Discorso sulla via estetica alla liberazione
di Flavio Ermini
Cominciamo con un'osservazione
di Rousseau del 1762 e tuttora tragicamente attuale:
«L'essere umano è nato libero e ovunque è in catene». E sono catene stringenti,
come ognuno di noi ben sa.
Domandiamoci: dove iniziano queste catene? Iniziano nella
dottrina borghese che domanda all'essere umano: «Quanto paghi?» invece di
chiedergli: «Cosa pensi?».
Un secolo dopo Rousseau, nel
1883, Balzac giunge a chiedersi: «Se una dottrina simile si diffonderà dalla
borghesia al popolo, che ne sarà del mondo?».
Oggi, che quella dottrina è penetrata in ogni piega del tessuto umano, la
rivoluzione non va più immaginata soltanto come rovesciamento del potere della
classe dominante. Oggi, va soprattutto pensata per indurre i singoli individui
– di tutte le classi oppresse – a spezzare le proprie gerarchie repressive
interne.
Oggi la rivoluzione va pensata a partire da una resistenza “estetica”.
Credetemi: alla lotta contro
lo strapotere delle strutture sociali va unita una lotta – ancor più radicale,
se possibile – contro le repressioni individuali.
Credetemi: l'idea di un'uscita “estetica” dall'alienazione – così com'è stata
propugnata da Marcuse – può ancora indicare una direzione realisticamente
percorribile.
Vanno realizzate zone di
esistenza autentica; vanno prospettate forme di vita che non si lascino
integrare da nessun potere.
La via estetica alla liberazione: percorrerla significa farci vicini all'idea
che questo mondo va salvato, protetto, accudito, testimoniando lo scandalo
della violenza e dell'ingiustizia. Significa farci prossimi a una parola che
sia capace di farsi civitas,
luogo, dimora; mantenendo a ogni biforcazione del sentiero, il dubbio sulla
strada da prendere, senza arrendersi alle illusioni.
Ascoltatemi bene: l'essere
umano deve uscire da se stesso, perdere la propria identità egoistica, fino a
parlare il linguaggio dell'altro; fino a sostituirsi a lui.
Ogni parola aperta all'altro manifesta la responsabilità
verso il prossimo e sollecita a pensare l'alterità: una parola prelogica, ante-rem, che precede ogni
tematizzazione concettuale: quasi una stretta di mano.
Riprendiamo ad ascendere.
Torniamo all'originario progetto di mandare al potere l'immaginazione. Non può
nascere un essere umano nuovo senza un nuovo linguaggio.
Ecco perché va percorsa fino in fondo la via estetica alla liberazione.
Il che vuol dire che all'amore per il prossimo va aggiunto l'amore per il più
remoto. Il che è come dire che alla disposizione etica va unita l'esperienza poetica
del pensiero.
Le relazioni tra individui
avvengono ormai in qualità di titolari di interessi economici. A questo
proposito Marx può legittimamente constatare: «Le persone esistono l'una per
l'altra soltanto come rappresentanti delle merci». Su questo piano, non si dà
“interiorità” se non come accoglimento dell'esteriorità;
non si dà “dentro” se non come riflesso del fuori.
Come negarlo? Abbiamo smarrito le vie di accesso al soliloquio dell'anima.
Torniamo a essere ciò che
siamo. Non c'è altra strada.
Per sottrarsi all'ordine codificato c'è un atto di opposizione che l'essere
umano deve compiere su se stesso, ancor prima che sulla realtà da afferrare. È
un'opzione di ordine ideologico e plasma quella di ordine estetico.
La realtà vera è quella in cui
le mie parole, le mie azioni, i miei sentimenti hanno precise conseguenze: sono
già lì che mi difendono dalla volgarità del potere economico. E questo accade
ogni volta che parlo, sento, desidero. È a quei difensori che è necessario
guardare.
Ognuno di noi ha bisogno del singolare e del plurale. E il plurale sarà
armonico solo se noi avremo la consapevolezza delle conseguenze che hanno le
nostre azioni, quando le nostre azioni sono guidate dall'immaginazione
estetica.
Imparo a scrivere ai margini
del discorso e del pensiero (ovvero ai margini della liberazione) per dare loro
parola (cioè per dare parola
alla liberazione). Le crepe aperte nel linguaggio da parte del ribelle hanno
uno statuto positivo e con esse va stabilita una relazione per cambiare le
cose. Questo rischio è essenziale a noi, come al ribelle; così come la
relazione con le cose è essenziale alla liberazione, in quanto rapporta il
ribelle costantemente al suo limite, alla finitezza.
L'essere umano è un'invenzione
recente. Ruota ancora nello spazio d'acqua del ventre materno e ancora non sa
trasformare in orizzonte il battito del mondo che lo avvolge: in quello slancio
del salire, in quel brivido del discendere.
Parliamo
anche di uguaglianza: la necessità che i bisogni degli uomini e delle donne
siano ugualmente soddisfatti
suppone non una società perfetta, ma il principio di un'umanità prodotta
essenzialmente da se stessa; un'umanità «immanente» – come suggerisce di
definirla Nancy –, fondata sulla gioia e sulla generosità: immanenza
dell'essere umano per il proprio simile e per l'altro: prossimo o remoto che
sia.
Credimi: l'essere umano è tale
se diventa la propria opera, l'opera sempre da compiere di se stesso.
Ti invito a raggiungermi, per
vivere quell'instabile conoscenza che solo nell'opera da compiere e sulla via
estetica alla liberazione si può incontrare.
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