Yara, cosa vuol dire uccidere una tredicenne
di Ferdinando
Camon
"Avvenire"
18 giugno 2014
Uccidere una ragazzina di 13 anni è il più completo dei delitti. La ragazzina
di 13 anni non è più una bambina ma non è ancora una donna, e tuttavia, guardandola,
vedi in lei la bambina che fu e la donna che sarà. Vedi tutta la sua vita, e
tutte le sue vite. Perdendola, si perde questa totalità.
Se osservate bene, nei thriller la suspense cresce se l'assassino sta per
uccidere una bambina. Perché è più delicata e indifesa, incarna l'affettuosità
della famiglia, la gioia di farne parte. La bambina (chiedo di esser capito
bene) è graziosa, la madre sceglie per lei vestiti che ne sottolineino la
grazia, l'amabilità. Nel bambino vedi o cerchi la forza, l'aspetto da
maschietto, da futuro uomo. Dai 13 anni in poi, nei maschietti-ragazzi la
grazia è quasi una stonatura. C'è un astronauta italiano che è stato nello
spazio, in una capsula, ed ha passeggiato nel vuoto due volte, e dice che a
meravigliarlo di più erano i colori, innaturalmente naturali, dei mari, e lo
scintillio delle capitali europee di notte: tutto questo, percepito nel
silenzio assoluto del vuoto, “mi dava” (dice l'astronauta) “la sensazione di
essere davanti alla bellezza assoluta, e quella sensazione mi faceva pensare a
una cosa”, che cosa?, “gli occhi delle mie figlie”. È detto perfettamente, e io
penso che le sue figlie abbiano sui tredici anni, o giù di lì. Non farebbe lo
stesso effetto se quell'astronauta-padre dicesse che pensava agli occhi dei
suoi figli. Nessuna offesa per i figli maschi, sia chiaro (io ho soltanto figli
maschi), ma una semplice distinzione, tra lo sguardo di “un” tredicenne e di
“una” tredicenne. Da quattro anni Yara ci guarda dai
giornali, dai telegiornali e dai siti con i suoi occhi di “una” tredicenne.
Vediamo il suo mondo, in quegli occhi. In quel volto. In quell'apparecchio per
denti. Nel suo vestitino da ginnasta. Nelle sue relazioni ci sono tanti mondi,
e chi ha ucciso lei ha ucciso il suo mondo e tutti i mondi con cui era in
relazione. Cioè: era, o poteva essere, o sarebbe stata in relazione. Perché 13
anni è l'età della scuola media e del cambiamento fisico, psichico, culturale,
sentimentale. Ci sono tante Yare future, in
quella Yara tredicenne. Chi l'ha uccisa, le ha uccise
tutte. A 13 anni imparano a memoria le poesie, e capiscono che le parole, oltre
ad avere un suono, hanno anche un peso. Si dice che un bambino impara a parlare
sull'anno e mezzo, ma non è vero, a quell'età balbetta, è nella scuola media
che parla, non ripete soltanto, ma inventa pure. Un poeta della nostra
avanguardia diceva che un suo figlio, da piccolo, mostrava meraviglia per la
gravità: se un oggetto gli sfuggiva di mano cadeva per terra, e lui si
chiedeva: perché? Grande domanda, alla Newton. Ma grandi scoperte anche i suoni
delle parole, le rime, i versi, la musica. Le poesie. I racconti. I sentimenti,
le fotografie. A 13 anni imparano a fotografare se stessi, anzi se stesse (lo
fanno di più le ragazze), a farsi i selfie. Poi
confrontano chi riesce meglio, chi è più bella. È una gara infinita. Che poi
finisce su Facebook. Chi ha ucciso Yara ha bloccato gli infiniti selfie
del suo futuro, ha stoppato la sua gara verso la vita. A 13 anni si hanno le
prime gelosie, le gelosie vengono prima degli amori. A 13 anni si hanno i primi
segreti, e hai un segreto quando nella vita vuoi riservare qualcosa per te, non
spartirla con gli altri, perché tu sei fatto per quella cosa e quella cosa è
fatta per te. Quando un ragazzo o una ragazza ha un segreto, comincia a
diventare un uomo o una donna, un rivale degli adulti. I segreti sono mondi o
universi. Chi ha ucciso Yara, ha ucciso i suoi
segreti, che adesso sono mondi distrutti e irrecuperabili. A 13 anni si ha un
buon rapporto con Dio, col quale ci s'addormenta bene e ci si sveglia bene. A
13 anni si è felici. Un tredicenne non è soltanto un bene, è una montagna di
beni che vale più di un impero. Chi ha ucciso Yara,
ci ha rovinato la vita.
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