8 marzo, festa della donna: un po' di storia
di Renzo Montagnoli
L'essere femmina ha da sempre costituito uno svantaggio rispetto
al maschio. Generalmente meno robusta e quindi più facilmente sovrastabile, la
donna si è sempre trovata in condizioni di inferiorità, anche a livello
religioso.
Nell'Antico Testamento la cacciata dall'Eden deriva dall'avere Eva
metaforicamente offerta la mela ad Adamo, trasgredendo così alle imposizioni di
Dio, che a questo punto potrebbe considerarsi un maschilista. Molto più
logicamente viene da pensare che le Sacre Scritture siano invece opera di mani
e menti maschili, che così avrebbero creato un fondamento divino per la loro
pretesa superiorità nei confronti dell'altro sesso.
Comunque la condizione della donna è sempre stata di inferiorità
rispetto all'uomo, tranne nelle poche società matriarcali e anche lì, però, a
vantaggio del maschio, che pur spossessato da prerogative di comando finiva con
l'essere di fatto mantenuto senza sue fatiche, se non quelle di essere parte
indispensabile per il ciclo riproduttivo.
La stessa visione della sessualità è sempre stata vista sotto una
prospettiva maschilista, con l'uomo a cui dovevano essere riservati piaceri
nell'atto amoroso negati invece alla femmina che, se li avesse provati, era da
considerare una poco di buona nella migliore delle ipotesi, oppure posseduta
dal demonio come più facilmente capitava nell'epoca della Controriforma. Questa
reazione alla rivoluzione di Lutero introduce a un altro argomento, a quei
tribunali dell'inquisizione che fiorirono e che spesso giudicarono femmine per
il solo fatto di essere tali. In quelle circostanze
la tortura non aveva solo la funzione di portare alla
confessione e magari all'uscita del diavolo dal corpo, ma nascostamente
celavano anche lo sfogo delle pulsioni di monaci costretti alla castità. Le
visioni di femmine discinte o nude, magari imploranti pietà, finiva con il
portare a soddisfazioni sessuali più cerebrali che fisiche, in forza del senso
di onnipotenza che ingigantiva nelle menti dei torturatori, ovviamente solo maschi.
Sarebbe tuttavia ingiusto attribuire colpe solo alla Chiesa
cattolica, perché processi, patimenti e condanne al rogo furono proprie anche
del protestantesimo, che, con il richiamo a costumi più morigerati, finiva con
il considerare la femmina fonte di ogni peccato. Fu un periodo abbastanza lungo
di caccia alle streghe, perché tali erano considerate le donne che aspiravano a
un minimo di libertà.
Solo con l'illuminismo iniziò un periodo in cui la femmina, con
non poche fatiche, riuscì ad avviare il suo riscatto. La donna che ospitava nei
suoi salotti letterati e scienziati non venne più vista come un pericoloso nemico,
anche se ancora non le venne riconosciuta quell'eguaglianza all'uomo che per
legge naturale le spetta.
Nacque così il femminismo e già nel 1700 se ne fecero promotrici
in Inghilterra alcune intellettuali e nell'ambito della rivoluzione francese i
diritti delle donne furono invocati, peraltro invano, da Olympe
de Gouges, con
La dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, ma finì
ghigliottinata.
Analoghi tentativi di emancipazione furono portati avanti
successivamente in Gran Bretagna e in Prussia, ma inutilmente.
Chi invece diede un contributo fondamentale al femminismo fu un
uomo, il socialista Charles Fourier, che nel 1808 ebbe a dire che l'ampliamento
dei diritti delle donne era il principio basilare di ogni progresso sociale.
Del resto si deve riconoscere proprio al movimento socialista una funzione
essenziale alla realizzazione di uno stato più libero ed equo, anche se poi
nella sostanza non di rado l'applicazione delle idee diede risultati
insufficienti o addirittura opposti ai propositi.
La condizione dell'individuo nel 1800 era assai precaria, tranne
per la nobiltà, il clero e la borghesia. Operai e contadini erano paragonabili
ai servi della gleba e fu dunque una dura lotta di riscatto. In questo contesto
le donne si trovarono a combattere su due fronti: di fianco agli uomini per una
maggiore libertà ed equità, e contro gli uomini per difendere i loro sacrosanti
diritti naturali.
Ma dovranno passare ancora molti anni per arrivare alla festa
della donna, concepita durante la seconda conferenza internazionale delle donne
socialiste tenutasi a Copenaghen nel 1910. Si propose, in quella sede, di
istituire una giornata dedicata ai diritti rivendicati dalle donne.
Inizialmente fu fissata al 19 manzo, perché in quel
giorno e mese del 1848 il re di Prussia, pressato dai rivoluzionari, fece molte
promesse, poi dimenticate, fra le quali il riconoscimento del diritto di voto
alle donne. Questa data
non fu mai rigorosamente osservata, nel senso che variò negli anni, fino a
essere definitivamente fissata all'8 di marzo a partire dal 1946, almeno in
Italia.
Si dovrà arrivare però al 1975 perché, nell'ambito dell'Anno
internazionale delle donne, indetto dalle Nazioni Unite, le
stesse sancissero l'8 marzo di ogni anno come Giornata internazionale
della Donna.
Da allora a oggi questa ricorrenza si è imbastardita, come tante
altre, diventando soprattutto una ghiotta occasione commerciale. Quanto alla
parità dei diritti delle donne è presente in quasi tutte le costituzioni, ma
poi all'atto pratico non è così. La donna continua a essere il soggetto debole,
meno che in passato, ma ancora debole e con i tempi
che corrono in cui anche gli uomini che non detengono le leve del potere vedono
sminuiti i loro diritti sembra purtroppo allontanarsi sempre di più quel sogno
di totale emancipazione.
Si dovrà lottare ancora, uomini e donne del popolo uniti per
difendere la propria libertà, ma anche per riconoscere a questi esseri deboli,
ma di cui non dobbiamo vergognarci di mostrare di averne bisogno, quella dignità
di sedere accanto a noi e di procedere affiancati, con gli stessi passi, lungo
la difficile strada della vita.