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  Editoriali  »  Recensire non è facile, di Renzo Montagnoli 27/07/2010
 

Recensire non è facile

di Renzo Montagnoli

 

 

 

Quando leggo un'opera che mi piace amo recensirla, cioè spiegare i motivi per i quali, secondo me, è opportuno inserirla nei libri da acquistare per una successiva lettura.

Credo, anzi ne sono certo, di essere indipendente, cioè non direttamente o indirettamente legato a editori che possano condizionare il mio giudizio e questo, con i tempi che corrono, non è poco.

Quindi la mia valutazione sarà sempre serena, indipendentemente anche dalla eventuale maggiore o minore simpatia nei confronti dell'autore.

Ciò che leggo è l'opera ed è questa pertanto l'oggetto della disamina.

Non pensiate che di tutti i libri scriva la recensione, perché questo avviene solo per quelli il cui giudizio è positivo.

Ci sono periodi più fortunati in cui mi capitano per le mani testi di buon valore, quando non sono addirittura di particolare pregio, e altri invece meno positivi, ma il tempo che viene dedicato a ogni lavoro è il medesimo. E' quindi con rammarico che mi corre l'obbligo di rilevare che dall'inizio della corrente estate pochi sono stati i libri buoni, mentre parecchi sono risultati quelli che, per svariati motivi, non sono risultati meritevoli di una recensione.

C'è un editore che, quando gli spiego i motivi per cui un libro non mi è piaciuto, mette le mani avanti, dicendomi che è la mia opinione.

Non c'è dubbio che è la mia opinione, ma vorrei che comprendeste che l'aspetto soggettivo è solo uno degli elementi che concorrono a formare il giudizio e che anzi, quando gli altri sono positivi, anche se il testo non è stato di mio gradimento, la valutazione c'è sempre ed è positiva.

Ora credo che nessuno abbia di che obbiettare se nella formazione del giudizio rientrano parametri assolutamente oggettivi come il corretto uso della lingua italiana, l'equilibrio espositivo, la chiarezza del concetto espresso.

Eppure tanti libri difettano proprio in uno o più di questi elementi.

Testi infarciti da inutili anglicismi, periodi che zoppicano, quando addirittura non reggono, a scuola verrebbero tranquillamente bocciati, e così avviene anche da parte mia quando incontro pagine che sembrano scritte più da un extracomunitario che da un italiano.

Un altro parametro indispensabile è l'equilibrio e di ciò ci si accorge soprattutto quando leggendo un libro si incontra un'aritmia non certamente voluta, ma per un difetto stilistico dell'autore. Così accade che ci siano capitoli che corrono velocissimi, quando sarebbe invece opportuno per lo svolgimento della trama che procedessero più lentamente; ovviamente ci si può imbattere anche nel caso contrario. Che impressione farebbe una marcia funebre suonata a un ritmo vertiginoso? Ecco, questo è un esempio di quel che a volte accade in certi romanzi.

Un altro elemento spiacevole è quando ci si accorge che l'autore non ha le idee ben chiare, non si sa insomma dove voglia andare a parare, e così ci sono imprevedibili – e illogici – colpi di scena, che lasciano senza risposte tante domande.

La chiarezza è una condizione imprescindibile, perché, se chi scrive non sa esattamente dove vuole arrivare, il lettore comprenderà poco, oppure niente.

Mi si obbietta: è difficile scrivere.

E nessuno ha mai detto che sia facile, ma allora occorre un po' di umiltà, cioè comprendere le proprie possibilità e i propri limiti. E propedeutica a ciò è la lettura: si devono leggere e approfondire i libri di autori noti per la loro qualità.

Infine, la giovane età di chi scrive raramente è indice di genialità, ma con ogni probabilità di immaturità culturale,il che si riflette poi nel testo, in cui è lancinante l'assenza di esperienza. Oggi pubblicano a 18 anni, a 16 anni anche, ma per lo più è robetta, quasi temini; il nome stampato illude l'autore di essere un grande e invece, tranne rare eccezioni, finirà con il restare nel tempo uno scrittore ragazzino.   

 

 

 

 

 

 

 
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