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  Editoriali  »  Marine impazzito a Vicenza, di Ferdinando Camon 03/10/2014
 

Marine impazzito a Vicenza

di Ferdinando Camon

 

 

 

"La Stampa " 23 settembre 2014

 

 

 


Pare un soldato fallito o mal riuscito, invece è un soldato perfetto. Suppongo che adesso lo manderanno a casa o in qualche ospizio, come uno scarto. Invece è un capolavoro. L'esercito ha lavorato molto per costruirlo, e gl'istruttori che l'hanno costruito (così definitivo, così immodificabile) si stanno dando da fare per costruirne altri, tanti, tutti, come lui. 
È un soldato americano. Ha 30 anni, è di stanza alla caserma Éderle di Vicenza, ma ha casa a Gazzo Padovano. È tornato dall'Afghanistan da dodici mesi. L'altra notte è uscito di cervello, s'è arrampicato di corsa su un traliccio dell'alta tensione, e da lassù ha continuato a urlare a squarciagola il nome “Wolf” e altri nomi che non corrispondono a nessuno dei suoi attuali compagni. Dalla base sono accorsi i superiori. Lo invitavano a scendere, ma lui continuava a urlare nella sua lingua incomprensibile. Fino a quando qualcuno dei comandanti ha capito: e gli ha parlato usando la sua stessa lingua incomprensibile, che era la lingua cifrata delle operazioni militari. Nelle quali ogni soldato e ogni reparto e ogni luogo ricevono altri nomi, per ingannare il nemico. “Wolf” era il diretto superiore del nostro soldato impazzito, ma era anche il suo migliore amico, ed era stato ucciso in battaglia. Il cervello del soldato sopravvissuto è come una macchina fotografica che ha scattato quell'ultima foto (la morte dell'amico) poi è caduta a terra e s'è rotta, non farà mai più altre foto. Chiunque aprirà quella macchina fotografica e guarderà il rullino, vedrà sempre e soltanto quella foto. È la foto del passaggio dal di qua all'aldilà. Il soldato da prima linea è costruito su questo passaggio, deve attraversarlo, non averne paura, se ne ha paura è un pessimo soldato e scapperà. Tutta l'istruzione del soldato da prima linea lavora su questo doppio compito: prendere il ragazzotto borghese capitato in caserma, staccarlo dal mondo civile, madre famiglia ragazza amici, e calarlo nel mondo della guerra, dove deve uccidere se no sarà ucciso. Non deve avere riserve mentali, morali, psicologiche. Cioè: non deve passare di là parzialmente, restando un po' di qua. Magari per quando la guerra, o la sua guerra, sarà finita, e lo manderanno in congedo, e tornerà dalla fidanzata o moglie. Il ragazzotto borghese che diventa marine, se torna a casa vivo, parlerà sempre della sua guerra, tutto il resto della sua vita non solo non esiste più ma non è mai esistito. Se questa costruzione riesce, si è costruito il soldato. Se non riesce, la costruzione è fallita. Se è fallita, probabile che il soldato morirà.
La costruzione, per essere riuscita, dev'essere irreversibile. In questo soldato di Vicenza è irreversibile, dunque è riuscita. Istruito ad usare un linguaggio cifrato, non comprende più il linguaggio in chiaro del mondo borghese. Obbedisce ai comandanti militari, non ai membri della famiglia. La moglie è corsa sotto il traliccio e lo supplicava, ma lui neanche rispondeva. Poi sono arrivati i suoi superiori, e quando hanno usato la sua lingua, lui ha obbedito. Lui è ancora in prima linea, sotto il tiro del nemico. È ancora con Wolf. Sarà sempre con lui, non lo lascerà mai. Lo hanno rimandato alla base da dodici mesi, ma lui alla base non è mai rientrato. I marines hanno un motto per esprimere la condizione di colui che è passato di là e non riesce più a tornare di qua: “Una volta marine, per sempre marine”. Quando l'hanno creato, era un motto orgoglioso. Ma in casi come questo suona anche disperato.
 

 

www.ferdinandocamon.it

 

 

 
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