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  Editoriali  »  Quo vadis Unione Europea, quo vadis democrazia, di Lorenzo Russo 08/01/2017
 

Quo vadis Unione Europea, quo vadis democrazia?

di Lorenzo Russo





Sorta con l'intenzione di creare una zona di pace e sviluppo economico tra i paesi del continente, dopo secoli di continue lotte e conflitti bellici che sfociarono nelle due tremende guerre mondiali, sembra oggi, dopo settant'anni di vita, aver raggiunto un notevole punto critico volto al suo disgregamento.

E questo non mi meraviglia, in quanto non fu mai un'unione vera, quella creata per migliorare le condizioni di vita dei suoi popoli, bensì un'unione al servizio del capitale e profitto.

Troppo occidentale, quindi, sulla scia dell'economia tipo „USA“ e meno europea, quella ispirata dal desiderio dei suoi popoli che, drammatizzati dalle vicende del passato, non altro vollero che convivere in pace e il progresso economico-sociale.

Un certo grado di benessere è stato pur raggiunto, ma non è quel benessere ispirato dalla coscienza cristiana, bensì dal sistema del profitto materiale, seguente una curva di sviluppo alternante tra un plus di breve durata e un minus sempre più difficile da superare e sempre a scapito del popolo minuto.

E non solo, il processo economico del mercato globale in atto comporta una riduzione del benessere nei paesi finora più evoluti e benestanti da una parte e solo un leggero superamento delle condizioni di vita nei paesi veramente poveri dall'altra.

Chi crede che così il mondo possa migliorare rimarrà deluso, nel constatare che i ricchi lo saranno sempre di più e gli altri sempre meno benestanti.

Nell'ambito della politica economica del profitto non c'è posto per chi vorrebbe che la ricchezza creata venga distribuita equamente.

Si nota già in Europa un peggioramento delle condizioni di vita dei popoli a causa della quasi permanente stagnazione dell'economia, che costringe gli stati a indebitarsi sempre di più e conseguentemente a ridurre i sostegni sociali.

Qui mi meraviglia che i beneficiari di prebende varie, stipendi superiori alle loro prestazioni e pensioni mai guadagnate non vogliano dar segno di possedere una coscienza civile riducendole a un livello comprensibile agli elettori.

Le origini di questo malgoverno risiedono nel non aver curato in tempo l'educazione morale e civile dei suoi membri.

Di fatto, negli ultimi decenni è sorto un accaparramento di posti e posizioni senza legittimazione formativa e caratteriale dei pretendenti.

La democrazia, fondata sui partiti, è colma di cicatrici causate dal loro volere -elevato a principio- dettare e governare a tutti i costi senza curarsi del bene dei cittadini.

Questo sistema di governo si è allargato fino a raggiungere i rappresentanti dell'Unione Europea, così che al cittadino non resta che arrangiarsi, diventando opportunista, menefreghista, populista, reazionario.

I pochi cittadini rimasti seri non sanno che pesci pigliare e si rassegnano.

Allora, Europa addio, stato nazionale addio, e quanto tempo rimarrà ancora fino al sorgere di una figura carismatica capace di raddrizzare la situazione nefasta alla sua, da sempre conosciuta, maniera, certo che il popolo disperato e avvilito lo seguirà ovunque egli voglia dirigerlo.

La storia si ripete, così, ancora una volta, perchè non altro è che il riflesso del comportamento, in questo caso ignorante, dell'uomo.

Ignoranza umana o volontà divina, dove è la differenza, quando l'uomo è un suo prodotto?

Gli idealisti rimarranno illusi, anzi dovranno comprendere di aver causato in parte la fine della prosperità, importando a braccia aperte i credenti di un altro credo e cultura, e questo perchè credono che sia richiesto dal loro Dio, che da sempre tace, tanto da far pensare che non esista.

Eppure esiste, ma in un'altra forma, in quella che assolve chiunque alla fine di questa vita, ma che in essa è opportuno essere più cauti e rigorosi nel sostenere verità generate da un ideale spirituale pur ancora riflettente la limitatezza umana, ebbene servendosi della ragione affinchè dal loro connubio diventi buono nella saggezza.

Troppe sono le difficoltà che impediscono la realizzazione di una Europa unita e pacifica.

In prima linea metto il sistema economico vigente, che non garantisce una giusta spartizione del reddito prodotto e conseguentemente una eliminazione della povertà.

In seconda linea, non credo che la corsa ad essere il migliore garantisca veramente una vita migliore.

Al contrario, chi va più piano ha più tempo di valutare le sue possibilità di raggiungere un successo beatificante e nello stesso tempo di godere il trascorrere del tempo impiegato, maturando in esso.

Il contrario si riscontra ogni giorno: un frenetico stile di vita che crea sconvolgimenti fisici e psichici, vizi di ogni sorta e danni all'ambiente.

Che l'uomo riesca a essere modesto e grato dopo aver sopportato grandi catastrofi, a volte da lui stesso causate, è conosciuto, ma che non riesca a conservare queste buone caratteristiche nel tempo è segno che non è ancora maturato.

Eppure e grazie alla sua storia millenaria cristiana, l'Unione Europea potrebbe emergere sugli altri blocchi continentali seguendo una politica socio economica progressista che elimini gli sprechi, i privilegi non meritati, i redditi non giustificati.

Nel ruolo di precursore di una nuova vita, essa dovrebbe operare per il beneficio di ogni membro, attraverso un programma intenso sia educativo sia cognitivo, capace di coinvolgere ogni cittadino.

La base, dettata dall'annunciazione cristiana, non le mancherebbe, dopo il superamento di lotte interne condotte dai suoi rappresentanti per mantenere il potere terreno su tutto e tutti con la forza e il terrore.

Ciò che le manca è il coraggio di tentare la sua realizzazione, perchè è ancora schiava del potere industriale e finanziario.

Non mi sfugge che con l'avvento della democrazia sono sorti due antipodi regolanti la convivenza sociale.

L'una, la secolare religiosa, e l'altra quella dello stato, preteso dai cittadini attraverso le lotte sociali dello scorso secolo con il conseguente allargamento e miglioramento dell'istruzione.

Oggi il cittadino pretende dallo stato di essere assistito e in caso di necessità mantenuto, per cui ha meno bisogno di rivolgersi a una comunità religiosa, fatto riscontrabile con la forte diminuzione dei cittadini alle funzioni religiose.

Oggi sono lo Stato e la Chiesa due entità indipendenti e regolanti ognuna per sè la società.

Tutto ciò non ha, a mio parere, nulla a che fare con il credo in un Dio.

Dio esiste per ognuno nella forma acquisita e non più in quella riportata da una istituzione terrena in suo nome.








 
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