Amarsi
tra professori e studentesse
di Ferdinando Camon
"La Stampa" 4 settembre 2013
Le famiglie pensano che nelle classi c'è di tutto,
tranne amori e innamoramenti: e invece è tutta una rete intricata di relazioni
felici o infelici, gelosie, sospiri, sogni. Sedendosi in cattedra, il
professore guarda la classe e pensa: Questa è innamorata di quello, che però
ama quell'altra, che di lui non vuol saperne. Per noi insegnanti, la cosa più
importante dell'anno è lo svolgimento del programma. Per gli studenti, la cosa
più importante è questa rete segreta di relazioni, come nascono, come c'intrecciano,
come cambiano. È questa rete che li segna per la vita. Non si pensa mai a
possibili relazioni tra studentesse e professori, perché, se ci
sono, devono restare virtuali. Ora si scopre che a Saluzzo un professore
di scuola media superiore aveva relazioni sessuali con un paio di studentesse.
E si sta cercando di ricostruire il passaggio dal rapporto didattico, tra
professore che consegna il mondo e studentesse che lo ricevono, a un rapporto
erotico, lui che le ama e loro che lo amano. Pare una
distanza infinita. Ma non lo è. Per la studentessa,
provare sentimenti di attrazione e attaccamento verso il professore è un
fenomeno di crescita. La studentessa che studia Dante o Petrarca o Leopardi li
studia di più se ama chi glieli insegna. Fin qui, credo che il lettore mi
segua. Dove temo che mi abbandoni è un passo dopo: quando dico che il rapporto
insegnante-allievo non è molto dissimile dal rapporto psicanalista-paziente.
Certo, l'allievo non è un paziente, ma neanche chi va in analisi lo è. È semplicemente uno che vuole capirsi e, se possibile,
cambiarsi, migliorarsi. Si crede sempre che questo risultato si ottenga con
l'intelligenza, col ragionamento, in un lavoro d'interpretazione in gara con
l'analista. Anche Freud, per molti anni, lo credeva. A un certo punto si
accorse che nelle analisi che lui conduceva saltava
fuori sempre una sorpresa: la donna in analisi s'innamorava di lui, cioè
sviluppava per lui quel sentimento di attrazione, sudditanza, sommissione,
amore che si chiama “transfert”. Una passione fortissima, che assorbe e annulla
ogni altro sentimento. Per anni Freud considerò il transfert
un ostacolo, una “resistenza”. Credeva che bisognasse distruggere la
resistenza. Sbagliava. La donna che s'innamora dell'analista non va
rimproverata o scacciata, e naturalmente non va sposata, ma studiata e capìta. L'innamoramento della paziente per l'analista è un
formidabile strumento di comprensione. Colui che va in
analisi ricrea nel transfert i sentimenti di dipendenza e di sudditanza (verso
la madre, il padre, il capo, il padrone…) che hanno segnato la sua vita, e
analizzando il transfert in realtà si analizza la sua vita. Se l'analista cede
all'innamoramento della paziente e la sposa, l'analisi muore. E così la
studentessa che s'innamora del professore: mostra un bisogno e una volontà di
crescita, di maturazione, di valorizzazione, è il suo modo di diventare donna,
e il professore dovrebbe guidare questa crescita, non approfittarne. C'è una
distanza tra la poltrona dell'analista e il lettino della paziente. Su quella
distanza poggia l'analisi. C'è una distanza tra banco e cattedra. Su quella
distanza poggia l'insegnamento. Se distruggi quella distanza, distruggi l'insegnamento. Le studentesse “devono”
innamorarsi del professore, il professore di cui le studentesse non s'innamorano è un cattivo professore, ma il professore non
deve innamorarsi delle studentesse, se s'innamora delle studentesse è un
cattivo professore.
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