La
letteratura che non c'è e la poca che c'è
La critica letteraria vive la sua crisi in silenzio o quasi
Spazzatura editoriale a non finire
da Antonio Moresco a Silvia Avallone
La dura legge del marketing e quella delle mafiette
editoriali
di
Giuseppe Iannozzi
Non sono per un ritorno al Classicismo antico, ma per il bello scrivere sì. Credo si debba
coniugare la sostanza e lo stile, cosa che riesce sempre a meno scrittori, il
più delle volte incensati in maniera indebita. In ogni caso il tempo sarà il
miglior giudice: ha già spazzato via sédicenti autori che soli dieci anni or
sono pareva dovessero vincere il Nobel. Le mode, in ogni campo, nascono in
fretta e muoiono altrettanto in fretta.
Uno
scrittore, che come pochi ha saputo coniugare sostanza e stile, è stato Gesualdo Bufalino. Ma ci sono anche Sebastiano Vassalli, Umberto Eco, Aldo Busi, Alberto Ongaro…
Non sono molti in verità gli scrittori che sanno scrivere sul serio.
Tuttavia
credo che troppi oggigiorno scrivono per non lavorare sul serio; e con questo
intendo dire che non hanno la voglia di spaccarsi la schiena in fabbrica, anche
se è il solo lavoro che saprebbero fare con onestà.
Non penso affatto che la soluzione allo stato caotico
in cui versa l'editoria moderna sia quella di cercare dei novelli Manzoni.
Tuttavia rimango a dir poco schifato quando vedo un Tiziano Scarpa che con un suo
pastrocchio si ubriaca con lo Strega;
e sono non meno scandalizzato da certi libelli portati sul mercato e che sono a
solo danno della narrativa di genere; Valerio
Evangelisti, con le sue ultime infelici produzioni – spacciate
per romanzi storici – sta mandando a gambe all'aria l'idea stessa di romanzo
storico; lacché o mascotte che lo si voglia
considerare, per nostra fortuna Antonio
Moresco se lo filano solo quattro deficienti delle solite mafiette letterarie, non vale quasi la pena parlarne, non
fosse per il fatto che viene pubblicato da un editore come Mondadori e che viene pure pagato per
le sue seghe, perché la scrittura di Moresco
è onanismo e null'altro, seghe su seghe, par di leggere i diari di un vecchio
maniaco sessuale oramai morto di dentro, per merito dell'andropausa.
La
critica non c'è.
Il problema l'ha rivelato anche Giulio
Ferroni in “Scritture a perdere”. Un
problema che avevo rivelato anch'io, e molti altri come me, già parecchio tempo
fa. Non c'è critica perché “la consuetudine è che oggi gli scrittori
recensiscono gli scrittori” per cui “è chiaro che Tizio parlerà bene di Caio e
che Caio parlerà a sua volta bene di Tizio per ripagarlo delle belle ma
immeritate critiche positive”. Questa è mafia, non c'è santo che tenga.
Provocatoriamente
ho detto che “Acciaio” di Silvia Avallone è Letteratura. Non lo nego, è
Letteratura ma soltanto perché accoglie come in un manga tutti i clichè più stupidi
e strappalacrime della italianità; il fatto che
l'autrice sia riuscita a raccogliere tutti gli stereotipi possibili e
immaginabili in un libro è cosa che ha del drammatico, e che ciò non ostante è
specchio del momento storico. Incredibile poi come in Rizzoli non un editor,
dopo ben tredici edizioni del romanzo, non abbia nemmeno tentato di mettere una
pezza ai tanti anacronismi, agli errori macroscopici spazio-temporali che
dovrebbero risaltare all'occhio anche del più ignorante dei lettori. E' una accozzaglia di clichè e di
mille altri orrori; eppure vende, vende in quanto prodotto, grazie al marketing
che se non è riuscito a consegnare la bottiglia del liquore all'autrice è
comunque riuscito a proiettarla nelle classifiche di vendita. Sicuramente
rispecchia l'Italia “Acciaio”; rispecchia gli italiani, la loro profonda
ignoranza, una ignoranza ricercata e voluta e pagata a
caro prezzo anche.
Gli spot griffati per Silvia Avallone non sono mancati. Dacia Maraini spara un giudizio sulla Avallone che puzza di
carogna marcia da qui all'eternità: “E' intelligente e ben scritto. Un successo
meritato: Silvia Avallone riesce a fare uno spaccato
sulla vita del nuovo proletariato. Le lo racconta molto bene. Mi ha fatto a
pensare a scrittori toscani come Carlo Cassola e Vasco Pratolini.
E' una scrittrice moderna, ma si sentono quelle radici. Gli
editori sostengono il libro, ma la promozione serve solo se hanno qualità”.
Dacia Maraini, che
appartiene anima e corpo alla scuderia Rizzoli,
la stessa della giovane Silvia Avallone, si prodiga in uno spot
pubblicitario allarmante tirando in ballo Cassola e Pratolini,
due giganti della Letteratura, per dire di un libraccio qual è “Acciaio”; la Maraini il libro della
Avallone
non l'ha letto di certo, altrimenti le sarebbero subito saltati agli occhi gli
errori di cui è infarcito, tranne nel caso abbia messo per chissà quale non
troppa misteriosa ragione il cervello in acqua. Tuttalpiù
la brava Dacia Maraini
avrà letto una cartella stampa passatale dall'editore con in
allegato il perentorio invito a spendere, senza lesinare, belle parole per la
loro giovane autrice.
Non
mi interessa che i miei giudizi vengano considerati con il silenzio. Non è
importante. Meglio per me anzi, così non sono costretto a controbattere e ad
annoiarmi per spiegare e rispiegare ai deficienti di turno che o ci fanno o ci
sono. In fondo fanno solo il mio gioco. Non ribattono ai miei giudizi, meglio,
molto meglio. Il mio giudizio continuerà a pesare come un macigno, circondato
dal silenzio verrà elevato dai miei silenziosi detrattori a verità assoluta. Più tacciono e più
le mie opinioni si fanno verità inconfutabili. Se poi di tanto in tanto
qualcuno muove un assalto alla baionetta congiunto, mi annoierò un po', sarò
forse costretto ad ammorbidire alcune mie posizioni.
Scrittori
che recensiscono scrittori. Critici che recensiscono critici. Per forza che la
critica, quella seria, non c'è più. E' tutto una mano lava l'altra. Una mafia
bell'e buona. Ed io non ci sto.
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