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  Editoriali  »  Discorso sulla via estetica alla liberazione, di Flavio Ermini 14/05/2011
 

Discorso sulla via estetica alla liberazione

di Flavio Ermini

 

 

Cominciamo con un'osservazione di Rousseau del 1762 e tuttora tragicamente attuale:
«L'essere umano è nato libero e ovunque è in catene». E sono catene stringenti, come ognuno di noi ben sa.
Domandiamoci: dove iniziano queste catene? Iniziano nella dottrina borghese che domanda all'essere umano: «Quanto paghi?» invece di chiedergli: «Cosa pensi?».

Un secolo dopo Rousseau, nel 1883, Balzac giunge a chiedersi: «Se una dottrina simile si diffonderà dalla borghesia al popolo, che ne sarà del mondo?».
Oggi, che quella dottrina è penetrata in ogni piega del tessuto umano, la rivoluzione non va più immaginata soltanto come rovesciamento del potere della classe dominante. Oggi, va soprattutto pensata per indurre i singoli individui – di tutte le classi oppresse – a spezzare le proprie gerarchie repressive interne.
Oggi la rivoluzione va pensata a partire da una resistenza “estetica”.

Credetemi: alla lotta contro lo strapotere delle strutture sociali va unita una lotta – ancor più radicale, se possibile – contro le repressioni individuali.
Credetemi: l'idea di un'uscita “estetica” dall'alienazione – così com'è stata propugnata da Marcuse – può ancora indicare una direzione realisticamente percorribile.

Vanno realizzate zone di esistenza autentica; vanno prospettate forme di vita che non si lascino integrare da nessun potere.
La via estetica alla liberazione: percorrerla significa farci vicini all'idea che questo mondo va salvato, protetto, accudito, testimoniando lo scandalo della violenza e dell'ingiustizia. Significa farci prossimi a una parola che sia capace di farsi civitas, luogo, dimora; mantenendo a ogni biforcazione del sentiero, il dubbio sulla strada da prendere, senza arrendersi alle illusioni.

Ascoltatemi bene: l'essere umano deve uscire da se stesso, perdere la propria identità egoistica, fino a parlare il linguaggio dell'altro; fino a sostituirsi a lui.
Ogni parola aperta all'altro manifesta la responsabilità verso il prossimo e sollecita a pensare l'alterità: una parola prelogica, ante-rem, che precede ogni tematizzazione concettuale: quasi una stretta di mano.

Riprendiamo ad ascendere. Torniamo all'originario progetto di mandare al potere l'immaginazione. Non può nascere un essere umano nuovo senza un nuovo linguaggio.
Ecco perché va percorsa fino in fondo la via estetica alla liberazione.
Il che vuol dire che all'amore per il prossimo va aggiunto l'amore per il più remoto. Il che è come dire che alla disposizione etica va unita l'esperienza poetica del pensiero.

Le relazioni tra individui avvengono ormai in qualità di titolari di interessi economici. A questo proposito Marx può legittimamente constatare: «Le persone esistono l'una per l'altra soltanto come rappresentanti delle merci». Su questo piano, non si dà “interiorità” se non come accoglimento dell'esteriorità; non si dà “dentro” se non come riflesso del fuori.
Come negarlo? Abbiamo smarrito le vie di accesso al soliloquio dell'anima.

Torniamo a essere ciò che siamo. Non c'è altra strada.
Per sottrarsi all'ordine codificato c'è un atto di opposizione che l'essere umano deve compiere su se stesso, ancor prima che sulla realtà da afferrare. È un'opzione di ordine ideologico e plasma quella di ordine estetico.

La realtà vera è quella in cui le mie parole, le mie azioni, i miei sentimenti hanno precise conseguenze: sono già lì che mi difendono dalla volgarità del potere economico. E questo accade ogni volta che parlo, sento, desidero. È a quei difensori che è necessario guardare.
Ognuno di noi ha bisogno del singolare e del plurale. E il plurale sarà armonico solo se noi avremo la consapevolezza delle conseguenze che hanno le nostre azioni, quando le nostre azioni sono guidate dall'immaginazione estetica.

Imparo a scrivere ai margini del discorso e del pensiero (ovvero ai margini della liberazione) per dare loro parola (cioè per dare parola alla liberazione). Le crepe aperte nel linguaggio da parte del ribelle hanno uno statuto positivo e con esse va stabilita una relazione per cambiare le cose. Questo rischio è essenziale a noi, come al ribelle; così come la relazione con le cose è essenziale alla liberazione, in quanto rapporta il ribelle costantemente al suo limite, alla finitezza.

L'essere umano è un'invenzione recente. Ruota ancora nello spazio d'acqua del ventre materno e ancora non sa trasformare in orizzonte il battito del mondo che lo avvolge: in quello slancio del salire, in quel brivido del discendere.

Parliamo anche di uguaglianza: la necessità che i bisogni degli uomini e delle donne siano ugualmente soddisfatti suppone non una società perfetta, ma il principio di un'umanità prodotta essenzialmente da se stessa; un'umanità «immanente» – come suggerisce di definirla Nancy –, fondata sulla gioia e sulla generosità: immanenza dell'essere umano per il proprio simile e per l'altro: prossimo o remoto che sia.

Credimi: l'essere umano è tale se diventa la propria opera, l'opera sempre da compiere di se stesso.

Ti invito a raggiungermi, per vivere quell'instabile conoscenza che solo nell'opera da compiere e sulla via estetica alla liberazione si può incontrare.

 

 

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