Quando
la moglie è una "seconda scelta"
di Ferdinando Camon
"La Stampa" 13 novembre 2015
Gira per i cinema un film bellissimo, con un messaggio che ci turba tutti.
Questo: noi abbiamo sposato la donna che amavamo di più? O quella che amavamo
di più ci è sfuggita, e abbiamo ripiegato su una seconda scelta?
Nel film, la moglie è una seconda scelta. E la coppia è andata ormai avanti
nella vita, praticamente la sta chiudendo. Lui aveva amato prima un'altra
donna, e lei lo ha sempre saputo, ma non ne era disturbata. Quelle che hai
amato prima di conoscere me, non m'importano. Ma dopo che hai conosciuto me non
devi amare più nessuna. Io mi sento “la più amata” se ho questa sensazione: che
sono la donna della tua vita. Il film, con sapienza e delicatezza, ma anche con
crudeltà, distrugge questa convinzione: ci può essere stata una donna che tu
hai amato prima di me, che non esiste più ma che tuttavia resta più importante
di me. È vero, adesso nella tua vita non esisto che io, quella donna è morta da
45 anni. Eppure il legame che ti lega a lei è così forte che io non riuscirò
mai a costruirne un altro più forte. Tu sei mio marito, ma resti il suo uomo.
Io sono tua moglie, ma quella resta la tua donna.
Lo capiscono così, il messaggio del film, gli spettatori? Sentono che il film
racconta la loro storia? Certo, sì. Avere sposato una “seconda scelta” è un retropensiero di molti. E quasi mai disturba. Si convive
con quel retropensiero. Quando disturba, provoca le
grandi crisi che non hanno spiegazione, perfino gli omicidi coniugali: si
punisce il consorte perché non è la prima scelta. Vivendo con la seconda
scelta, si pensa sempre alla prima. Non la si cerca, non la si disturba, non la
s'incontra. Ma la si pensa. Col proposito, conscio o inconscio, di dirglielo,
prima o poi. Magari sul letto di morte. Dirle: «Tu eri la mia prima scelta» ti
fa chiudere la vita nella verità, ed è come se tutta la vita diventasse vera, e
si mondasse dell'eterna reticenza.
Un'amica mi ha raccontato che un giorno le ha telefonato un vecchio compagno
d'università: «Mi vieni a trovare? Vorrei tanto salutarti», «E dove sei?»,
«All'hospice, reparto terminali». Lei trema: sta
morendo? Non ne sapeva niente da anni, ma si sa che, andando avanti nella vita,
queste sorprese càpitano. Corre in auto. Stenta a
riconoscerlo, ma lui la saluta da lontano, e la chiama. Si siede accanto al
letto, gli prende la mano. Lui la ritira, è timido, è ridiventato bambino. «Non
indovini perché volevo vederti?». «No. Perché?». «Perché tu eri la mia prima
scelta». «Ma se stavi sempre con quella che poi hai sposato!». «Sì, perché tu
mi sembravi irraggiungibile». La mia amica apprende così che lui la spiava, se
la vedeva andare al cinema, poi tornava a vedersi lo stesso film da solo. Un
amore dantesco, da Vita Nova. Del quale sua moglie, probabilmente, non
sapeva nulla: la vita che il marito conduceva con lei era una vita completa,
non poteva sospettare che lui vivesse un'altra vita, una vita ideale, più
completa della vita reale. Nel film, dopo 45 anni che la prima donna è morta
(il titolo è proprio questo: «45 anni»), la moglie scopre delle diapositive,
nelle quali vede che la prima donna era incinta. È un trauma, per lei. Perché
lei, in 45 anni di matrimonio, non aveva mai avuto figli. Dunque “la prima scelta”
era andata più avanti della seconda. Non succede niente, dopo questa scoperta.
Alla fine, la “seconda scelta” piange in silenzio, su di sé, su di lui, su di
noi, su tutti.
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