HUMANAE
VITAE
Penso che sarà
capitato anche a voi: ci sono mattine in cui ci si sveglia con domande
che frullano nel cervello e non sempre riguardano argomenti piacevoli. Una
volta diamo la colpa a quello che si è mangiato a cena, un'altra alle notizie
del telegiornale, ma sta di fatto che sono il frutto di un lavoro della mente
proprio delle ore notturne.
Ieri, giornata di pioggia e anche
ventosa, nel buio della camera da letto, mi sono chiesto se sono
contento di come sta andando il mondo.
La risposta, scontata, è stata un
laconico no e senza esitazioni.
Inevitabile, poi, chiedermi il perché
e cercare di capire le origini di quello che non va.
La conclusione, ve l'anticipo, è che
non va proprio bene niente.
Ad esempio, viene da sorridere amaramente quando il Vaticano si sforza in modo così
perentorio di opporsi al disegno di legge sulle unioni civili, come se da
queste dipendesse il bene dell'umanità. Si dimentica, la Chiesa, o non vuole
parlarne, delle guerre che divampano un po' ovunque, del fatto che c'è chi
mangia troppo e c'è chi muore di fame, della folle corsa a consumare più del
necessario, con inevitabili ripercussioni sull'equilibrio climatico e sulla
salute degli esseri umani.
In confronto le unioni civili sono
un'inezia, anzi, l'opporsi ad esse è un mero pretesto
per eludere cose ben più importanti, che mettono in pericolo l'esistenza stessa
della vita su questo pianeta.
Tutto ha inizio in Inghilterra, a
metà del 1700, con la cosiddetta rivoluzione industriale. E' probabile che i
suoi fautori non immaginassero lo sfracello che tale processo avrebbe creato. Ma è proprio in
quel Paese e in quell'epoca che è cominciato un
autentico dramma, di cui noi siamo inconsapevoli attori.
All'inizio, con la produzione
industriale, grazie alle tecnologie, la disponibilità di beni aumenta in modo
sensibile, e a prezzi più ridotti, così che i bisogni possano
essere soddisfatti totalmente. Mi direte che questo è un bene e lo è per i
compratori. Ma per i venditori nasconde un'insidia: l'eccesso di produzione
deprime l'attività. Allora inizia una seconda fase, la più pericolosa: dato che
è inutile continuare a produrre un surplus di beni, se ne inventano di nuovi e
si fa anche in modo che servano a soddisfare bisogni indotti allo scopo.
Questa creazione di beni comporta
anche l'acquisizione di nuovi mercati, drogando di fatto
il commercio mondiale. Si avvia così la globalizzazione,
spacciata per la panacea di ogni male e come mezzo di riscatto dei paesi
poveri.
Ma non è così, perché, a differenza
del colonialismo che depredava i paesi conquistati, ora si assoggetta il
mercato di quei paesi a una nuova logica, imponendo modi di vivere, prodotti e
idee che sono proprie delle “opulente” civiltà occidentali.
Questo, in un'economia arcaica e di
sussistenza, provoca dei contraccolpi incredibili. Infatti, a fronte di un
incremento delle importazioni, rappresentate prevalentemente da beni
voluttuari, si registrano esportazioni dei loro prodotti alimentari (gli unici,
a parte le materie prime, tipici di queste economie), in quanto attirati dai
prezzi più remunerativi dei mercati internazionali. In tal modo, oltre ad
aumentare il debito nazionale, stante l'evidente disparità di prezzi fra le
merci importate ed esportate, si prosciugano le attività agricole e
artigianali, portando la fame, che, in Africa, ad esempio, non esisteva fino a
una sessantina di anni fa, tranne che in sporadici periodi di carestia.
Inoltre, l'imposizione di nuove logiche di vita, sradica abitudini e civiltà
millenarie, lasciando gente spaesata che, qualora abbia una reazione, la
riversa nell'unico bene rimasto proprio: la religione. E quando si rifugia nel
suo credo lo fa totalmente, affidando la ribellione al trascendentale. Così, al
fondamentalismo economico, si contrappone quello
religioso, dando luogo a sanguinosi conflitti che da un lato vedono impegnati
eserciti moderni e dall'altro guerriglieri e
terroristi.
E non è un caso se i grandi flussi
migratori dall'Africa all'Europa sono cominciati una ventina di anni fa:
l'applicazione integrale della globalizzazione risale infatti più o meno a quel periodo.
E così abbiamo cominciato ad
assistere a un fiume in piena di poveri diavoli che fuggono in parte la fame e
che in parte inseguono il desiderio di una nuova ricchezza, e che sono sempre
più frequentemente vittime
di gente senza scrupoli che di fatto li schiavizza, perché uno dei malanni del
grande occidente è il razzismo mascherato da paternalismo. Gli immigrati sono
mucche da mungere, da far lavorare dove non vogliono più operare gli evoluti
cittadini del benessere, pagandoli meno e magari nemmeno assicurandoli.
Ricordate a tal riguardo l'inchiesta dell'Espresso sui
raccoglitori di pomodori? Pensate sia cambiato qualche cosa? No, anzi, forse c'è stato un
peggioramento.
Qualcuno però potrebbe dire: è una
chiacchierata, questa, del fico secco, perché in fondo così noi occidentali
stiamo bene. Ma sarà vero? Perché,
allora, questo modo di concepire la società e l'economia non fa altro che
creare degli infelici? I dati sono
evidenti: le statistiche rivelano un vertiginoso aumento del consumo di
alcolici e di droghe.
Se la gente fosse soddisfatta, che bisogno avrebbe
di stordirsi?
Inoltre, ora ci si accorge che
l'eccessivo consumo di risorse e l'inquinamento stanno rendendo invivibile il pianeta. Potrebbe essere, questa, la buona
occasione per una riflessione generale. E invece non lo sarà. Si prenderanno
contromisure, ma sempre nell'ottica del profitto; forse si rabbercerà per un
po' la frattura con la natura, ma quella sorta di
smania che è l'industrialismo farà ripresentare il problema da lì a poco.
In fondo la soluzione non sarebbe
così difficile: basterebbe rinunciare al superfluo (e ce n'è tanto, troppo),
armonizzare l'aspetto economico, facendo ritrovare all'agricoltura il suo ruolo
primario, e questa bolla di illusorio benessere si sgonfierebbe senza lasciare
effetti negativi.
E allora, se non ci pensano i governi
al benessere dell'umanità, perché la
Chiesa non si fa portavoce di questa esigenza inderogabile?
Quindi la invito ad abbandonare le
lotte farneticanti nei confronti di un disegno di legge che non fa che prendere
atto di una realtà che esiste da tempo e di far sentire, invece, la sua voce in
difesa dell'umanità.
Ringrazio Massimo Fini
perché, in assenza del suo appassionato studio socio-economico, non mi sarebbe
stata possibile questa riflessione.
Renzo
Montagnoli