I 150
anni dall'Unità d'Italia nel disinteresse generale
di Renzo Montagnoli
Quest'anno ricorre il 150° anniversario dell'Unità d'Italia, un
evento talmente sentito che perfino la macchina statale dei festeggiamenti si è
inceppata. Per gli italiani, o comunque per la maggior parte di essi, c'è un
totale disinteresse, impegnati come sono a far quadrare i bilanci o a sbraitare
per l'ultimo scandalo del presidente del consiglio.
In qualsiasi altro stato si registrerebbe, per una simile ricorrenza,
una forte partecipazione, ma nel nostro, più un'espressione geografica che il
risultato di una salda identità nazionale, tutto langue, mentre la conoscenza
del passato e quindi delle origini è sempre meno diffusa e, spesso, incompleta
o errata.
E' come se una famiglia fosse costituita da tante persone che
abitano sotto lo stesso tetto e che ignorano non solo di essere fratelli, ma
chi siano i loro genitori e i loro avi.
Comincio con il precisare che, a differenza di quanto sempre
insegnato a scuola, la storia è stata scritta nell'esclusivo interesse di Casa
Savoia e quindi, inevitabilmente, presenta omissioni e spesso menzogne.
L'Unita d'Italia non fu il frutto di una forte volontà popolare di
quegli italiani che vivevano nei numerosi stati in cui era frazionata la
penisola e anche là dove vi furono fenomeni di massa questi derivarono da
ingannevoli promesse di riscatto, di maggior libertà e di più idonee condizioni
di vita.
Invece, Cavour e Vittorio Emanuele II videro l'opportunità
d'ingrandire il regno di Piemonte, il cui re, il re galantuomo, ma non lo era, nel 1861 non voleva assolutamente che il nuovo stato
si chiamasse Regno d'Italia, ma insisteva per Regno di Piemonte. Poi, l'abilità
diplomatica del suo primo ministro fece sì che per la prima volta comparisse
ufficialmente il nome Italia.
Qualche consigliere, più saggio e più lungimirante, propose la
costituzione di una monarchia costituita da stati federati, ma questa logica
soluzione fu decisamente rifiutata da un monarca ben poco illuminato come Vittorio
Emanuele II.
Si era da poco conclusa la spedizione dei Mille, con un Garibaldi
acciaccato dall'artrite, ma vittorioso, grazie alla collaborazione della marina
inglese e alla corruzione a opera di Cavour di
ministri e generali del Regno delle Due Sicilie.
Ai meridionali fu promessa la divisione del latifondo, con grande
entusiasmo dei poveri contadini, ma sappiamo come andò a finire e i fatti di Bronte sono una macchia indelebile per Bixio
e Garibaldi, che a parole era a favore delle classi più deboli, ma che poi nei
fatti stava con i potenti.
Il cosiddetto fenomeno del brigantaggio fu solo in parte
imputabile a dei banditi, perché in effetti fu una
rivolta all'esosità del fisco, al servizio militare obbligatorio per la durata
di cinque anni che toglieva alle famiglie le braccia più giovani e robuste, le
uniche che potessero lavorare quattordici ore al giorno per garantire il minimo
di sopravvivenza. La reazione fu decisa, sproporzionata; cifre esatte non ce ne
sono, perché si vollero tenere segrete, ma da alcuni fatti e da documenti, se
pur incompleti, si può parlare tranquillamente di non meno di duecentomila
meridionali uccisi, insomma un vero e proprio eccidio.
Questi fatti spiegano da solo la tradizionale sfiducia per lo
stato che ha la gente del sud e quindi anche quell'arretratezza economica che
si trascina da così tanto tempo, nonostante le centinaia di miliardi profusi
dalla Cassa per il Mezzogiorno e quasi sempre arrivati in mani sbagliate.
Nell'Italia postunitaria avvenne poi un fenomeno incredibile:
l'emigrazione. Dal Veneto, dalla Lombardia, dall'Emilia, dall'Italia Centrale e
Meridionale fra il 1870 e il 1910 furono circa 14 milioni (la metà della
popolazione dell'intero stato) che andò all'estero per non morir di fame.
Questa è la storia, ma parliamo la stessa lingua, siamo insieme da
150 anni e, nonostante tutto, dovremmo essere orgogliosi di festeggiare. Quello
che ci fu promesso in parte si è avverato, anche se con molto ritardo; possiamo
e dobbiamo continuare insieme, pur nelle nostre diversità, di cui è logico
cercare gli aspetti migliori; nasciamo, viviamo e moriamo sotto questo
tricolore, tutti, settentrionali e meridionali, lombardi e siciliani;
quell'unità ci fu imposta, ora deve esserci per nostra libera scelta, per
rispetto di chi ci ha preceduto, per rispetto verso gli altri e verso noi
stessi.
Facciamo che le nostre differenze siano motivo per unirci, per
credere in uno stato fatto da italiani, non di serie A o di serie B, ma da
italiani profondamente convinti che è bello essere uniti. Una forte identità
nazionale potrà liberarci dai nostri indegni rappresentanti e la festa di
ognuno sarà la festa di tutti.
Buon 150°, Italia.