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  Editoriali  »  La società del malessere 10/04/2008
 

                       La società del malessere

                                        di Renzo Montagnoli

 

Ci sono giornate come questa, grigia, quasi cupa, che mi inducono a riflettere, a osservarmi dentro e a guardare poi il mondo che mi circonda.

E allora mi prende un'amarezza, intensa, corrosiva, un senso di incapacità a non riuscire a vedere oltre il mio orticello.

Non poco ha contribuito anche l'articolo di Milvia Comastri sulla nuova povertà in Italia. Si potrà dire che sono cose risapute, ma evidentemente non le ho sedimentate, perché a leggere quelle righe è riemerso prepotente un senso di rabbia e di dolore che evidentemente prima era solo quiescente.

Viviamo in una società che ci viene propinata come quella del benessere, ma in effetti è pregna di malessere.

I fautori del neoliberismo non fanno altro che invitare a consumare, ma in questo modo l'unico consumo è il nostro, è la progressiva distruzione della coscienza, è la perdita di quell'immenso sentimento che è la pietà, tanto che non l'abbiamo nemmeno più per noi stessi, ridotti a succubi di una vita che soffoca l'anima.

L'esistenza è un percorso incerto e anche breve e farlo insieme, in concordia, senza prevaricazioni, ma aiutandoci è l'unico modo concreto per assaporare il senso della vita.

E invece l'unico scopo imposto è l'incessante crescente guadagno e l'unica misura per dimostrare di essere, di contare qualche cosa nella vita è il denaro, un bene senza nessun valore intrinseco, una chimera come le teorie che lo osannano.

Questo comporta che, dato che in natura nulla si crea e nulla si distrugge, si abbiano semplicemente spostamenti di ricchezza, sicché ci sono tasche straripanti (poche) e altre (moltissime) che si svuotano.

Aumentano le sacche di miseria, ma non solo nei paesi sottosviluppati, ma anche in quelli che vengono definiti economicamente avanzati.

Non c'è quindi da meravigliarsi se nella nostra nazione si stia verificando un progressivo immiserimento dei ceti più deboli, come appunto la maggior parte dei pensionati, i quali, non potendo più contare su uno stato sociale sempre meno prodigo, devono far leva sul loro modesto reddito, fisso, senza incrementi, eroso dall'inflazione.

In una competizione gladiatoria come quella pretesa dal neoliberismo soccombono sempre prima i più malandati, quasi carne destinata al macello.

Ma se le colpe sono insite nella classe imprenditoriale, non ne sono esenti i politici di professione, che anzi hanno la responsabilità di rappresentare tutti i cittadini e non solo le classi abbienti.

In questi giorni di campagna elettorale ci sono vaghe e vane promesse, ci sono sproloqui irripetibili, ci sono vaneggiamenti.

E' inutile nascondercelo: chi vincerà verrà senz'altro meno al suo incarico, non guarderà gli italiani come un popolo bisognoso di avere la fiducia nel futuro, perché chi ha immensi benefici nel presente non può psicologicamente pensare ai giorni a venire e perché sa da dove arriva la sua ricchezza, formata soprattutto dalla sofferenza di vivere di chi non riesce a far quadrare il pranzo con la cena.

Chi non ha nulla non può nemmeno rifugiarsi nella speranza di un aldilà, perché, per quanto la fede possa essere grande, si incrinano le certezze in una chiesa cattolica che, se sempre nel passato parlava bene, ma razzolava male, ora parla male e razzola peggio.

Il problema vero, però, è che è tutta l'umanità ha un futuro prossimo incerto, in una corsa senza senso che brucia le risorse e che ingenerando nuovi bisogni aumenta il numero dei poveri, cioè di quelli che non possono permettersi nemmeno i beni di prima necessità.

Molti storici hanno definito il Medioevo un secolo barbaro e io mi sono azzardato a prevedere a breve la sua ricomparsa, ma mi sono sbagliato, perché siamo già nel Medioevo, con questa oscena cannibalizzazione di speranze, di certezze, con questa sistematica distruzione della voglia di vivere.

Si parla tanto di progresso, ma io non ne vedo nei vecchietti che s'accostano timorosi al banco del supermercato per osservare la frutta o la carne e che comprano solo una mela, dopo aver fatto e rifatto i conti.

Non avrei voluto votare a queste elezioni, ma è per questi vecchietti, per questo crescente numero di emarginati che andrò al seggio. Voterò per il meno peggio con la speranza che possa contare qualche cosa e che il futuro non sia solo nebbia nera.    

 

 

 

 
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