzione, anche se alcuni sono ultimati e inutilizzati da anni.
Insomma, come al
solito, nel nostro paese non cambia nulla, i problemi non si risolvono alla
radice, si trova più conveniente fare sconti di pena che educare il reo
affinché non commetta più il reato, sistema invece in vigore in molti stati
dell'Unione Europea con esiti ampiamente positivi.
Prepariamoci quindi a essere inondati
da un bel po' di carcerati, probabilmente non particolarmente pericolosi, ma
pur sempre delinquenti e, salvo rari casi, propensi a reiterare il reato.
E allora mi chiedo: valeva la pena di
arrestarli, di spendere un bel po' di denaro per processarli, altro denaro per ospitarli, sia pure in modo disagiato, nelle
patrie galere? Non sarebbe stato meglio per alcune tipologie di reati adottare misure
alternative alla carcerazione, magari impiegando i soggetti in servizi
socialmente utili?
Sono domande con risposte che non
verranno mai, proprio perché, come diceva Tancredi nel Gattopardo, se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna
che tutto cambi, e qui mi sentirei di aggiungere l'espressione di Don
Fabrizio, che ben esprime la situazione italiana: e dopo sarà diverso, ma peggiore.