Manie di grandezza
Sul n. 36 del 14 settembre
dell'Espresso c'è un interessante articolo di Giorgio Bocca dal titolo
“Missioni di mezza pace o mezza guerra”, con cui, prendendo spunto dalla nostra
missione in Libano, si evidenzia chiaramente la pochezza dei nostri politici
che (e cito di seguito le sue parole) non sopportano il modesto livello
della nostra attuale posizione di forza di rango nel mondo e si risarciscono a
parole, a retorica, ad autocelebrazioni.
Questo comportamento non è una
novità, ma una costante fissa dall'unità d'Italia ai tempi nostri. Non è
improbabile che queste caratteristiche di provinciali che aspirano al rango di
cittadini sia stata all'origine peculiare di casa Savoia, ove i regnanti si
sono sempre distinti più come ras di paese che come sovrani di uno stato. Le
improvvisazioni, le partecipazioni a imprese destinate al fallimento, o quasi,
hanno contraddistinto tanti anni della storia d'Italia, cominciando dalla III
guerra di indipendenza, mal preparata, affrettata, contando soprattutto
sull'aiuto dell'alleato prussiano. Poi è opportuno ricordare le gloriose
spedizioni coloniali, in un'epoca in cui da conquistare restava ben poco, in
teoria semplici passeggiate, ma poi alla fine rivelatesi quasi una carneficina
per noi (ricordate Adua, tanto per citare un fatto?).
Stessa situazione anche nella prima
guerra mondiale, caratterizzata dal voltafaccia del cambio d'alleanza, e da una
preparazione del tutto inadeguata (ben pochi sanno che i provvidenziali elmetti
di ferro furono dati in dotazione alle truppe solo dopo un anno dall'inizio
dell'ostilità e che tuttavia si dimostrarono inferiori, come capacità di
riparo, dagli omologhi austriaci). E poco ci mancò che anche la guerra
d'Etiopia non si risolvesse in un clamoroso fiasco, tanto che ai mezzi
inadeguati e alle scarse capacità dei condottieri si dovette supplire
utilizzando gas asfissianti.
Stendo poi un velo pietoso sulla
nostra partecipazione nella seconda guerra mondiale perché lì superammo noi
stessi:
dalla maggior
parte dell'armamento, spesso preda bellica del conflitto conclusosi nel 1918,
al vestiario, del tutto inadeguato ai teatri operativi (del tutto uguale sia in
Libia che nella campagna di Russia).
Per l'intervento in Iraq ritengo
opportuno spendere più di due parole. Non entro nel merito della nostra
partecipazione, ma mi preme rimarcare come la retorica sia stata la nostra arma
più efficiente. Abbiamo dovuto lamentare anche troppe vittime per una “missione
di pace” e per
la stima dei “locali” nei nostri confronti, ripetuta ogni volta dai
telegiornali. Per fortuna ce ne stiamo andando e francamente senza gloria e
onore, visto anche che alcuni militari saranno incriminati
per aver sparato deliberatamente su un'autoambulanza, ammazzando quattro
civili.
Si diceva della retorica che ha
raggiunto il suo livello più elevato con l'uccisione del povero Quattrocchi.
E' bastato aver detto “Vi faccio
vedere come muore un italiano” e i tromboni della magniloquenza hanno preso a
suonare. Ineccepibile, quindi, il
conferimento della medaglia d'oro al valor civile, attribuita generalmente a
seguito di atti eroici.
Solo che non si riesce a capire che
cosa ci sia di eroico in questa esecuzione.
Normalmente l'eroismo è il sacrificio
della propria vita nel nome di un'ideale o per salvare altri, come è capitato
appunto per Calipari che ha protetto con il suo corpo
l'ostaggio che era appena riuscito a liberare.
Non me ne voglia la famiglia di
Quattrocchi, di cui comprendo e rispetto il dolore, ma nella morte del loro
ragazzo non c'è proprio nulla di eroico e quella frase è solo lo sfogo di uno
che comprende di essere stato condannato.
Arriviamo così ai giorni nostri con
la missione, di indubbia importanza, in Libano, con un dispiegamento di forze
spropositato, visto che viene impiegata anche la
portaerei con il trucco “Garibaldi”. Dico con il trucco, perché per aggirare i
divieti del trattato di pace, abbiamo costruito un incrociatore poi trasformato
in portaerei. Immagino i costi, non trascurabili, per poter contare su pochi
aerei a decollo verticale che non si riesce a capire
che cosa abbiano a che fare con la missione, impegnata prevalentemente sul
terreno, dove esibiamo gli ultimi ritrovati della tecnica (si fa per dire),
cioè blindati risalenti a una trentina di anni fa, quando si è visto
chiaramente che l'armamento degli Hezbollah
fracassava i pur prestanti e moderni carri israeliani.
Non sarà una missione di guerra, ma
appare evidente che se c'è da sparare è meglio poterlo fare da una posizione di
forza e non di inferiorità. Comunque, mi auguro, come tutti, che non sia necessario l'uso delle armi, perchè l'italiano, soldato
di professione o di leva, non eccelle come guerriero, per la sua naturale
indole non bellicosa e con un'unica eccezione nella storia: la resistenza, ma
là non si trattava di conquistare, ma di difendere un paese e un'idea di
libertà.
Ed è opportuno in ogni caso fare i debiti
scongiuri, visto che lo sbarco, ripreso in diretta dalle nostre televisioni, il
primo giorno non si è potuto effettuare per le cattive condizioni del mare che
ai più non sono parse così pessime da imporre un rinvio, forse giustificato dal
fatto che buona parte dei nostri soldati era già in preda al mal di mare.