La società del malessere
di Renzo Montagnoli
Ci sono giornate come questa, grigia,
quasi cupa, che mi inducono a riflettere, a osservarmi dentro e a guardare poi
il mondo che mi circonda.
E allora mi prende un'amarezza,
intensa, corrosiva, un senso di incapacità a non riuscire a vedere oltre il mio
orticello.
Non poco ha contribuito anche l'articolo di Milvia Comastri sulla nuova povertà in Italia. Si potrà
dire che sono cose risapute, ma evidentemente non le ho sedimentate, perché a
leggere quelle righe è riemerso prepotente un senso di rabbia e di dolore che
evidentemente prima era solo quiescente.
Viviamo in una società che ci viene
propinata come quella del benessere, ma in
effetti è pregna di malessere.
I fautori del neoliberismo non fanno
altro che invitare a consumare, ma in questo modo l'unico consumo è il nostro,
è la progressiva distruzione della coscienza, è la perdita di quell'immenso
sentimento che è la pietà, tanto che non l'abbiamo nemmeno più per noi stessi,
ridotti a succubi di una vita che soffoca l'anima.
L'esistenza è un percorso incerto e
anche breve e farlo insieme, in concordia, senza prevaricazioni, ma aiutandoci
è l'unico modo concreto per assaporare il senso della vita.
E invece l'unico scopo imposto è
l'incessante crescente guadagno e l'unica misura per dimostrare di essere, di
contare qualche cosa nella vita è il denaro, un bene senza nessun valore intrinseco,
una chimera come le teorie che lo osannano.
Questo comporta che, dato che in natura
nulla si crea e nulla si distrugge, si abbiano semplicemente spostamenti di
ricchezza, sicché ci sono tasche straripanti (poche) e altre (moltissime) che
si svuotano.
Aumentano le sacche di miseria, ma non
solo nei paesi sottosviluppati, ma anche in quelli che vengono definiti
economicamente avanzati.
Non c'è quindi da meravigliarsi se
nella nostra nazione si stia verificando un progressivo immiserimento dei ceti
più deboli, come appunto la maggior parte dei pensionati, i quali, non potendo
più contare su uno stato sociale sempre meno prodigo, devono far leva sul loro
modesto reddito, fisso, senza incrementi, eroso dall'inflazione.
In una competizione gladiatoria come
quella pretesa dal neoliberismo soccombono sempre prima i più malandati, quasi
carne destinata al macello.
Ma se le colpe sono insite nella classe
imprenditoriale, non ne sono esenti i politici di professione, che anzi hanno la
responsabilità di rappresentare tutti i cittadini e non solo le classi abbienti.
In questi giorni di campagna elettorale
ci sono vaghe e vane promesse, ci sono sproloqui irripetibili, ci sono
vaneggiamenti.
E' inutile nascondercelo: chi vincerà
verrà senz'altro meno al suo incarico, non guarderà gli italiani come un popolo
bisognoso di avere la fiducia nel futuro, perché chi ha immensi benefici nel
presente non può psicologicamente pensare ai giorni a venire e perché sa da
dove arriva la sua ricchezza, formata soprattutto dalla sofferenza di vivere di
chi non riesce a far quadrare il pranzo con la cena.
Chi non ha nulla non può nemmeno
rifugiarsi nella speranza di un aldilà, perché, per quanto la fede possa essere
grande, si incrinano le certezze in una chiesa cattolica che, se sempre nel
passato parlava bene, ma razzolava male, ora parla male e razzola peggio.
Il problema vero, però, è che è tutta
l'umanità ha un futuro prossimo incerto, in una corsa senza senso che brucia le
risorse e che ingenerando nuovi bisogni aumenta il numero dei poveri, cioè di
quelli che non possono permettersi nemmeno i beni di prima necessità.
Molti storici hanno definito il
Medioevo un secolo barbaro e io mi sono azzardato a prevedere a breve la sua
ricomparsa, ma mi sono sbagliato, perché siamo già nel Medioevo, con questa
oscena cannibalizzazione di
speranze, di certezze, con questa sistematica distruzione della voglia di
vivere.
Si parla tanto di progresso, ma io non
ne vedo nei vecchietti che s'accostano timorosi al banco del supermercato per
osservare la frutta o la carne e che comprano solo una mela, dopo aver fatto e
rifatto i conti.
Non avrei voluto votare a queste
elezioni, ma è per questi vecchietti, per questo crescente numero di emarginati
che andrò al seggio. Voterò per il meno
peggio con la speranza che possa contare qualche cosa e che il
futuro non sia solo nebbia nera.