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  Editoriali  »  Memento Myanmar 02/11/2007
 

Memento Myanmar

                             di   Renzo Montagnoli

 

Ringrazio Giuseppe Iannozzi per aver diffuso subito la notizia dei massacri dei monaci in Myanmar (ex Birmania) e a corredo ci sono fotografie raccapriccianti.

In quel disgraziato paese c'è al potere un gruppo di militari che tratta il popolo né più né meno come faceva Pol Pot in Cambogia. Definire dittatura questo regime è un puro eufemismo, perché là il potere opprime, elimina, tortura, stupra, in una sorta di regno del terrore.

Pur comprendendo Amnesty International che ha richiesto urgentemente la sottoscrizione di un appello, resta il fatto che questo cadrà nel vuoto perché chi può non fa e non farà, visto che ha interessi economici laggiù.

Il signore della guerra americano, così solerte a inventare armi di distruzione di massa per invadere l'Iraq, evita perfino di riunire le altre superpotenze per un intervento armato. Già l'Iraq è l'Iraq con il suo petrolio, e invece Myanmar ha “solo” grandissime riserve di gas naturale che compagnie occidentali si apprestano a sfruttare, ovviamente d'intesa con i generali.

E allora il problema non è più la giunta militare, ma un capitalismo ottocentesco che per il profitto non solo è disposto a chiudere un occhio, ma anche ad avallare comportamenti criminali.

Credetemi, là i monaci sono sfilati per le strade per chiedere libertà e giustizia, ma non solo per il loro paese, anche per il mondo intero.

Il massacro, orribile, tragico, è la riprova che chi chiede diritti fondamentali ha trattamenti barbari, anche con il tacito assenso di chi potrebbe e non fa.

Ma che dovrebbe fare il regime imperante del neoliberismo, che è la negazione dell'umanità a vantaggio solo del profitto e del potere?

Ricordiamo, e pensiamo che in fondo Myanmar non è così lontano e che tutto il mondo è un po' Myanmar.

Firmiamo l'appello di Amnesty, dimostriamo almeno che abbiamo compreso il significato del sacrificio di questi monaci.

 

Memento Myanmar

di Renzo Montagnoli

 

 

Chiedevo la vita, la dignità di essere uomo,

ho camminato sull'asfalto intriso di sangue,

ho pregato per chiedere un po' d'umanità,

ho dormito su marciapiedi lordati

dall'ingiustizia, disseminati d'odio.

 

Ho rivolto gli occhi al cielo affinché

Lui guardasse quaggiù,

sentisse il dolore che sale da una terra

che piange solo lacrime di sale.

 

Ho implorato gli empi,

i massacratori di ogni giustizia,

perché anche per loro ora sono qua,

un fagotto di stracci impregnato

di sangue rappreso,

due spanne di terra a soffocare

il grido infinito di libertà.

 

Memento Myanmar,

nulla è inutile,

nemmeno la morte,

se può dare la vita.

 

 

 
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