"Land of mine": un lager per
i soldati tedeschi
di Ferdinando Camon
"Avvenire" 31
marzo 2016
Se i nemici m'han fatto del male, molto male, non è giusto, non è umano che
io poi, quando posso, gli faccia del male, molto male? Il tema “ripagare male
con male”, ingiustizia con ingiustizia, e dunque non “fare giustizia” ma “fare
vendetta”, è raccontato in questi giorni nei nostri cinema da un film violento,
insopportabile, crudele, ma bello e memorabile, che s'intitola “Land of mine”. Ridotto in una
riga, il problema è questo: i tedeschi ne han fatte di cotte e di crude per
tutta l'Europa, fino all'ultimo giorno di guerra, poniamo che alla fine noi ci
troviamo con gruppi di soldati tedeschi nostri prigionieri, possiamo fargliene
di cotte e di crude? Sì, risponde il film. Qual è il peggio che i tedeschi
hanno inflitto ai nemici? Il lager. I nemici venivano chiusi in lager,
sorvegliati a vista, costretti ai lavori forzati, senza mangiare un giorno,
due, tre, finché crollavano, picchiati senza giustificazione, trattati peggio
degli animali. Nel film succede lo stesso, ma a parti invertite I prigionieri
sono soldati tedeschi, i custodi sono soldati danesi, il lager è una spiaggia
della Danimarca, un'infinita distesa sabbiosa di una bellezza spettacolare, ma
infestata di mine. Pensando che gli alleati sarebbero sbarcati lì, i tedeschi
avevano sepolto sotto la sabbia 2,2 milioni di mine anti-uomo. Appena finita la
guerra, bisogna trovarle. E disinnescarle. Il rischio è che la mina ti esploda
fra le mani, mentre sviti la spoletta. Rischio altissimo. Nelle squadre di
sminatori è previsto un numero elevato di morti. Le squadre vanno continuamente
reintegrate. Dove trovare gli sminatori? Chi è giusto che rischi la pelle e ci
resti secco? La Danimarca rispose (il film è rigorosamente storico): colui
stesso che ha messo le mine. E cioè i tedeschi. I danesi han catturato gli
ultimi soldati tedeschi, e li obbligano a fare gli sminatori. Dunque, scatta il
“chi la fa l'aspetti”? No, perché questi soldatini prigionieri sono le ultime
leve richiamate da Hitler, hanno 13 o 14 anni, non sanno niente di mine, gli
viene spiegato qualcosa in fretta e furia, dopo di che, via al lavoro. Avanzano
strisciando con la pancia sulla sabbia. Tastano la sabbia con un'asticella, se
sentono la mina si fermano, la disseppelliscono con
le mani, e la disinnescano. Cioè: svitano la spoletta ruotandola in senso
antiorario, sotto la spoletta c'è l'innesco, lo tirano fuori con due dita. È
fatta. Ma non è detto. Una mina esplode lo stesso, e le braccia del soldatino
diventano due moncherini sfilacciati e sanguinolenti. Il film è scandito da
queste esplosioni impreviste e casuali. Le squadre sminatori perdono il 75% dei
componenti. È giustizia? Sì, risponde l'ufficiale danese, “ricordiamoci cosa ci
han fatto loro”. Ma loro chi? Questi ragazzini di 13-14 anni? No, i loro padri.
Ma allora i figli scontano le colpe dei padri? Sì, le facciamo pagare a chi
possiamo. È come se a New York Jihadi John avesse
lasciato un figlio minorenne, e noi mandassimo questo minorenne alla sedia
elettrica. L'aspetto più infame del lager era la repressione dei bisogni
fisici, anzitutto mangiare. In questo lager danese i soldatini tedeschi non
mangiano mai. Nel film non c'è la seguente battuta, ma è come se venisse
applicata: “Prima mangiano i danesi, poi i cani, e infine, se ne resta, i
tedeschi”. Nei lager tedeschi i prigionieri mangiavano erba. In questo lager
danese i soldati tedeschi prigionieri mangiano veleno per topi. È
l'inferno,homo homini lupus. Se non sopporti
l'inferno, come qui il sergente, non puoi vincerlo tu da solo. Non puoi salvare
tutti. Ma puoi salvare quei pochi su cui hai potere. Qui, il sergente salva
quel che resta della sua squadra di prigionieri, quattro su quattordici.
Facendoli scappare. Così tradisce la patria, disobbedendo ai suoi ordini.
Quando il Male è dappertutto, è importante che il Bene sia da qualche parte.
Magari in un solo uomo.
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