L'esordiente
prefabbricato
di Renzo Montagnoli
In una realtà editoriale che vede ogni giorno un'abnorme uscita di nuovi
titoli si vanno sempre più inserendo nuovi autori a cui vengono attribuite
qualità stratosferiche. Questo fenomeno è tutt'altro che sporadico e anzi è in
aumento. Ora, può essere benissimo che vi siano talenti sconosciuti, ma il
fatto che vengano presentati come scrittori rivelazione,
da grandi premi immediati, prevederebbe che come numero siano pochi e invece
sono tanti. Un Cesare Pavese non nasce tutti i giorni e invece da qualche tempo
gli annunci roboanti di nuovi geni della letteratura si sprecano, così come,
purtroppo, sono quasi sempre sprecati i soldi spesi per acquistare i loro
libri.
E' evidente che si tratta di una mera operazione commerciale con
la quale, più che l'autore, si crea il personaggio e poco importa che sia uno
scrittore di valore, anzi spesso è meglio che sia un brocco, perché così
risulta più dipendente dagli ordini di scuderia dell'editore.
Se ripenso ai premi Strega
attribuiti fino a una decina di anni fa e li confronto con gli ultimi noto
purtroppo che c'è una differenza abissale nella qualità. Che improvvisamente
nessuno sia più capace di scrivere? Potrebbe essere, data la progressiva
deculturizzazione, ma non è così. Oggi come oggi si preferisce mettere sul
trono l'anonimo sconosciuto (e non sarebbe male, se ne avesse le qualità),
magari simpatico, oppure originale oltre ogni misura, insomma intorno al quale si possa costruire un personaggio.
Poi la grancassa pubblicitaria provvederà a imporlo agli occhi di
tutti, magari anche inventando numeri spaziali di vendite, così che il
potenziale lettore si senta in colpa se non acquista quel libro.
Si fa in modo che vinca dei premi importanti, insomma lo si mette
sotto i riflettori per uno spettacolo la cui durata per fortuna è abbastanza
breve. Peccato che intanto qualcuno abbia da lamentarsi dell'insoddisfacente
lettura del libro, qualcun altro si accorga di essere stato turlupinato e che
l'autore mediocre di turno creda di essere diventato quasi un dio.
E' una fabbrica del falso, in cui il “falso” è l'apparenza che viene creata, sono le parole spese
entusiasticamente da critici compiacenti, sono le qualità eccelse attribuite
all'autore.
In questa ossessiva campagna si lanciano anche libri di autori
sempre più giovani, anzi giovanissimi, tanto che a leggerli sorge il dubbio che
siano stati scritti da un adulto, magari con qualche opportuna ingenuità
fanciullesca; resta comunque quel denominatore comune costituito da una storia
raffazzonata, da un italiano incerto, e comunque non canonico, da un testo che,
se si riesce ad arrivare a ultimarne la lettura, non lascia nulla dentro, o al più la rabbia per aver buttato dei soldi per niente.