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Editoriali
» Bambini col panino umiliati a scuola, di Ferdinando Camon |
07/10/2016 |
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Bambini
col panino umiliati a scuola
di
Ferdinando Camon
Quotidiani
veneti del Gruppo "Espresso-Repubblica" 22
settembre 2016
Arriverà
presto anche da noi, la battaglia per il panino a scuola. Già
è in corso a Milano. Prepariamoci.
Si tratta di questo:
ci sono delle madri che mandano a scuola i figli mettendogli nello
zaino anche il pranzo, un sontuoso panino fatto di pane integrale
farcito per esempio di tonno di Sicilia e pomodorini freschi. Arriva
il momento del pranzo, i ragazzi vanno nella mensa, tutti i ragazzi,
naturalmente anche quelli che hanno il panino nello zaino. Si mettono
a mangiare insieme con tutti i compagni, che sono i loro amici, che
ricorderanno per tutta la vita. Ricorderanno le lezioni, i giochi, i
voti, le rivalità, i litigi. I momenti in classe e i momenti a
mensa. Perciò alla domanda: sono formativi, i momenti
trascorsi a mensa?, bisogna rispondere: molto, sono fondamentali,
come tutti i momenti vissuti a scuola. La scuola è un luogo
dove il bambino forma la sua vita condividendola con i coetanei. La
scolaresca di una classe è un unico corpo collettivo. Ma ecco
cosa succede, col bambino che sta mangiando il panino preparatogli
dalla mamma: arriva un’inserviente, lo prende per un braccio e
lo porta via, a mangiare da solo, separato da tutti, in un’auletta
o in uno sgabuzzino. Oppure nella classe, che è vuota perché
i compagni sono a mensa. È un gesto orrendo. Capace, da solo,
di distruggere tutto quello che di buono il bambino ha imparato dalla
scuola in tutto l’anno. La scuola, da luogo dove il piccolo
impara tante cose che vengono approvate, anzi ammirate, dal papà
e dalla mamma, diventa adesso un luogo dove il bambino patisce un
atto che fa arrabbiare il papà e la mamma, li fa discutere a
casa, li fa andare a protestare dal preside, che però non
molla ma insiste: il bambino che mangia un cibo suo non può
mangiarlo insieme con i compagni. A questo punto la vicenda si
complica, e se non sarò preciso chiedo scusa: c’è
stato il ricorso alle autorità giudiziarie, che hanno dato
ragione ai genitori, ma i presidi ribattono che quel verdetto vale
solo per quelli che l’han chiesto, non vale per gli altri
genitori, che dunque son tenuti a mandare i loro figli alla mensa, e
(ecco il punto delicatissimo, che forse contiene la spiegazione di
tutta la vicenda) a pagare la relativa retta. Che s’aggira sui
700 euro l’anno. Dunque le madri che mandano i figli a scuola
col panino nello zaino hanno prima disdetto la retta? Così
pare.
La difesa dei presidi: “Noi possiamo garantire
la sanità dei cibi della nostra mensa, non possiamo garantire
per i cibi che vengono da casa”, non sta in piedi. Sembra mossa
dalla preoccupazione per la salute dei bambini. Ma è una
preoccupazione superiore a quella dei genitori? Forse che una madre
non si preoccupa che il cibo che dà a suo figlio sia sano?
Questa fase, del bambino tirato fuori dal gruppo e guidato per mano
in un altro posto, a mangiare da solo, è la fase 2 di un
atteggiamento lungo, che ha avuto nella fase 1 un precedente più
orribile: quando c’era qualche bambino i cui genitori non erano
a posto con la retta e allora, nella distribuzione del pranzo, il
piatto di quel bambino veniva saltato. Tutti mangiavano, ma lui no,
restava col piatto vuoto, sotto gli sguardi dei compagni. A me piace
molto il cinema, ci vado ogni volta che posso. Non escludo che mi
càpiti di vedere, un domani, un film in cui la storia di un
bandito asociale comincia così: lui piccolino, in una mensa
scolastica, chino sul piatto vuoto, mentre tutti i suoi compagni
intorno mangiano e lo guardano.
www.ferdinandocamon.it
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