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  Editoriali  »  8 marzo, festa della donna: un po' di storia, di Renzo Montagnoli 06/03/2010
 

8 marzo, festa della donna: un po' di storia

di Renzo Montagnoli

 

 

L'essere femmina ha da sempre costituito uno svantaggio rispetto al maschio. Generalmente meno robusta e quindi più facilmente sovrastabile, la donna si è sempre trovata in condizioni di inferiorità, anche a livello religioso.

Nell'Antico Testamento la cacciata dall'Eden deriva dall'avere Eva metaforicamente offerta la mela ad Adamo, trasgredendo così alle imposizioni di Dio, che a questo punto potrebbe considerarsi un maschilista. Molto più logicamente viene da pensare che le Sacre Scritture siano invece opera di mani e menti maschili, che così avrebbero creato un fondamento divino per la loro pretesa superiorità nei confronti dell'altro sesso.

Comunque la condizione della donna è sempre stata di inferiorità rispetto all'uomo, tranne nelle poche società matriarcali e anche lì, però, a vantaggio del maschio, che pur spossessato da prerogative di comando finiva con l'essere di fatto mantenuto senza sue fatiche, se non quelle di essere parte indispensabile per il ciclo riproduttivo.

La stessa visione della sessualità è sempre stata vista sotto una prospettiva maschilista, con l'uomo a cui dovevano essere riservati piaceri nell'atto amoroso negati invece alla femmina che, se li avesse provati, era da considerare una poco di buona nella migliore delle ipotesi, oppure posseduta dal demonio come più facilmente capitava nell'epoca della Controriforma. Questa reazione alla rivoluzione di Lutero introduce a un altro argomento, a quei tribunali dell'inquisizione che fiorirono e che spesso giudicarono femmine per il solo fatto di essere tali. In quelle circostanze

la tortura non aveva solo la funzione di portare alla confessione e magari all'uscita del diavolo dal corpo, ma nascostamente celavano anche lo sfogo delle pulsioni di monaci costretti alla castità. Le visioni di femmine discinte o nude, magari imploranti pietà, finiva con il portare a soddisfazioni sessuali più cerebrali che fisiche, in forza del senso di onnipotenza che ingigantiva nelle menti dei torturatori, ovviamente solo maschi.

Sarebbe tuttavia ingiusto attribuire colpe solo alla Chiesa cattolica, perché processi, patimenti e condanne al rogo furono proprie anche del protestantesimo, che, con il richiamo a costumi più morigerati, finiva con il considerare la femmina fonte di ogni peccato. Fu un periodo abbastanza lungo di caccia alle streghe, perché tali erano considerate le donne che aspiravano a un minimo di libertà.

Solo con l'illuminismo iniziò un periodo in cui la femmina, con non poche fatiche, riuscì ad avviare il suo riscatto. La donna che ospitava nei suoi salotti letterati e scienziati non venne più vista come un pericoloso nemico, anche se ancora non le venne riconosciuta quell'eguaglianza all'uomo che per legge naturale le spetta.

Nacque così il femminismo e già nel 1700 se ne fecero promotrici in Inghilterra alcune intellettuali e nell'ambito della rivoluzione francese i diritti delle donne furono invocati, peraltro invano, da Olympe de Gouges, con La dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, ma finì ghigliottinata.

Analoghi tentativi di emancipazione furono portati avanti successivamente in Gran Bretagna e in Prussia, ma inutilmente.

Chi invece diede un contributo fondamentale al femminismo fu un uomo, il socialista Charles Fourier, che nel 1808 ebbe a dire che l'ampliamento dei diritti delle donne era il principio basilare di ogni progresso sociale. Del resto si deve riconoscere proprio al movimento socialista una funzione essenziale alla realizzazione di uno stato più libero ed equo, anche se poi nella sostanza non di rado l'applicazione delle idee diede risultati insufficienti o addirittura opposti ai propositi.

La condizione dell'individuo nel 1800 era assai precaria, tranne per la nobiltà, il clero e la borghesia. Operai e contadini erano paragonabili ai servi della gleba e fu dunque una dura lotta di riscatto. In questo contesto le donne si trovarono a combattere su due fronti: di fianco agli uomini per una maggiore libertà ed equità, e contro gli uomini per difendere i loro sacrosanti diritti naturali.

Ma dovranno passare ancora molti anni per arrivare alla festa della donna, concepita durante la seconda conferenza internazionale delle donne socialiste tenutasi a Copenaghen nel 1910. Si propose, in quella sede, di istituire una giornata dedicata ai diritti rivendicati dalle donne. Inizialmente fu fissata al 19 manzo, perché in quel giorno e mese del 1848 il re di Prussia, pressato dai rivoluzionari, fece molte promesse, poi dimenticate, fra le quali il riconoscimento del diritto di voto alle donne. Questa  data non fu mai rigorosamente osservata, nel senso che variò negli anni, fino a essere definitivamente fissata all'8 di marzo a partire dal 1946, almeno in Italia.

Si dovrà arrivare però al 1975 perché, nell'ambito dell'Anno internazionale delle donne, indetto dalle Nazioni Unite, le stesse sancissero l'8 marzo di ogni anno come Giornata internazionale della Donna.

Da allora a oggi questa ricorrenza si è imbastardita, come tante altre, diventando soprattutto una ghiotta occasione commerciale. Quanto alla parità dei diritti delle donne è presente in quasi tutte le costituzioni, ma poi all'atto pratico non è così. La donna continua a essere il soggetto debole, meno che in passato, ma ancora debole e con i tempi che corrono in cui anche gli uomini che non detengono le leve del potere vedono sminuiti i loro diritti sembra purtroppo allontanarsi sempre di più quel sogno di totale emancipazione.

Si dovrà lottare ancora, uomini e donne del popolo uniti per difendere la propria libertà, ma anche per riconoscere a questi esseri deboli, ma di cui non dobbiamo vergognarci di mostrare di averne bisogno, quella dignità di sedere accanto a noi e di procedere affiancati, con gli stessi passi, lungo la difficile strada della vita.

     

 

 
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