Come
passa in Germania "il passato che non passava"
di Ferdinando Camon
"La Stampa" 9 settembre 2015
L'accoglienza
(così massiccia, così vistosa) dei profughi da parte della cancelliera
Merkel chiude nella memoria degli europei l'epoca
della Germania crudele e ostile, costruita dalla seconda guerra mondiale. Per
chi ha la mia età, quella era la Germania, non sarebbe mai cambiata. Una
Germania che attuava un rifiuto degli altri fino a compiere il più grande
misfatto che la Storia abbia conosciuto. “Come faremo a liberarci di quel
passato?” si chiedevano gli intellettuali tedeschi (e austriaci). Nel dibattito
in Germania e in Austria quel passato era noto come “il passato che non passa”.
Nelle scuole per interi decenni non si parlava di quella colpa. Fu uno choc
quando arrivò in tv un film (grossolano ma non reticente), intitolato
“Olocausto” (termine sbagliato), in cui si vedeva l'incendio di case di ebrei
con gli ebrei dentro, ma ricordo che tra i soldati tedeschi che osservavano il
rogo correva questo dialogo: “Chi sono?”, “Spie”. Ancor oggi, nel far giustizia
per la strage di Stazzema, la Germania non collabora
con noi. Aspetta che gli imputati, molto vecchi, muoiano. E se muoiono, con
queste tremende accuse, sarà dannata la loro memoria? No, per niente. Una
docente di Letteratura italiana all'università di Potsdam, Isabella von Tretzskow, aveva adottato per il suo corso un libro in cui
raccontavo le stragi dei tedeschi nel Veneto. Il libro s'intitola La Vita Eternain italiano, Das Ewige Leben in tedesco. I
suoi studenti restano impressionati, vogliono saperne di più, cercano nelle
biblioteche e negli archivi, ma non trovano nulla. Come mai? Perché tutte le
prove contro il comandante tedesco erano state distrutte, in obbedienza a una
legge. Quel comandante era stato citato in processo da un pool di magistrati
(onore a loro), e Das Ewige
Leben era tra i documenti a carico, ma la notte
prima della prima udienza ebbe un infarto e morì. Le prove contro di lui furono
bruciate. Perché la Germania aveva varato una legge in base alla quale, se un
cittadino tedesco viene accusato di crimini che possono infangare la sua
memoria, ma muore prima che il processo sia giunto a condanna, ha diritto che
tutte le prove siano distrutte. Il passato che non passa passa
dichiarandolo mai esistito. Non amo la Germania. Ho un amico che dice:
“D'estate prendo l'auto e giro per l'Europa, se sento parlare tedesco
accelero”. Lo capisco. La lingua tedesca fu legata a eventi indelebili. A chi
l'ha sentita urlare negli ordini militari, fa ancora paura. Nei libri, nei
film, nei documentari, è la lingua del terrore. Pare inventata apposta per
”dare sfogo a una rabbia vecchia di secoli” (Primo Levi). Era la lingua della
superiorità, del disprezzo, della sopraffazione, della distruzione.
In pochi giorni, quell'immagine della Germania viene sostituita da un'altra
immagine: masse di uomini disperati, che una volta sarebbero stati chiamati Untermenschen, entrano nei confini di quello Stato, agitano
le mani in segno di giubilo, scandiscono il nome dello Stato e della cancelliera come santi e benefattori. E tutti vengono
accolti. Chi voleva opprimere i popoli che nella gerarchia dell'umanità erano
terzi, quarti, quinti, ora offre cibo e aiuto a uomini che sono gli ultimi. Chi
in nome di Nietzsche cancellava il Cristianesimo, ora in nome del Cristianesimo
cancella Nietzsche. Non è un caso che a guidare la storia tedesca verso questo
ricominciamento sia una donna. Nella sua bocca la lingua tedesca perde ogni
timbro militare. Mi gira per il cervello la frase di uno scrittore tedesco,
forse Goethe?, che dice: “La lingua tedesca e la lingua spagnola sono lingue
sublimi, la lingua italiana e la lingua francese sono lingue belle”. Penso che
si potrebbe tranquillamente affermare il contrario. Però sulla militarità della lingua tedesca è tempo di ricredersi.
Nella bocca della donna che ora guida la Germania la lingua tedesca ha un suono
mite, languido, gentile. È una lingua umana. Come tutte. Il passato che non
passava da 70 anni è passato in tre giorni.
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