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  Editoriali  »  Un altro mondo, di Renzo Montagnoli 24/05/2008
 

Un altro mondo

di Renzo Montagnoli

 

Sì, sarà stata un po' di stanchezza legata anche alla stagione, comunque sta di fatto che ho dovuto staccare la spina. Sono stati pochi giorni, comunque, ma se mi sono ripreso fisicamente, mi è rimasta dentro una tristezza che mi accompagna da tempo e che nemmeno la serenità, a cui sono faticosamente pervenuto, riesce a guarire.

E' un senso di vuoto quello che provo, quasi uno smarrimento, è come trovarmi in un posto sconosciuto e che non mi piace.

Mi guardo intorno e non vedo nulla che mi possa confortare; c'è un mondo che è troppo diverso dal mio, un circo equestre dove vedo solo gente che si spinge, che sbraita, che vuole prevalere a tutti i costi, dove regna incontrastata la menzogna. Se non fossi certo di essere vivo, mi sembrerebbe di stare all'inferno.

Non ci sono più valori, l'umanità, intesa come qualità, è pressoché assente, predominano i furbi, i violenti, le mezze calzette e in questo vortice di nefandezza mi sento sempre più spostato all'esterno, e già mi vedo ai margini , attonito, incapace di capire, in mezzo ai tanti diseredati di questo nostro disgraziato pianeta. A fianco mi trovo i bimbi affamati e sfruttati, le minoranze che ormai si vanno spegnendo e, anche se si lavano poco, sento la voglia di abbracciare gli zingari. Sono nomadi, anzi no lo erano, perché sono costretti a vivere in campi di sosta che ricordano più che altro i lager, non si fa nulla perché possano integrarsi e loro vivono alla giornata, spesso rubano anche, frequentemente rubano ad altri poveri.

E che dire di quelle badanti che stanno 24 ore su 24 accanto a dei vecchi inabili, spesso anche di mente, facendo un lavoro utile, ma ingrato e, soprattutto, poco retribuito. Sono donne allo sbando, senza frontiere, senza più la loro casa, lontane dagli affetti.

E le categorie di emarginati aumentano sempre più: dagli immigrati che sono preferiti clandestini per sfruttarli, ai pensionati, che non hanno più nulla da spendere nella loro vita, né denaro, né speranza.

Accendi la televisione e, a parte trasmissioni di incomprensibile stoltezza, ci sono solo tette e culi: anche lo spettatore normale viene emarginato.

Chi dirige le danze rassicura: mai c'è stato un mondo migliore e in questo gli credo, perché lui gioca a chemin de fer  con le nostre vite e tiene sempre il banco.

Nella moltitudine di diseredati ci sono sempre poi quelli che vogliono prevalere, che sognano di essere un giorno come quei signori che dettano le regole e per farlo sono disposti a tutto; in questo lager mondiale diventano i kapò e sono odiati dagli altri. Di questa insofferenza se ne accorgono e allora aumentano le frustate, facendo di tutto per farsi belli con i padroni. Si associano in veri e propri clan di mutuo soccorso, ma in cui serpeggia un'invidia perniciosa e corrosiva, si creano alleanze, che si ribaltano, in un inutile affanno, perché se i padroni sono mezze calzette, loro non sono nemmeno la suola delle scarpe. Non raggiungono i risultati sperati? Se la prendono con i diseredati, invece di guardarsi allo specchio e dirsi una volta per tutte: Ma chi te l'ha fatto fare di diventare così schifoso?

Mi rifugio nella lettura, nella poesia, ma tendo a chiudermi come un bozzolo. Di questo passo, alla mia età, l'alzheimer è in agguato e non aspetta altro che la mia voglia di vivere finisca del tutto.

Non voglio essere costretto a rifugiarmi in un mondo tutto mio, non voglio isolarmi per non sentire le sciocchezze squallide dei potenti e i pianti disperati dei miseri.

Non mi piace più sentir parlare di democrazia, di libertà, di uguaglianza, di fraternità: sono tutte e solo belle parole.

Ho deciso però che continuerò a resistere a questa globalizzazione e materializzazione dei sentimenti, in una battaglia dall'esito scontato, ma mi piace l'idea di soccombere credendo ancora in qualche cosa.  

 

 

 

 

 
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