Elena
Ferrante sbagliato cercare chi è
di
Ferdinando Camon
"La
Stampa" 6 ottobre 2016
Un
buon consiglio da dare a uno scrittore esordiente è di
adottare un nome falso e nascondere quello vero per tutta la vita.
Un’opera non può circolare speditamente se deve
trascinarsi dietro l’autore. Solo le opere anonime arrivano in
fondo alla strada, le altre vengono continuamente bloccate da
parenti, conoscenti, amici e nemici. Finché si fa sera, e non
ripartono più.
L’ho scritto molti anni fa, quando
il caso di Elena Ferrante non era ancora nato. Lo penso ancor oggi, a
maggior ragione.
Tra l’uomo reale e l’uomo che
scrive libri non c’è identità. E non è
vero che se non conosci l’identità non puoi capire
quello che scrive. Noi leggiamo l’Iliade e
l’Odissea ma
non conosciamo l’identità di Omero, non sappiamo nemmeno
se è esistito, se ha scritto tutt’e due i libri o uno
solo o parti di uno. Non sappiamo in quale epoca è vissuto,
perché le forme costituzionali dell’Odissea sono
troppo diverse da quelle dell’Iliade,
e ci pare difficile che questa diversità sia maturata
nell’arco di una vita. Le opere di Elena Ferrante rivelano che
chi le ha scritte è una donna e conosce così bene
Napoli, da far supporre che ci sia nata e ci viva dentro. Sapere chi
è, cosa fa, dove fa la spesa, cosa compra, cosa mangia, se ha
un marito, tutto questo è sviante rispetto alla conoscenza
delle sue opere. Ci sono aneddoti su Leopardi che mi disturba
conoscere. Come non si lavava… Come risolveva i suoi problemi
sessuali… Come puzzava così tanto, che se andava a
trovar amici all’ora di pranzo quelli smettevano di mangiare.
La conoscenza di questi dettagli non mi serve per capire
l’Infinito o A
Silvia,
anzi m’intralcia. Voglio dire: se non sapessi quegli aneddoti,
quei versi li capirei meglio. Ingenuo come un bambino nel maneggiar
denaro era il Foscolo, ma quando leggo I
Sepolcri devo
sgombrar la mente da questo ricordo. Ottieri beveva i profumi di sua
moglie, perché era assuefatto all’alcol e i profumi
contengono alcol. Lo rivela il suo analista, Cesare Musatti. Non c’è
peggior vizio che quello di consultare un analista per scoprire la
vita segreta di uno scrittore. Non c’è identità
tra l’uomo che scrive e l’uomo che va in analisi. Se ci
fosse identità, non andrebbe in analisi. Dopo la Ciociara,
la vita di Moravia diventò un martirio. Come quella di Bassani
dopo i Finzi-Contini.
Come quella di Pasolini dopo i Ragazzi
di vita.
Lo scrittore che scrive sotto pseudonimo scrive in sincerità e
verità. È libero perché è sconosciuto.
Gli scrittori che scrivono col proprio nome e cognome sono schiavi
della famiglia, dei parenti, del quartiere, degli amici… Sono
ricattabili.
Sul contratto di un esordiente l’editore
dovrebbe chiedere: “Come vuoi essere chiamato?”, come si
fa col Papa appena eletto. Quello è il suo nome. L’altro
non c’è più.
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