Quisquiglie
di dicembre 2016
di
Renzo Montagnoli
Immaturità
Anche
il 2016 é giunto al termine e non sono mancati di certo i
problemi e certe perle talmente diffuse che quasi non fanno notizia.
Eppure ce n’è una che mi ha colpito e riguarda un
ministro del governo Gentiloni, quello della Pubblica Istruzione,
che, senza averne il titolo, ha dichiarato di essere laureato. Chi si
comporta così non rivela la sua congenita “pochezza”,
tanto più grave nella circostanza perché la signora (si
tratta infatti di una ministra) non ha nemmeno sostenuto l’esame
di maturità. Il dicastero è di estrema importanza e il
fatto che il suo titolare non sia in possesso di un adeguato titolo
di studio mi fa semplicemente inorridire. C’é da dire,
tuttavia, che non si tratta di un caso limite, ma è
semplicemente la riprova che i meriti per cui si viene scelti a
svolgere importanti funzioni sono ben altri, con tutte le conseguenze
negative del caso. Se vogliamo ampliare il discorso è
possibile rilevare come ormai da molti anni personaggi di modeste
capacità siano investite di cariche di rilevante importanza,
con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Non c’è
di peggio che mettere un mediocre in una posizione di rilievo perché
questo si convinca di essere un genio e faccia scempio di ogni
logica. Peraltro, il fenomeno è talmente diffuso che si
riscontra in tutti i campi e non solo in quello delle pubbliche
istituzioni. Addirittura ci sono autori letterari che senza alcun
merito sono considerati dei grandi narratori, imposti al pubblico dei
lettori dagli editori con un’accorta politica pubblicitaria,
grazie a recensioni di altri che dovrebbero avere competenza e invece
non l’hanno. A volte, leggendo certe prose, resto basito e non
tanto per il contenuto, quasi sempre banale, ma per il pessimo uso
della nostra lingua; eppure, sono autori che possono contare su
migliaia di affezionati che, senza accorgersene, peggiorano il già
loro modesto livello culturale. Se poi le cose non vanno bene, se il
paese traballa, se l’economia langue non ci si deve lamentare,
perché sempre si raccoglie ciò che si semina.
Lecito
licenziare per aumentare i profitti
Stiamo
pericolosamente tornando indietro, a un sistema capitalistico
selvaggio, in cui le due parti, impresa e lavoro, sono su piani ben
diversi, con il secondo totalmente subordinato al primo. Già
ci si era messo il governo Renzi , con la modifica dell’art. 18
dello Statuto dei lavoratori e ora ci pensa la Cassazione con una
sentenza che fa scalpore e che consente al datore di lavoro di
licenziare il dipendente per una migliore efficienza gestionale e per
aumentare così i profitti. In particolare il passaggio nel
dispositivo che farà discutere non poco é il seguente:
“ Ai
fini della legittimità del licenziamento individuale intimato
per giustificato motivo oggettivo l'andamento economico negativo
dell'azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di
lavoro debba necessariamente provare ed il giudice accertare, essendo
sufficiente che le ragioni inerenti all'attività produttiva ed
all'organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile
escludere quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero
ad un incremento della redditività dell'impresa, determinino
un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la
soppressione di una individuata posizione lavorativa; ove però
il licenziamento sia stato motivato richiamando l'esigenza di fare
fronte a situazioni economiche sfavorevoli ovvero a spese notevoli di
carattere straordinario ed in giudizio si accerti che la ragione
indicata non sussiste, il recesso può risultare ingiustificato
per una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità e
sulla pretestuosità della causale adottata dall'imprenditore".
Come
si può notare, al d là dello specifico caso su cui la
corte è stata chiamata a pronunciarsi, la motivazione è
assai vaga e la più ampia possibile, cosicchè il
lavoratore d’ora in poi non dovrà preoccuparsi solo se
l’azienda è in crisi, ma anche se procede
favorevolmente.
Insomma,
si finisce con il tutelare nel modo più ampio una sola parte,
in danno dell’altra, che peraltro notoriamente è sempre
la più debole.
Se
questo è un progresso, tanto valeva ritornare agli anni ‘50;
non credo, comunque, che il disporre a piacimento del destino degli
altri possa portare a risultati positivi, anzi prima o poi la
conflittualità finirà con l’esplodere, poiché
a nessuno piace essere trattato da schiavo.
La
banda del buco
Si
salverà il Monte dei Paschi, ma non sarà una soluzione
indolore, almeno per noi cittadini italiani, che vedremo aumentare il
già cospicuo debito pubblico. Indubbiamente c’erano da
tutelare i risparmiatori e i dipendenti, ma mi chiedo due cose:
1)
come sia potuta arrivare questa grande banca a una situazione di
quasi insolvenza;
2)
di chi siano le responsabilità, ma, soprattutto, una volta
avuta la risposta, se non vengano presi provvedimenti nei confronti
di questi banchieri che, a dir poco, devono essere considerati degli
incapaci.
Temo
che i quesiti resteranno aperti, perché, come è
abitudine da noi, chi ha avuto, ha avuto, e chi ha dato, ha dato e,
aggiungo, continuerà a dare.
Non
parliamo poi dei deboli controlli dell’Organo di Vigilanza e
della Consob, organismi che sembrano aver chiuso gli occhi su non
poche operazioni del Monte dei Paschi.
Ancora
una volta, quindi, chi paga sarà “pantalone”, ma
paga oggi, paga domani, fra non molto non gli si potrà scucire
più nulla, perché finirà per rimanere in
mutande.
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