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  Editoriali  »  Le rivelazioni della vita e come sia difficile trasmetterle nella realtá, di Lorenzo Russo 21/05/2011
 

Le rivelazioni della vita e come sia difficile trasmetterle nella realtá

di Lorenzo Russo

 


Da anni vivo nella solitudine, in un luogo lontano dalla civiltà dell'uomo.

Il bisogno di penetrare nel mio vero e profondo intimo mi spinse a cercarlo laddove ero certo di trovare la pace con me stesso, nella natura incontaminata dai vizi dell'uomo.

Trascorsi così gli anni successivi immerso nella meditazione e preghiera, con le quali riuscii a sopperire alla mancanza di ogni conforto che il luogo non offriva.

Accadde che un giorno una forza indescrivibile mi prese e soggiogò.

Basta con le meditazioni, con le preghiere, con la mancanza di ogni contatto coi tuoi simili mi sussurrò, se non hai ancora compreso chi tu sei e quali compiti ti aspettano, non lo capirai mai più.

È arrivato il momento di lasciare il luogo delle tue rivelazioni, é ora che tu ti metta in viaggio e le trasmetta agli altri che ancora non le conoscono, perché solo cosí hanno un senso di esistere.

Fornito del minimo indispensabile di denaro, indumenti, di una coperta per proteggermi dal freddo durante le notti che avrei trascorso all'aperto e dei riassunti delle mie meditazioni, che avevo messo per iscritto, mi avviai sulla mia nuova fase di vita.

Con passi svelti mi avviai sul percorso delle mie decisioni, non mancando di ammirare la bellezza naturale del posto. Ebbi addirittura l'impressione che anche la natura mi sostenesse nei miei intenti e volesse ringraziarmi mostrandosi nel suo aspetto migliore.

Ebbi così occasione di ammirare alberi, alti e forti, cresciuti in fila per proteggere i campi estesi dal vento e ben curati dall'uomo per ricavarne il suo sostenimento, i prati folti di un erba fresca e profumata da raccogliere per nutrire gli animali domestici, gli alberi di frutta i cui rami pendevano fortemente sotto il peso dei frutti giá maturi e pronti per il raccolto.

Il mio animo fu pervaso da un senso di gioia che mi fece sentire d'essere in paradiso in terra.

Quali problemi mi si potrebbero presentare, pensai, quando la natura é cosí generosa con l'uomo?

Non dovrebbe anche lui gioire, per il dono che la natura gli offre in ogni stagione dell'anno e per tutta la sua vita?

Con animo fiducioso arrivai al primo villaggio. Nulla sembrava turbare la quiete del posto e dei suoi abitanti, ognuno era intento a sbrigare il lavoro scelto, che eseguiva con accuratezza e in armonia con se stesso.

Non senza imbarazzo notai che i primi abitanti, accorsi al mio arrivo, mi scrutarono con sguardi tra curiosi e sospettosi, segno che non erano abituati al passaggio di viandanti o forestieri.

Incominciai a parlare loro curando la scelta delle mie parole e pronuncia per non metterli a disagio. Mi accorsi presto che il mio linguaggio non era fatto per i loro orecchi e per il loro modo d'intendere.

Ebbi l'impressione che le mie parole fossero accolte piú per il suono che emettevano, risultante loro strano e sconosciuto, che per il senso che volevano esprimere, segno che la loro mente non era aperta al loro significato, con il risultato di essere assunte come suoni portati dal vento e destinati a perdersi in esso.

I miei sforzi di attirare la loro attenzione non ebbero successo, fatto che mi procuró delusione e scoraggiamento.

Come infastiditi delle mia presenza, che intesero come pericolo contro il loro abituale esercizio di vita, incominciarono a gesticolare con le braccia e a minacciarmi con le mani, chiuse a modo di pugno, e infine con parole aggressive, espresse nella loro lingua che non comprendevo.

Tutti quegli anni, pensai, trascorsi nella relegazione, meditando sulla natura dell'uomo e a riflettere sul come affrontare la sua avversione verso il nuovo, mi apparsero ora inutili.

Anche le mie premure, impiegate per avviare il discorso in un tono più rasserenante, non ebbero successo. Dovetti ammettere, di non riuscire con il mio parlare a trasmettere il senso di nuova speranza per una vita migliore che intendevo comunicare.

Mi fu chiaro di non poter pretendere che le loro menti, abituate a un pensare semplice, monotono, uguale, non erano aperte alle altre verità da scoprire nella vita.

Fui addirittura costretto a lasciare quel posto, prima ancora che gli attacchi violenti si riversassero contro di me.

Nel riprendere il mio pellegrinaggio, mi resi nuovamente conto di come questo mondo fosse stupendo nel suo aspetto esteriore, ma ostile a chi crede di poterlo rendere migliormente vivibile per l'uomo.

La ristrettezza della mente é paragonabile a un macigno che preme su un terreno fertile, impedendogli che germogli qualcosa di nuovo e buono.

Pensai anche che, nonostante tutto, le mie parole potrebbero aver lasciato nei cuori di questa gente, primitiva nei sensi ma buona di cuore, un buon seme, dal quale un giorno potrebbe germogliare una speranza per una vita migliore.

Capii, anche, che chi si crede in posseso di verità migliori, debba anche curarsi sul come trasmetterle, affinché esse vengano assunte e capite nel loro senso vero, e non sentite come pericolo da combattere.

Compresi, inoltre, che, per comunicare con l'uomo ademprato dal posto in cui vive una vita semplice e ristretta, é necessario comunicare nel suo linguaggio, onde sembrare un suo simile ed essere infine accettato e compreso.

Il linguaggio é elemento base di una cultura, la quale puo' svilupparsi solo curandolo, cioé migliorando il modo di esprimersi e di apparire alla gente alla quale ci si rivolge, di modo che le parole diano frutti buoni e la societá diventi un'oasi di pace e serenitá.

È tempo, che l'uomo si liberi delle sue colpe originarie, delle quali noto due che sono certamente fondamentali: quella di essersi allontanato dall'unitá con il Creatore, cadendo nella realtà dualistica che ben conosciamo del Bene e del Male, dell'Oscuritá e della Luce, di Maschio e Femmina, e cosí via, e la seconda quella partente da Caino nel suo voler vincere su Abele.

Da qui ne deduco, che la radice dell'aggressione si ritrova nel confronto con il prossimo, per superarlo, addirittura eliminarlo, quando si ritiene giusto solo il proprio modo di essere.

Ci si puo' liberare di questa condizione limitata relativando il proprio “IO”, anche quando costasse troppi sacrifici e addirittura la propria vita, la quale, a mio parere, continuerebbe nella nuova creata unione in “Noi”, il ché significherebbe un anticipare ciò che un giorno sarà realtà.


Annotazioni:

Il contenuto di questo scritto non é autobiografico. Per esserlo dovrei essere più saggio e maturo. Sono quindi riflessioni che non corrispondono al mio modo di vivere la vita, anche se a volte lo desidererei, ma pur sempre utili per chi intende fare della sua vita una missione.

 
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